CALDERONI, Alessandro
Nacque a Faenza da Girolamo e Caterina Savi intorno al 1560. La famiglia era nobile e influente in città. Il C. si compiacque di menzionare nelle sue opere Paolo, uomo d'armi attivo intorno alla metà del secolo precedente.
Mentre attendeva alla propria preparazione letteraria (sembra che giovanissimo componesse i primi versi, anche in latino) il C. si preparava alla professione di notaio nella città natale. Redasse il primo atto il 20 ag. 1593. Il 21dicembre dello stesso anno fu nominato coadiutore del cancelliere municipale, e nel 1597 cancelliere. Tenne questa carica fino alla morte, ad eccezione di un periodo che va dal 1601 al 1605. Nel 1606 sembra che, in omaggio alla sua notevole fama letteraria, gli fosse offerta una cattedra di letteratura a Lucca, ma egli vi rinunciò preferendo rimanere a Faenza, da dove anche in seguito raramente si mosse, continuando a esercitare le funzioni di cancelliere municipale.
Nella città natale manteneva rapporti di amicizia con Ludovico Zuccolo, con il cronista Gregorio Zuccolo e con il pittore Ferraù Fenzoni, corrispondeva con i bolognesi Cesare Rinaldi e Giulio Cesare Segni e soprattutto mantenne costanti rapporti episitolari con Roberto Titi, l'amico che gli propose di recarsi a Lucca per coprire la cattedra di letteratura. Appartenne all'Accademia romana degli Umoristi e a quelle faentine degli Smarriti e dei Filoponi, di cui fu segretario a vita. Dalle dediche di alcune poesie si ha l'indicazione di rapporti con gli Insensati di Perugia (a Cesare Crispoldi è diretto un sonetto), con gli Olimpici di Vicenza e con i Fecondi di Padova.
In data imprecisata sposò una Vincenza di Andrea del Muti dalla quale ebbe almeno un figlio, Giovanni Evangelista. Morì a Faenza tra il settembre e il novembre del 1618.
La poesia del C. si iscrive in un periodo abbastanza lungo che va dal 1589, anno in cui fu stampato il suo primo sonetto, al 1615, anno di pubblicazione della silloge Siringa dei cento calanti, cento sonetti raccolti e ordinati dall'autore stesso.
La produzione che non varca la soglia del Cinquecento sembra improntata a un puro dilettantismo. L'occasione è sempre costituita da un'impresa collettiva di versi in morte o inonore di personaggi strettamente legati alla vita di Faenza. Nel Museo dipoesie volgari et latine in morte del sig. Giuliano Golesini (Milano 1589) il C. stampa un sonetto; una elegia latina e un sonetto in morte del Paleotti costituiscono l'offerta poetica del C. al Camilli Paleotti senatoris bononiensis viri clarissimi Tumulus, la raccolta stampata a Bologna nel 1597con dedica al cardinale Cinzio Aldobrandini; infine quattordici sonetti e due liriche latine figurano nel Tempio all'illustrissimo e reverendissimo sig. Cinthio Aldobrandini cardinale San Giorgio, nipote del sommo pontefice Clemente VIII, Bologna 1600:nel complesso questo nucleo di poesie fa del C. uno degli scrittori maggiormente rappresentati nell'antologia poetica e rende evidente che agli inizi del secolo il suo tributo doveva essere già sufficientemente apprezzato, oltre che in città, anche dal dedicatario della raccolta.
I migliori risultati conseguiti sembrano determinare una condizione idilliaca e pastorale che costituirà il fulcro di ispirazione dello scrittore maturo. Ciò è ravvisabile soprattutto nei carmina, ma anche i sonetti risentono del descrittivismo classicistico in voga nel Cinquecento (da Bernardo Tasso al Varchi), ed è in effetti singolare come il C. riesca a far prevalere questo tipo di cultura poetica nell'ambito di un ufficio che è quello encomiastico e celebrativo.
L'elemento di cultura più vitale nell'esperienza del C. come poeta d'occasione viene in effetti evidenziato nella pastorale Esilioamoroso, edita a Bologna nel 1607con dedica a Ranuccio Farnese.
Latrama è assolutamente tradizionale nell'ambito del genere letterario. Due giovani innamorati vengono trasferiti, dopo una serie di vicissitudini, dall'Italia in Arcadia, dove vivono senza possibilità di riconoscersi. Senonché essi tornano ad amarsi, nonostante l'intralcio dei rispettivi rivali, dimostrando l'ineluttabilità del loro destino. L'opera si compone di cinque atti più un prologo recitato dalla Pastorale personificata, e un coro aggiunto alla fine dell'ultimo atto. I modelli più diretti dell'opera sono l'Arcadia del Sannazzaro e l'Aminta del Tasso, anche se il C., assiduo frequentatore della letteratura classica, procede non di rado a più peregrine contaminazioni ricorrendo ai greci (Longo Sofista, Achille Tazio) e ai latini (Ovidio).
L'ultima fatica letteraria del C. è una raccolta di cento sonetti, alla quale l'autore impose il titolo marinistico di Siringa dei cento calami, pubblicandola a Bologna nel 1615.Va tuttavia sottolineato che all'abbondanza dei temi mutuati dal Marino (il bacio, gli spasimi della gelosia, la gloria di una sapiente acconciatura) non fa riscontro nel C. una adeguata sapienza retorica. E del resto la modesta fortuna che egli godé anche in clima di trionfante marinismo non lascia dubbio sullo spazio, sicuramente esiguo, che al C. si deve assegnare nel capitolo della lirica secentesca.
Fonti e Bibl.:G. B. Todini, prefazione alla raccolta Delle lettere di uomini illustri, Macerata 1782 (si tratta di otto lettere del C. a Roberto Titi pubblicate nel 1 tomo della raccolta, pp. 50-56); F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, I, Bologna 1739, ad Indicem;L. Allacci, Drammaturgia, Venezia 1755, col. 308; G. M. Mittarelli, De literatura Faventinorum, Venetiis 1775, col. 79; G. Fontanini, Aggiunte alla Biblioteca di scrittori italiani di A. Zeno, I, Parma 1803, p. 462; B. Righi, Annali della città di Faenza, III, Faenza 1841, pp. 199 s.; M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, Bologna 1926, p. 448; E. Cordaro, Un letterato faentino, A. C., in Studi romagnoli, X (1959), pp. 333-362.