CARISSIMI, Alessandro
Nacque a Parma in data imprecisabile, ma compresa quasi sicuramente nell'ultimo quarto del sec. XVI. La famiglia era di agiate condizioni economiche e godeva di buona fama in ambiente cittadino per le cariche pubbliche ricoperte in vari periodi da alcuni suoi membri. Il C. studiò presso le scuole gesuitiche ottenendo una buona preparazione nelle discipline umanistiche e cimentandosi, sembra assai precocemente, in esercitazioni retoriche stimate dai maestri e imitate dai condiscepoli. Tali esercitazioni si svolgevano - secondo la prassi canonica nelle scuole dei gesuiti - attraverso la lettura dei classici latini suscettibili di una ristrutturazione oratoria, e venivano declamate nel ristretto ambito dell'ambiente scolastico. I centoni ricavati dai classici contemplavano Virgilio e Ovidio, Seneca, Tacito e Lucano, ma non escludevano le opere della bassa latinità e i Padri della Chiesa.
Fra le tendenze della letteratura in volgare variamente presenti nella preparazione dello scrittore parmigiano saranno da annoverare i predicatori e i trattatisti morali del periodo iminediatamente post-tridentino, mentre è ben rilevabile la tradizione della poesia concettistica.
Uscito dalle scuole dei gesuiti, il C. si sposò, ma alcune disgrazie familiari lo posero nuovamente nella via della religione. Sembra che abbia perso la moglie e alcuni figli di giovanissima età. Di una sola figlia abbiamo notizia, che pervenne ad età adulta andando sposa al marchese Ranuccio Pallavicini; il C. abbracciò lo stato ecclesiastico, studiò leggi sotto il magistero del bolognese Paolo Tossignano, che era lettore di diritto a Parma, e si laureò intorno al 1610. Divenuto canonico della cattedrale di Parma, fu successivamente vicario del vescovo di Piacenza e quindi fu creato vescovo di Castro il 15 dic. 1615 da Paolo V. Non fu probabilmente estraneo alla dignità vescovile il benvolere del duca Ranuccio Farnese, che verrà celebrato dallo scrittore in un eloquente compianto funebre.
Resse la cattedra vescovile di Castro per oltre quindici anni segnalandosi per dottrina e per zelo pastorale, finché lo colse la morte nel settembre del 1631. Si svolsero solenni onoranze funebri e le sue spoglie vennero traslate nella cattedrale di Parma.
Mentre rimase inedita una produzione, probabilmente notevole, di elogi accademici rivolti a maestri e condiscepoli dello Studio cittadino, la prima opera destinata alle stampe risale al 1617: Delle lodi di s. Carlo et s. Francesco, Discorso… detto nella cattedrale di Piacenza nella erezione del Monastero di San Carlo delle Cappuccine in detta città alli 12 Novembre 1617. Il discorso fu pubblicato a Piacenza dal Bazachi nel corso dello stesso anno e non si distingue per particolari doti inventive, come la successiva Orazione funebre in morte del Granduca di Toscana recitata in Parma nel 1622 e stampata dal medesimo editore.
Più interessante, ed anche più elaborata artisticamente è la Funebris pompa Serenissimi Ranutii Farnesii Parmae et Placentiae ducis IV, Castri V…, Parmae 1625. L'opera fu edita dallo stampatore ufficiale della città, il Viotto, e sicuramente si impone sulla occasionalità delle altre offerte oratorie per sincerità di affetto e per rigore di stile.
Qui tutta la sapienza classica dello scrittore viene usufruita per rappresentare il dolore della città privata della sua guida politica, i modelli latini si piegano duttilmente alla volontà di descrivere un solenne lutto in cui tutti sono coinvolti. Tipograficamente lo scenario rievocato dall'orazione venne anticipato da tre grandi rami raffiguranti la facciata del duomo con gli apparati funebri, l'interno della cattedrale affollata per le esequie e il catafalco. Si tratta di visioni che non contraddicono alla solenne esteriorità della prosa del Carissimi.
Ugualmente atteggiata a motivi di alto decoro formale è l'ultima prosa superstite del C.: In funere illustrissimi ac reverendissimi Principis Odoardi Farnesii S. R. E. card. et episc. Tuscul. Oratio Alessandri Carissimi Castri episcopi "habita Parmae in aede D.V. Steccatae die 28 Martii 1626". L'orazione funebre fu edita a Parma dal Viotto nel corso del medesimo anno. Riproduce in forma ancor più distaccata lo stile del precedente lavoro: qui siamo veramente di fronte ad uno spettacolo letterario freddo e solenne, perfettamente architettato nelle movenze stilistiche che ghiacciano, più che non alimentino, l'iniziale fervore religioso e il senso di pietosa solidarietà per il religioso scomparso.
Nel complesso, l'opera del C. non si distacca da quelle che sono le principali componenti della oratoria sacra seicentesca, ripropose con un senso molto coerente del decoro formale, inculcate come un esercizio difficile che intende selezionare pregiudizialmente l'auditorio. Forse in questa rarità del tributo letterario va ravvisato il motivo della scarsa notorietà del C. oltre l'ambiente cittadino. Se comunque la sua oratoria non esorbita dalla portata di avvenimenti contingenti, è possibile distinguere ancora nel C. una cultura non provinciale, articolata secondo le direttive della tradizione barocca, che l'autore parmigiano seppe sapientemente innestare sugli schemi della prosa latina.
Bibl.: L'unica trattazione di rilievo della figura del C. si deve a un articolo di I. Affò compreso nelle Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, V, Parma 1797, pp. 14 s. Cfr. inoltre A. Belloni, Il Seicento.Milano s.d., ad Indicem.