VERRUA, Alessandro Cesare Scaglia
Nacque a Torino nel 1592, secondogenito di Filiberto Gherardo, conte di Verrua e di sua moglie, Bianca Ponte di Scarnafigi.
Crebbe probabilmente alla corte di Torino, grazie all’importante ruolo che Filiberto vi rivestiva; nel 1603, poi, sembra che abbia accompagnato, con suo padre e suo fratello maggiore, alla corte di Spagna i figli del duca di Savoia, suoi coetanei, e Giovanni Botero (1544-1617), l'ex gesuita, trattatista politico e precettore dei principi. Seguendo una prassi consueta nelle famiglie dell’élite dell'Europa cattolica, Verrua, come cadetto, fu destinato alla carriera ecclesiastica, mentre il suo fratello maggiore Augusto Manfredo (1581-1637) sposò Margherita dei conti di Biandrate per perpetuare la linea di famiglia e per stringere una importante alleanza politica.
Grazie al potere di suo padre a corte, Verrua ottenne tre abbazie in commendam, S. Maria di Staffarda (1603), S. Giusto di Susa (1613), e S. Pietro di Muleggio (1616). In alcuni momenti della sua vita, con il sostegno della Francia prima e della Spagna dopo, sembrò che potesse persino ricevere la berretta cardinalizia. La promozione avrebbe significato una grande conquista per la famiglia, nonché per la Casa di Savoia; tuttavia non se ne fece nulla. La carriera di Verrua si svolse quasi completamente nel servizio diplomatico, seguendo in ciò il percorso del padre, dello zio e del fratello maggiore, che compirono molteplici missioni per il duca di Savoia, oltre a ottenere diversi uffici a corte e incarichi militari. La cifra di tutta la vita di Scaglia fu nell'intreccio tra il servizio alla Casa di Savoia e la promozione degli interessi della propria famiglia, la cui influenza, per converso, gli permise di raggiungere importanti traguardi di politica internazionale, dai quali, almeno nelle sue intenzioni, il Ducato avrebbe dovuto trarre grandi benefici.
La sua carriera di diplomatico si divide in tre distinti periodi: il primo tra il 1614 e il 1623, si svolse per lo più a Roma; il secondo, 1624-32, tra Parigi, Paesi Bassi, Londra, Madrid e il Nord Italia; il terzo, dal 1632 al 1641, durante il quale fu in esilio nei Paesi Bassi spagnoli.
La prima ambasceria di Verrua fu nel 1614, quando, al momento dello scoppio della prima guerra per il Monferrato, fu inviato come ambasciatore ordinario alla corte papale per negoziare alleanze in favore di Carlo Emanuele I. Si trattava di incarico notevole, in considerazione della importanza a livello europeo della corte di Roma e della scarsa esperienza di Verrua. Pur con un breve ritorno a Torino, egli rimase a Roma fino al 1624. In questa decennale permanenza nella città del papa, acquisì esperienza nel commissionare e collezionare oggetti d’arte e prodotti di pregio per conto del suo signore - un compito che generalmente gli ambasciatori svolgevano - e commissionò ad Alessandro Tassoni, mentre nell'Italia del Nord il duca di Savoia fronteggiava la Spagna in un conflitto armato, un' opera antispagnola, apologetica per il duca, Le Filippiche, che uscirono però anonime. Tassoni più tardi avrebbe scritto che Verrua si era procurata l’ostilità del cardinale Maurizio, il più giovane figlio di Carlo Emanuele I: il cardinale, sosteneva Tassoni, invidiava le evidenti abilità di Verrua.
La seconda, e ancor più intensa fase della carriera di Verrua (1624-32), cominciò quando sostituì il fratello maggiore Augusto Manfredo in qualità di ambasciatore del Ducato di Savoia a Parigi. Ciò avvenne mentre le relazioni tra il Ducato e l’Inghilterra si andavano intensificando, in larga parte grazie agli sforzi di Verrua. Non molto tempo dopo il suo arrivo da Parigi, George Villiers, primo duca di Bunckingham, e favorito di Giacomo I Stuart, soggiornò in Francia per concludere gli accordi per il matrimonio tra il principe Carlo Stuart ed Enrichetta Maria, sorella di Luigi XIII. Dimostrandosi astuto diplomatico e lungimirante cortigiano, Verrua conquistò le simpatie del favorito degli Stuart regalandogli alcuni dipinti. L’iniziativa diede frutti immediati, dal momento che Verrua instaurò una stretta relazione con Buckingham e con il nuovo re, Carlo I. La prova di ciò si ebbe nel gennaio 1626 quando, giunto a Londra per mediare nella controversia provocata dal supporto prestato dagli inglesi agli Ugonotti francesi, egli ricevette una calda accoglienza e beneficiò dell’ospitalità di un altro cortigiano, James Hay, primo conte di Carlisle, con il quale il fratello maggiore di Alessandro aveva già stretto amicizia, al tempo della permanenza di Carlisle a Parigi (una ulteriore dimostrazione di quanto fossero importanti le relazioni della sua famiglia nel raggiungimento degli scopi diplomatici che preseguiva per il Ducato di Savoia). Agli occhi di Carlo I e dei principali cortigiani del suo entourage, Verrua appariva come un cosmopolita e raffinato intenditore di belle arti, doti delle quali essi stessi desideravano dare prova, e che egli metteva al servizio del raggiungimento dei suoi fini politici.
L’apice della carriera di Verrua giunse negli anni 1626-32, quando, sullo sfondo della guerra dei Trent’anni, l’Inghilterra era in lotta sia con la Spagna sia con Francia. L’effettivo controllo esercitato da Buckingham sulla politica estera degli Stuart divenne per Verrua la chiave per raggiungere il suo scopo: usare l’Inghilterra come deterrente per ricavare vantaggi ai Savoia nel conflitto tra le potenze cattoliche che si fronteggiavano nell'Italia del Nord. Nei suoi disegni Francia e Spagna avrebbero dovuto partecipare alle guerre inglesi l’una contro l’altra, rafforzando così la posizione del Ducato. Dopo l’arrivo di Verrua a Parigi, nel marzo del 1626 la Francia, alleata dei Savoia nel conflitto della Valtellina, tradì questa alleanza stipulando la pace unilaterale di Monzón, della quale fu artefice il cardinale Richelieu. Ciò inevitabilmente lo portò a rivedere le sue strategie diplomatiche: Verrua passò dal tentativo di perseguire un’alleanza antiasburgica a quello di mediare per una pace tra Inghilterra e Spagna, che perlomeno da principio inducesse Richelieu a tornare all’alleanza anti spagnola. Buckingham sulle prime si mostrò riluttante a supportare la strategia deliberatamente equivoca di Alessandro, ma la sua posizione mutò all’inizio del 1627, quando il suo agente e collezionista d’arte, Balthasar Gerbier, aprì negoziati informali con il pittore e diplomatico Peter Paul Rubens, agente di Spagna. Seguì un complesso gioco diplomatico lungo tre direzioni che coinvolse Verrua e che durò per tutto il 1627, quando il diplomatico savoiardo lasciò Parigi per Bruxelles, l’Aja e, dal novembre, Londra. Gradualmente, nel corso del 1627, Verrua abbandonò completamente l’idea di sostenere la Francia di Richelieu, e alla fine del 1627 suoi principali obiettivi politici furono non intervenire nella guerra anglo-francese, risolvendo prima il conflitto con la Spagna.
In seguito alla morte del duca Vincenzo II Gonzaga, il 25 dicembre 1627, la guerra in Italia si riaccese nuovamente per la successione di Mantova e del Monferrato, cui ambiva anche il duca di Savoia, sostenuto dalla Spagna. Considerando che le rivolte degli ugonotti, aiutati dagli Inglesi, continuavano, Verrua pensava che la Francia non sarebbe stata in grado di inviare truppe nel Nord Italia contro il Ducato di Savoia. Questa strategia, tuttavia, rimase drammaticamente incompiuta per via dell’assassinio di Buckingham nel 1628, che spianò la strada a una pace anglo-francese, in virtù della quale la Francia poté entrare militarmente in Italia. Verrua continuò a impegnarsi per una pace tra Inghilterra e Spagna e a questo scopo agli inizi del 1629 soggiornò alla corte del re cattolico. Il suo contributo fu registrato formalmente nel trattato di Madrid, firmato tra le due potenze nel novembre 1630.
Fungendo da intermediario nella guerra di successione di Mantova e Monferrato tra Italia del Nord e Spagna dall’estate del 1629 al 1631, Verrua tornò per l’ultima volta a Londra (da Madrid) nel settembre 1631, in qualità di ambasciatore straordinario del duca di Savoia e, a quanto sembra, di agente della Spagna, cosa affatto inusuale considerato che generalmente gli ambasciatori rappresentavano un solo potere emittente. Mentre le sue precedenti missioni londinesi avevano incontrato un favore eccezionale, dal 1631 la sua influenza sulla politica estera inglese conobbe un declino significativo. Morto Buckingham, il regime Stuart aveva voluto disimpegnarsi dai conflitti in Europa.
L’ultima fase della carriera di Verrua si aprì con il richiamo da Londra a Torino, risultato della persistente pressione esercitata dalla Francia sul Ducato di Savoia. Tuttavia, apparentemente, uno stato di cattiva salute gli impedì di ottemperare all'ordine ricevuto. Sembra che nell’inverno 1631-32 egli abbia avuto quello che oggi definiremmo un esaurimento nervoso. Nel marzo 1632 lasciò Londra per una cura di acque termali nella città di Spa nei Paesi Bassi spagnoli: disobbedendo al suo sovrano, di fatto si pose in condizione di esilio volontario. Ma l’esilio fu parimenti una reazione alle concessioni fatte, dopo la guerra di Mantova e del Monferrato, dalla Savoia a Richelieu, che egli reputava eccessive. Da allora, tale fu la reciproca avversione tra i due che il cardinale accusò Verrua di aver tentato di assassinarlo, mentre la cattiva salute di Verrua poteva allo stesso modo essere attribuita alle macchinazioni di Richelieu.
Gli anni nei Paesi Bassi spagnoli non segnarono la fine della carriera politica di Verrua, come d’altronde accadeva sovente per gli esiliati. Egli continuò a operare informalmente per i regimi spagnoli a Bruxelles e Madrid, e infatti mantenne regolarmente contatti con il conte duca di Olivares, valido del re di Spagna, raccogliendo informazioni attraverso una rete internazionale di contatti, con la speranza di far destituire Richelieu. La presenza a Bruxelles, come esule, della regina madre di Francia, Maria de’ Medici, e del suo figlio più giovane, Gastone d’Orléans, insieme a vari aristocratici francesi e clienti politici, rafforzò questa speranza, e Verrua ebbe cura di mantenere visibile la sua presenza pubblica per non perdere lo slancio della sua carriera politica. Il ruolo di Verrua a Bruxelles, in effetti, fu quello di fungere da tramite tra Olivares e la regina madre di Francia. Fu in questo contesto che, durante gli anni Trenta, egli commissionò più di dieci dipinti ad Anthony Van Dyck, inclusi due suoi ritratti oggi conservati alla National Gallery di Londra, volendo sottolineare che la sua carriera politica non era in contrasto con i suoi interessi artistici – il suo contatto con Van Dyck, anzi, può essere retrodatato all’inizio degli anni Venti. È possibile, per giunta, che la prima commissione all'artista si debba far risalire al 1628: un ritratto che reca diverse somiglianze con i due degli anni Trenta. Se la committenza di a Van Dyck serviva a sottolineare la continuità della sua presenza pubblica anche in esilio, essa non sortì risultati rilevanti per i suoi obiettivi politici, poiché gli esuli francesi iniziarono a litigare e a scontrarsi, portando i loro ospiti spagnoli e fiamminghi all’esasperazione. Tuttavia Verrua ebbe un rilevante successo politico in questo periodo. Nel 1634 fu infatti determinante nella scoperta di un complotto della nobiltà fiamminga contro il regime spagnolo.
Durante gli anni di esilio, non troncò mai completamente i suoi legami con il Ducato di Savoia, nonostante le affermazioni del duca Vittorio Amedeo I di non aver contatti diretti con lui. Nel 1634 uno dei due fratelli più giovani di Vittorio Amedeo, Tommaso Francesco, principe di Carignano, giunse nei Paesi Bassi spagnoli per assumere il comando dell’esercito delle Fiandre. Il coinvolgimento di Verrua con Tommaso Francesco destò il sospetto che si stesse mettendo in atto una strategia segreta, forse anche con la connivenza di Vittorio Amedeo I, ufficialmente alleato della Francia, per assicurare ai Savoia legami tanto con la Francia quanto con la Spagna. Questi sospetti furono rafforzati dal fatto che contemporaneamente la stessa famiglia di Verrua si divise nelle lealtà politiche. Durante gli ultimi anni Trenta, mentre Alessandro gradualmente si ritirava dalla politica, due dei suoi tre nipoti lo raggiunsero nei Paesi Bassi spagnoli; il più giovane di questi fu, come lo stesso Scaglia, un abate con commenda. Verrua infatti si adoperò per trasmettere il controllo sull’abbazia di S. Giusto di Susa al nipote. Per i detrattori della famiglia dell'abate sembrava che gli Scaglia di Verrua agissero su due fronti, specialmente quando, durante la contestata reggenza di Maria Cristina dal 1638, la stessa Savoia attraversò un periodo di guerra civile in cui al partito della reggente si opposero i sostenitori dei suoi cognati: Tommaso Francesco e il cardinal Maurizio. Verrua rimase apparentemente neutrale, sebbene la sua famiglia sostenesse entrambe le fazioni.
Anche l’ultimo incarico significativo di Verrua riguardò una committenza artistica e la corte inglese, i due ambiti che avevano segnato tutta la sua carriera diplomatica. In seguito al completamento, nel 1635, della Queen's House a Greenwich (originariamente concepita per ospitare Anna di Danimarca, moglie di Giacomo I e occupata poi da Enrichetta Maria), Balthasar Gerbier contattò il suo vecchio amico Verrua, affinché commissionasse la decorazione degli appartamenti della regina. Verrua ingaggiò allora l’artista fiammingo Jacob Jordaens, ma con lo scopo di tenere basso il prezzo non gli rivelò la committenza regale. Sfortunatamente, le ventidue tele progettate non furono mai completate, poiché Carlo I dovette affrontare la guerra civile.
Il 21 maggio 1641 Verrua morì ad Anversa, dove fu sepolto in abiti da frate francescano nel convento dei recolletti.
Jordaens credette, fino alla fine, che il suo committente fosse stato lui e intraprese anche un’azione legale contro gli esecutori del suo testamento per insolvenza.
Il testamento, scritto dieci giorni prima della suamorte e redatto in duplice copia, offre alcune informazioni interessanti sulla sua vita in esilio. Nella sua residenza ad Anversa, sul Keizerstraat, accolse diversi dipinti e raffinati oggetti d’arte. Tra i beneficiari del testamento vi furono istituzioni ecclesiastiche e devozionali, i suoi parenti superstiti e, cosa interessante, l’esule Enrichetta de Vaudement, principessa di Phalsbourg, indizio di un’amicizia di cui tuttavia non sono rimaste ulteriori tracce documentarie.
Verrua è stato uno dei più celebri diplomatici del suo tempo, sebbene sia stato anche una figura divisiva, oggetto in egual misura di lodi e diffidenze. Abraham de Wicquefort, diplomatico olandese e autore del più autorevole trattato del Seicento sulla pratica diplomatica, L’ambassadeur et ses fonctions (The Hague 1680), fu critico, circa quarant’anni dopo la sua morte, nei suoi confronti: «Il duca [di Savoia] che fu il più ambizioso e incostante di tutti i principi, ebbe in lui [Verrua] il suo confidente, ed egli lo rappresentò nelle trattative più delicate». L’abate ebbe coraggio, aggiunge De Wicquefort, ma mancò di chiarezza di pensiero e fu più efficiente nel portare a termine i compiti piuttosto che nel risolverne i nodi, «e sebbene non fosse annoverabile tra gli ambasciatori più saggi, fu certamente uno dei più astuti». Se Van Dyck creò una straordinaria iconografia di Verrua, la sua immagine politica fu, per converso, quella di un diplomatico fine ma sfuggente, una reputazione molto simile a quella del principe che servì per la maggior parte della sua carriera, il duca Carlo Emanuele I. «Tale padrone, tale servo», come scrisse De Wicquefort.
Brussels, Archives Générales du Royaume, Sécrétairerie d'état et de guerre, 596-600; Arch. di Stato di Torino, Lettere ministri, Roma, 26, 28–31, 33; Francia, 23–28; Inghilterra, 4–5; Spagna, 19–24; Arch. di Stato di Biella, Archivio Scaglia di Verrua, Testamenti, XCVI; Anversa, Stadsarchief, Notarissen Le Rousseau, 1641, 163.; F.A. Della Chiesa, S.R.E. cardinalium, archiepiscoporum, episcoporum et abbatum Pedemontane … historia, Torino 1645, pp. 246 284, 294; G.B. Adriani, Memorie della vita e dei tempi di Monsignor Gio. Secondo Ferraro-Ponziglione Referendario Apostolico, primo Consigliere e Auditore Generale del Principe Cardinale Maurizio di Savoia, Torino 1856, pp. 146, 155, 162 s., 191-199, 204, 207 s., 210, 216, 445-448; Correspondance de Rubens et documents épistolaires concernant sa vie et ses oeuvres, a cura di M. Rooses - C.L. Ruelens, Antwerp 1887-1909, ad ind.; T. Osborne, Dynasty and diplomacy in the court of Savoy: political culture and the Thirty Years' War, Cambridge 2002, passim; T. Mörschel, Buona Amicitia? Die Römisch-Savoyischen Bezeihungen unter Paul V. (1605-1621). Studien zur frühneuzeitlichen Mikopolitik in Italien, Mainz 2002, ad ind.; A. Cifani - F. Monetti, New Light on the Abbé Scaglia and Van Dyck, in The Burlington Magazine, CXXXIV (1992), pp. 506-514; T. Osborne, Anthony van Dyck: A Painter-Diplomat of the Thirty Years' War?, in The Age of Rubens. Diplomacy, Dynastic Politics and the Visual Arts in Early Seventeenth-Century Europe, a cura di L. Duerloo e R.M. Smuts, Turnhout 2016, pp. 181-196; G. Signorotto, Alessandro Tassoni. Cultura politica , fedeltà pubblica opinione, in Alessandro Tassoni , poeta, erudito, diplomatico nell' Europa dell'età moderna, a cura di C. Cabani - D. Tongiorgi, Modena 2017, pp. 19-46.