CASTRACANI, Alessandro
Nato a Fano nell'anno 1583 da Vincenzo, dell'illustre e nobile famiglia, e da Cornelia Palazzi, secondo di cinque figli, si recò presto a Roma dove fu luogotenente civile del vicecamerlengo; durante il pontificato di Gregorio XV divenne referendario delle Segnature apostoliche. Nell'ottobre 1628, nel quadro di una vasta azione diplomatica condotta da Urbano VIII, tendente a dare soluzione pacifica alla contesa riguardante la successione a Mantova e nel Monferrato, fu consacrato vescovo di Nicastro e nominato nunzio a Torino.
L'obiettivo che il papa si proponeva era quello di evitare ad ogni costo che lo scontro tra l'Impero e la Francia, entrambi interessati al ducato, sfociasse in una guerra in Italia; oltre a ciò, Urbano VIII era deciso a contrastare in tutti i modi un rafforzamento degli Spagnoli, inevitabile qualora gli Imperiali si fossero insediati a Mantova, ed a frenare la politica espansionistica di Carlo Emanuele I, duca di Savoia, che il papa indicava quale primo responsabile della critica situazione creatasi in Alta Italia. Per agire con quella rapidità che richiedeva il succedersi degli avvenimenti, oltre che per ovviare agli altri inconvenienti posti dalla lontananza del teatro delle operazioni, il papa formò una delegazione che a novembre 1628 si trovava già nel Nord. Antonio Barberini fu nominato legato con incarico di trattare la pace tra le potenze, Giovanni Giacomo Panciroli fu nunzio straordinario per le questioni relative a Mantova e al Monferrato; fu associato alla legazione il giovane e promettente prelato Giulio Mazzarino, mentre il C. doveva occuparsi in modo particolare di appianare le divergenze tra Roma e Torino oltre che d'agire come freno per le ambizioni del duca.
Le questioni sul tappeto erano numerose e tutte legate alla politica della corte sabauda che contestava privilegi e poteri di Roma. Erano in discussione il diritto di nomina alle sedi vescovili ed ai benefici ecclesiastici in genere, la giurisdizione del tribunale dell'Inquisizione soprattutto in rapporto al trattamento da riservare ai nuclei di riformati presenti nelle valli del Pinerolese e di Lucerna (possesso allora dei Savoia), le immunità fiscali pretese dal clero secolare e regolare, le proprietà ecclesiastiche e in particolare la questione dei feudi di Masserano e Crevacuore sui quali Roma esercitava piena potestà.
Il C. interpretò rigidamente le direttive che gli venivano da Francesco Barberini, già di per sé assai poco concilianti per la scarsa simpatia nutrita da Urbano VIII per Carlo Emanuele I e per il successore Vittorio Amedeo I: tutto ciò, alla luce anche di una insufficiente disposizione alla diplomazia che si venne precisando sempre meglio nel corso degli anni, spiega il fallimento che caratterizzò la sua missione a Torino. In Piemonte in quegli anni i problemi europei furono trattati da mani abilissime e con frequenti variazioni nella composizione degli schieramenti, in un succedersi continuo di fatti d'arme, di accordi, di ostilità riprese: ciò contribuì enormemente a rendere difficile il compito del C. il quale, oltre tutto, era stato formato alla scuola di una diplomazia assai esperta nelle trattative sui tempi lunghi ma non abituata a veder contestata la sua posizione di privilegio ed incerta quando doveva trattare contemporaneamente con molte parti, in tempi estremamente brevi.
Se vi era stato un errore di valutazione da parte della Curia romana nella scelta di un uomo non adatto al posto al quale era stato destinato, nel 1634 l'errore fu ripetuto con conseguenze certamente più gravi. Sin dalla primavera di quell'anno il C. aveva saputo che sarebbe stato sostituito da Fausto Cappelletti e nei mesi successivi conobbe la sua nuova destinazione: era stato nominato collettore nel regno del Portogallo, con funzioni equivalenti a quelle di nunzio. Nel dicembre 1634 si imbarcò a Genova e nel marzo 1635, dopo un lungo soggiorno a Madrid, raggiunse Lisbona.
Il Portogallo, unificato alla Corona di Spagna dal 1580, era governato in quegli anni dalla viceregina Margherita di Savoia, in nome e per conto di Filippo IV. Di fatto però le decisioni erano prese a Madrid dal Consiglio del Portogallo all'interno del quale primeggiava la figura di Diego Soarez, mentre a Lisbona il governo era nelle mani di Michele di Vasconcellos, ambedue fedeli esecutori delle direttive di Gaspare di Guzmán, conte-duca di Olivares. Nei confronti di quel regno, la Spagna applicava la medesima politica accentratrice, oppressiva e fiscale che caratterizzava il governo delle province italiane; inoltre, come in Castiglia e Aragona, tendeva a conquistare il controllo delle nomine alle sedi vescovili e, per questa via, della intera Chiesa portoghese. Tale obiettivo però era perseguito senza giungere mai ad una rottura con Roma: Madrid avvertiva chiaramente che, senza l'appoggio finanziario di Urbano VIII, attraverso la riscossione di notevoli somme di denaro dal clero spagnolo, non sarebbe stato possibile continuare la guerra contro i protestanti e i loro alleati francesi che, dopo la morte di Gustavo Adolfo, re di Svezia, erano scesi direttamente in campo contro gli Ispano-imperiali. Dall'altro fronte il papa non poteva spingere le proteste contro la politica di Filippo IV oltre il limite di una rottura dei rapporti che avrebbe arrestato immediatamente l'afflusso continuo di denaro raccolto nei territori controllati dalla Spagna.
Si spiega meglio, con queste premesse, l'Instruttione che Francesco Barberini indirizzò al C. nell'autunno del 1635 e che doveva rappresentare la traccia per la sua attività a Lisbona. "Circa la giurisdizione et immunità Ecclesiastica Vostra Signoria doverà invigilare per non lasciare attaccarla, et usi in questo prudenza in schivar tutte quelle occasioni che la possano portare a cimentare questo punto nel quale i Portoghesi sono tenacissimi" (Barb. lat. 8558, f. 2).
L'avvertimento trovava spiegazione in una serie di vertenze che già si erano sviluppate negli anni precedenti circa le competenze del tribunale della collettoria e sulla legittimazione, per le chiese, a godere i frutti delle "cappelle". Erano questi benefici lasciati alle chiese che comportavano il diritto a godere dei frutti di determinati beni, con l'obbligo di celebrare messe o svolgere altre funzioni liturgiche a vantaggio delle anime degli estinti di un nucleo familiare. Il nome derivava dal luogo stesso dove si sarebbero tenute quelle celebrazioni. Sino al 1630 la Corona non aveva contestato il possesso di quei benefici: successivamente, sia per le necessità finanziarie di Madrid sia per l'accentuarsi della politica cesaropapista dell'Olivares, i ministri regi reclamarono la restituzione allo Stato di quei beni.
L'arrivo del C. a Lisbona coincise con una rinnovata decisa pressione in tal senso. Egli riteneva che Filippo IV e la corte di Madrid non fossero favorevoli a quelle rivendicazioni: è impossibile allo stato attuale delle ricerche capire da cosa gli venisse una simile convinzione; fatto sta che la sua seconda e definitiva débacle diplomatica prese l'avvio proprio da quell'errore di valutazione. Il C. giudicò che la via migliore per rispondere alle prepotenze fosse quella tradizionale della minaccia della scomunica a coloro che contestavano le "cappelle" alle chiese, dell'interdetto alla città se le intemperanze fossero continuate. Accanto a ciò aggiunse di suo il ricorso al re contro i ministri, come avvenne nella primavera del 1636. F. Barberini, venutone a conoscenza, lo dissuase dal proseguire per quest'ultima strada, invitandolo alla moderazione nella conduzione dell'affare. Ma il C. con una mossa del tutto imprevedibile, di fronte ad una vivace reazione dei ministri a Lisbona, nel frattempo aveva accettato di sospendere la questione, rinunciando anche a far valere i diritti di Roma per le "cappelle" già poste sotto sequestro. Il Barberini, a nome di una congregazione straordinaria di cardinali convocata a Roma per la questione, gli manifestò questa volta la sua aperta disapprovazione e gli ordinò di attenersi alle indicazioni che venivano dalla Curia. La sconfessione di Roma lo rese pericolosamente indifeso ed esposto a tutti gli attacchi del Vasconcellos e degli altri ministri, e costoro non tardarono ad approfittarne. Sul finire del 1638, di fronte ad una ripresa della politica di recupero di quei benefici, il C. minacciò di ricorrere alle armi in suo potere. Questa volta la reazione dei ministri fu decisa: il 5 febbr. 1639 ricevette l'ordine di abbandonare Lisbona entro tre giorni, il regno entro la settimana. La sua risposta fu una nuova scomunica contro coloro che avevano materialmente eseguito le usurpazioni e gli avevano notificato gli ordini di lasciare il regno e l'interdetto a tutte le chiese della città.
La sensazione provocata da queste misure estreme fu enorme sia a Lisbona sia a Madrid e a Roma. Qui si sostenne l'azione del C. e si scrisse a Madrid perché Filippo IV sconfessasse il Vasconcellos. Ma nella capitale spagnola si riteneva che tutto fosse avvenuto a causa del carattere del C., amante dei rivolgimenti e delle fratture e perciò che al re spettasse in quest'occasione difendere l'operato dei suoi ministri. A Lisbona il clero accettò per gran parte la linea imposta dal C. e osservò e fece osservare l'interdetto alla città. Non vi fu un intervento diretto e pubblico dell'episcopato portoghese in suo favore in parte perché alcuni dovevano la nomina proprio alla leale obbedienza alla corte di Madrid, in parte perché gli altri intendevano evitare di dover subire anch'essi le conseguenze dello scontro tra il C. e il Vasconcellos.
Di fatto perciò il C. si trovò completamente isolato; il Vasconcellos ne approfittò e fece occupare il palazzo della collettoria, prese prigioniero il C., lo trasportò a forza fuori dai confini del regno (10 sett. 1639) dando esecuzione al decreto di espulsione del febbraio precedente.
Madrid confermò l'operato ingiungendo al C. di portarsi in Aragona e di abbandonare poi la Spagna. Egli invece raggiunse Madrid dove contava di poter ottenere giustizia dal re e perfino dall'Olivares, rimanendovi sino alla primavera del 1641. La rivolta in Catalogna, e poi quella in Portogallo (1ºdic. 1640) con l'ascesa al trono di Giovanni IV di Braganza, contribuirono ad attenuare l'intransigenza di Madrid nei confronti della corte romana e a modificare l'atteggiamento nei confronti del C., almeno per i primi mesi successivi alla rivolta del Portogallo. Ancora una volta però il C. dimostrò la totale assenza di intuito politico: quando Madrid si mostrò favorevole a farlo tornare a Lisbona, egli giudicò di aver conseguito una vittoria per sé e per la Curia romana contro i nemici che lo avevano trattato così duramente; gli Spagnoli invece giudicavano che l'irruenza del C. avrebbe giocato a loro favore a Lisbona nei confronti della nuova monarchia che non era certamente sicura del fatto suo almeno nei primi mesi dopo il colpo di Stato; ma Francesco Barberini non accettò la dichiarazione di disponibilità fatta dall'Olivares e, nel febbraio 1641, comunicò al C. l'ordine di rientrare in Italia.
Partito a maggio da Madrid, il C. in giugno era a Genova, in luglio giunse a Fano sempre in attesa di essere chiamato a Roma per un nuovo incarico, eventualmente per ritornare a Lisbona dopo che fossero stati ripresi i rapporti diplomatici. Questa volta il Barberini si convinse che sarebbe stato meglio utilizzarlo in un settore diverso, e il 22 giugno 1643 il C. ebbe la responsabilità della Chiesa di Fano.
Della sua attività come pastore si ricordano i lavori di restauro della cattedrale e della residenza vescovile, la riapertura del seminario, un sinodo diocesano del quale però non furono pubblicati gli atti; nel 1645 scrisse una succinta relazione sullo stato della diocesi in occasione della rituale visita ad limina.
Morì il 9 dic. 1649 a Fano e fu sepolto nel duomo.
Fonti e Bibl.: L'attività diplomatica del C. è ampiamente documentata dai volumi di corrispondenza scambiata con F. Barberini e conserv. in parte nella Bibl. Apost. Vaticana, in Barb. lat. 6069-6070: Lettere di mons. di Nicastro nuntio in Savoia; Barb. lat. 8549-8552 e 8558: Portogallo. Castracane Collettore;e in parte nell'Arch. Segr. Vaticano, Nunziat. di Savoia, Lettere del Nunzio, voll. 49-50; Lett. di Roma in Torino, voll. 227-228, 240; Nunziatura del Portogallo, Lettere del Collettore, voll. 22-23; Lettere di Roma in Portogallo, voll.153-155. Un quadro generale della politica pontificia che fa ampio riferimento alle missioni diplomatiche del C. è quello tracciato da Andrea Nicoletti nella monumentale Della vita di Papa Urbano Ottavo, in Barb. lat. 4730-4739. La relazione sullo stato della diocesi di Fano durante il governo del C. è contenuta nella cart. Fanensis, pars prima nei fondi della Congregazione del Concilio dell'Arch. Segr. Vaticano. Alcune notizie sulla sua famiglia sono in A. Castracane degli Antelminelli, Genealogia dei Castracane di Fano. Notizie stor. e documenti, Rimini 1896, pp. 63-67. Notizie succinte sulla sua vita e attività diplomatica e pastorale sono nelle opere di B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae, Città del Vaticano 1931, pp. 267, 286; di P. Gauchat, Hierarchia catholica, IV, Monasterii 1935, pp. 185, 256; di H. Biaudet, Les nonciatures apostol. permanentes júsqu'en 1648, Helsinki 1910, p. 260; di L. von Pastor, Storia dei papi, XII, Roma 1961, pp. 741-748. Nulla di più aggiungono opere come quella di P. M. Amiani, Mem. istoriche della città di Fano, Fano 1751, II, p. 279; e la più recente La diocesi di Nicastro, curata da F. Russo, Napoli 1958, alle pp. 256-257. Utili punti di riferimento per il periodo piemontese sono offerti da A. Leman, Urbain VIII et la rivalité de la France et de la maison d'Autriche de 1631 à 1635, Lille 1920, passim;e da R. Quazza, La guerra per la successione di Mantova e del Monferrato (1628-1631), Mantova 1926, passim. Sulla collettoria in Portogallo e gli avvenimenti di quegli anni si veda A. Ademollo, Laquestione della indipend. portoghese a Roma dal 1640al 1670, Firenze 1878; F. De Almeida, História da Igreja em Portugal, III, 2, Coimbra 1917, pp. 29 ss., 709 ss.; J. C. de Freitaz Moniz, Corpo diplom. portuguez. Relaçóes com a Curia Romana, XII, Lisboa 1902, pp. 267-278; D. Redig de Campos, Quatro docum. orig. e inéditos, tirados do Arquivo Secret Vaticano e da Biblioteca Vaticano, para servirem a historia de restauraçae da independencia Portuguesa, am 1640, Coimbra 1940.