CAMPESANO, Alessandro
Nacque a Campese (Bassano) il 9 apr. 1521 da famiglia agiata che si era stabilita nella cittadina veneta verso la metà del sec. XIV. L'immagine del padre, Pietro, che ebbe una importanza decisiva per la prima formazione culturale del C., è da questo ricordata ancora nel testamento come affettuosa sollecitazione per chi voglia inoltrarsi come lui nei prediletti studi di letteratura: "il ritratto d'esso Missier mio Padre... e il Dante col Petrarca, e il Boccaccio, et appresso l'immagine che io feci far a Bologna del chiarissimo Missier Andrea Alciati mio precettore, e l'altre pitture che sono in casa, si rimangono pure quasi muti eccitamenti alle virtuose opere, et adornamenti riguardevoli per tutto il tempo che dureranno".
Questo documento ci permette di individuare nell'Alciato il maestro di diritto che il C. ebbe a Bologna. Ma prima di perfezionarsi negli studi giuridici aveva seguito a Padova le lezioni dell'umanista Lazzaro Bonamico. Questi era stato maestro e amico del bassanese, ne aveva riconosciuto il precoce ingegno letterario e a lui si era rivolto in una epistola in versi che rievocava i dilettevoli indugi del discepolo presso le rive del fiume Medoaco (L. Bonamici Carmina et epistolae, Venetiis 1786, p. 74).
Come gran parte dei giovani di famiglia agiata, il C. era stato dunque mandato a studiare prima a Padova e poi a Bologna, dove si laureò in diritto. A ventun anni, nell'agosto del 1542, risulta lettore di diritto civile all'università di Padova; senonché al momento in cui la sua carriera accademica sembra già brillantemente avviata come giurista, il C. rinuncia a Padova e fa ritorno alla nativa Bassano (il suo incarico all'università appare ricoperto dall'aprile del 1543 da Guido Branca). Quali che possono essere stati i motivi di tale brusca decisione, è chiaro che alle radici di essa è da ravvisare il desiderio di una vita più serena e appartata, racchiusa nel breve orizzonte di relazioni private, sapientamente bilanciata tra l'esercizio di modesti incarichi ufficiali e una professione del tutto saltuaria e occasionale di poesia.
Bassano, del resto, offriva intorno alla metà del secolo tali condizioni di esistenza da sembrare una provincia a chi, come Giuseppe Betussi, tentasse di sperimentare fino in fondo il mestiere letterario, ma poteva anche rappresentare un'oasi di tranquillità per chi, lontano dagli impegni cittadini, considerasse lo svago della letteratura come un prolungato soggiorno campestre. Presso il Betussi, che a Venezia faceva parlare di sé nei circoli letterari più in voga, Bassano godeva ancora del prestigio intellettuale che da Padova le procurava il Bonamico e ospitava modesti verseggiatori come Valerio e Giorgio Sale, Faustino Amico, Lazzaro Dal Como e Lattanzio Persicini, alcuni dei quali appaiono legati col C. da stretti vincoli di amicizia: tali vincoli presiedono alla poesia del C. e tali rapporti egli si impegnerà sempre di garantire anche non rifiutando relazioni letterarie di più vasto raggio.
In una lettera al Sansovino del 19 giugno 1543 egli diceva che lo occupavano "i negoci del palazzo, et l'amore, non dico della nostra amica, ma di qualche dama di maggior grido", e continuava: "La mia vita è, si può dir, solitaria, sì per lo caldo grandissimo, che di rado mi dà campo d'uscir di casa, come anche per la poca conversazione. I libri suppliscono. Ho ventura che la mia camera è assai fresca, et mi dà campo per una finestra a farmi buono arciero: et voi non vi sapreste mai indovinare in che modo, ma né io anchora lo vi dico" (Novo libro di lettere scritte da i più vari auttori professori della lingua volgare italiana, Venezia 1544, cc. 72 ss.).
Per quel che riguarda "i negoci del palazzo" l'accenno può riferirsi alle controversie giuridiche che venivano affidate dal governo bassanese all'arbitrato del C., come si deduce da una lettera di Faustino Amico vertente proprio su simili incombenze (F. Amici Bassanensis anno aetatis suae XXIV immatura morte praerepti Epistola ad A. C., MCLXIIII, in L. Bonamici Carmina, p. 91), mentre oscura appare l'allusione a colei che lo faceva "buono arciero", sicuramente la stessa donna che appare come protagonista in varie poesie del C., ma della quale egli cela costantemente il nome.
Amava trascorrere le lunghe serate invernali conversando allegramente con gli amici bassanesi. In primavera si ritirava in Riva degli Ulivi, sui colli di Mussolente, dove aveva una villa; durante l'estate amava soggiornare a Bassano nella casa paterna d'Angarano. Ospite della villa bassanese era spesso il Betussi col quale il C. mantenne sempre rapporti cordialissimi. A proposito del Raverta così si esprimeva il C. in una lettera datata 10 sett. 1543: "Perdonatemi se io non sono diligente nel rispondervi: perché ho pure qualche travaglio, non già di mie nozze, che in verità non vi penso per hora, ma sì bene di molte altre cose, dalle quali forse un giorno ne udirete il rombo fin costaggiù. Perciò non dovete temere che io non v'ami: che ne avete veduti i segni molte volte veri et espressi: et non ne dubitando, meno si conviene scrivermi, come dite, rispettosamente... Hora per dirvi del vostro Ragionamento d'amore, egli mi è piaciuto molto et mio padre, se ne rallegra con voi, et così fanno degli altri nostri" (Novo libro di lettere, p. 59). Il Betussi, dal canto suo, lodava pubblicamente il C. nel Cataio stimandolo "uomo stato universale in tutte le scienze e dotato di tutte quelle buone parti che potessero cadere in degno e qualificato gentiluomo... buono e da bene letterato, virtuoso, cortese, affabile, liberale, osservator degli amici fin dopo morti, caritativo, magnanimo, conosciuto e stimato da infiniti" (Padova 1573, p. 43).
Oltre che col Betussi, il C. era in familiarità con almeno due altri importanti poligrafi che agivano in Venezia intorno alla metà del secolo: Ludovico Domenichi, che raccolse versi del C. nelle Rime diverse di eccellentissimi autori (Venezia 1549), e Anton Francesco Doni, autore di due lettere al C. stampate nei Tre libri di lettere del Doni e i termini della lingua toscana (Venezia 1552, cc. 67-74). Una di queste, vertente sul tema della serena padronanza di se stessi che si ottiene lungi dalle ricchezze e dalla schiavitù delle corti, sembra attagliarsi con straordinaria aderenza alla personalità del C.: "Non si deve rimaner per questo dal bene et virtuosamente operare disperandosi: anzi... habbiamo più noi a lodarci della natura che ci abbia dato degli amici, i quali sprezzino le ricchezze ed amino il buon sapere, che a dolersi di lei perché ella non ci abbia cacciato in corpo quelle animacce avare et desiderosissime di guadagni. Amiamo meglio vivere con poco havere... in quiete e con gli studi che ricchi e travagliati, non che in speranza delle corti et servi al vitio".
Assorto in questi ideali e fedele a un costume di vita schiva e appartata, il C. visse fino al 12 giugno 1572. Il 22 febbraio dello stesso anno aveva fatto testamento lasciando la sua biblioteca ai nipoti. Il poeta Marco Stecchini ne tessé l'elogio in un sonetto funebre.
Il carattere di occasionale esercitazione che il C. attribuiva alla propria poesia lo consigliò di non raccogliere le proprie liriche in un'edizione complessiva. Quattro sonetti furono pubblicati dal Domenichi nella citata edizione di Rime diverse;le poesie di intonazione religiosa figurano nella silloge di Rime spirituali stampate a Venezia nel 1550 e nel Tempio di Giovanna d'Aragona, la raccolta edita da Girolamo Ruscelli a Venezia nel 1554. Nel Settecento G. B. Verci raccoglieva le poesie superstiti del C. inserendole nelle Rime scelte d'autori bassanesi che fiorirono nel sec. XVI, Venezia 1759.
Vi figurano, complessivamente, trentatré sonetti, di argomento amoroso o morale, una canzone di ispirazione religiosa, e alcuni componimenti minori (forse frammenti di opere non portate a termine) vertenti su temi arcadici. Va aggiunta a questo piccolo canzoniere un'orazione che era stata tenuta dal C. davanti al podestà di Bassano, edita in Bibliotheca Codicum MSS. S. Michaelis Venetiarum prope Murianum Auctore Io. Benedicto Mittarelli, Venetiis 1779, p. 221.
La distinzione tra il poeta d'amore e il cantore di virtù vale per il C. non soltanto in sede di una pregiudiziale cernita di argomenti, ma in quanto ricorso a modelli diversi di sollecitazione letteraria, a "fonti" che il C. sceglie fra gli scrittori quattrocenteschi per le poesie d'amore e tra i poeti della Controriforma per le liriche di ispirazione religiosa. Tale sincretismo culturale, se da un lato è indice di un sostanziale dilettantismo, costituisce d'altro canto il segno caratteristico di una produzione che si svolge ai margini della più avanzata cultura contemporanea, tesa, col Bembo, a una riproposta del modello petrarchesco in termini integralmente spirituali. Sotto questo aspetto può essere anche indicativo, e in qualche modo esorbitante la nozione di puro dilettantismo, la frammentarietà in cui si presenta l'offerta lirica del C., la sua rinuncia a una unitaria vicenda lirica nel senso edificante che fu sottolineato dai petrarchisti cinquecenteschi.
Bibl.: B. Gamba, De' bassanesi illustri, Bassano 1807, pp. 32 ss.; O. Brentani, Storia di Bassano, Bassano 1884, p. 695; C. Panizza, Un capitolo in versi di A. C., Bologna 1890; A. Simioni, Di alcuni petrarchisti bassanesi del sec. XVI, in Boll. del Museo Civico di Bassano, I (1904), pp. 44 ss.