CHIAPPELLI, Alessandro
Nacque a Pistoia il 20 nov. 1857 da Francesco, medico, e da Clementina Sozzifanti, di nobile e antica famiglia. La sua vasta e multiforme cultura trovò uno dei suoi elementi di formazione già nell'educazione familiare: sin dalla più tenera età ebbe a disposizione le fornite biblioteche di casa Sozzifanti, Franchini e Civinini, famiglie amiche, oltre a quella paterna.
Ebbe un'educazione religiosa attraverso la madre, ma non chiusa al pensiero moderno, attraverso il padre, di moderata fede liberale. Studiò al liceo "Forteguerri", dove ebbe come professore di lettere G. Procacci. Si iscrisse poi alla facoltà di lettere e filosofia dell'istituto di studi superiori di Firenze, dove ebbe per insegnanti, tra gli altri, F. Tocco e F. Fiorentino, che con la loro impostazione neokantiana influirono molto sul suo pensiero.
I primi anni della sua attività di pensatore e pubblicista furono caratterizzati da numerosi, saggi sulla storia della filosofia greca, che gli aprirono la via dell'insegnamento filosofico a Padova (1883), a Firenze (1885) e all'università di Napoli, dove tenne la cattedra di storia della filosofia dal 1887 al 1908, anno in cui egli si ritirò dall'insegnamento per dedicarsi esclusivamente allo studio e alla pubblicistica; inoltre gli fruttarono una lunga serie di cariche onorifiche, da quella di accademico nazionale dell'Accademia dei Lincei e dell'Accademia della Crusca, a quella di senatore del Regno (30 dic. 1914).
Tra il 1881 e il 1904 apparve una serie di monografie su Talete, su Pitagora e Anassimene, su Senofane, Melisso, la sofistica, Socrate, Panezio, sullo stoicismo, e soprattutto su Platone e le sue opere: furono lavori a impostazione filologica, per i quali il C. raccolse il plauso di studiosi autorevoli; particolarmente felice fu un saggio del 1904 (Ueber die Spuren einer doppelten Redaktion des plat. Theaetets, in Archiv für Gesch. der Philosophie [Berlino]) sul Teeteto platonico, in cui si avanzava l'ipotesi di una duplice redazione di questo dialogo: l'anno seguente il Diels e lo Schubart pubblicarono il frammento di un commentario anonimo, che esplicitamente confermava quell'ipotesi.
Contemporaneamente il C. s'impegnava nello studio delle origini cristiane, seguendo con attenzione e competenza, fra i primi in Italia, le scoperte di papiri, testi paleocristiani e frammenti evangelici; egli raccolse gli articoli e i saggi scritti su questo argomento in due volumi successivi: Studi d'antica letteratura cristiana (Torino 1887) e Nuove pagine sul cristianesimo antico (Firenze 1902).
Altro interesse coltivato dal C. fu quello per le questioni politico-sociali: lo dimostrò partecipando appassionatamente al dibattito che, nell'ultimo decennio del XIX secolo, si stava sviluppando in Italia attorno al socialismo e al nascente movimento operaio; egli espresse pubblicamente la sua posizione prima con la memoria accademica Le premesse filosofiche del socialismo (Napoli 1896), in seguito con il volume Il socialismo e il pensiero moderno (Firenze 1897).
Il C. si muove sulla stessa linea revisionista di Bernstein, tanto da anticiparne alcune posizioni, contribuendo al processo di revisione del marxismo in atto in questo periodo.
Il suo approccio al dibattito sul marxismo è caratterizzato dalla definizione del materialismo storico come mero canone interpretativo e dall'accentuazione dell'elemento etico nella lotta politica. La natura del movimento operaio è, appunto, etica (lo sfruttamento capitalistico è l'uso dell'uomo come mezzo e non come fine) e i suoi ideali ultimi coincidono con quelli del cristianesimo; cosicché socialismo e cristianesimo, seppure diversi tra di loro, possono e devono allearsi e conciliarsi. Se il socialismo muta di natura, e secondo il C. ciò stava avvenendo, le classi superiori hanno dei precisi doveri: rinunciare a difendere a oltranza i loro privilegi ed educare il proletariato, attraverso una maggiore diffusione della cultura ed una più avanzata legislazione sociale.
Queste posizioni lo portarono a presentarsi come candidato delle sinistre (presentato dai radicali, ebbe l'appoggio di socialisti e repubblicani) alle elezioni per la Camera dei deputati del 23 giugno 1901 nel collegio di Pistoia II. Pochi giorni prima della votazione, a causa di una pubblica dichiarazione di fiducia al governo, l'appoggio dei partiti popolari gli venne però meno e il C. fu nettamente battuto dal conservatore Morelli Gualtierotti.
Il C. si dedicò anche a studi di arte rinascimentale e letteratura, coltivandoli lungo tutto l'arco della sua vita. I suoi saggi di critica letteraria sullo Schiller e sul Leopardi, e soprattutto su Dante, di cui fu profondo conoscitore, furono pubblicati su varie riviste e poi raccolti in volumi, al pari di quelli sull'arte del Rinascimento, che lo impegnarono fino agli ultimi giorni di vita.
In mezzo a tanta varietà d'indirizzi il filo conduttore della personalità del C. fu però la sua attività di riflessione e rielaborazione intorno ai grandi temi della filosofia contemporanea. La sua opera in questo campo non fu né originale, né profonda, ma rappresentò un momento significativo nella cultura filosofica italiana del tempo, poiché introdusse in essa alcune tematiche, affrontate da filosofi poco conosciuti nel nostro paese, dibattute all'estero e scarsamente considerate in Italia. Il tentativo di superare il criticismo, considerato un equilibrio instabile e provvisorio fra la scienza e la coscienza, fra la ragione e la vita, caratterizza tutto il primo periodo della riflessione filosofica del Chiappelli. Il solo vero e legittimo criticismo è quello che tende a elaborare e a superare Kant: intorno a questo principio, sostenuto dal Windelband e dal Wundt, si fonda l'opera del C. negli anni 1884-1910, che culminò nella raccolta degli scritti di questo periodo in un volume dal titolo molto indicativo, Dalla critica al nuovo idealismo (Torino 1910). La trasformazione che, a parere del C., occorrecompiere, consiste nel procedere dalla kantiana critica della metafisica ad una metafisica critica, o, meglio, ad un "idealismo metafisico", basato cioè sull'esigenza che al fondo della realtà naturale sia presente la razionalità, senza la quale la stessa natura sarebbe inintellegibile e l'apparizione della coscienza inesplicabile.
In questo quadro il C. si avvicina agli idealisti anglo-americani (Green, Royce, Caird, Bradley, Bosanquet) ed entra in una lunga polemica con le correnti vitalistiche e irrazionalistiche, discutendo animatamente in vari articoli il pragmatismo del James e l'intuizionismo bergsoniano. Riaffermando il carattere sintetico e non astratto della ragione, il C. precisa le sue posizioni sui rapporti tra filosofia, scienza e religione.
Se i progressi della scienza esigono il tentativo, da parte di essa, di dare forma e legge alla vita, d'altra parte la applicazione della causalità meccanica al mondo spirituale ripugna alle più profonde persuasioni dell'uomo. Da questa antinomia trae la sua ragion d'essere la speculazione filosofica contemporanea. La scienza riconosce, classifica, spiega, ma non è mai valutazione, mentre la filosofia è scienza dei valori, forma di conoscere superiore a quella scientifica, in quanto la giustifica e la comprende. Nella legge della conservazione dei valori all'infinito, parallela a quella della conservazione dell'energia nel mondo fisico, il C. fonda l'essenza della religione; sulla scia del Lotze e del Hoeffding; la scienza e la religione sono i due aspetti complementari, ambedue compresi nella filosofia, della vita spirituale dell'umanità. Ma quella si fonda e si circoscrive nell'esperienza; questa edifica una realtà che è oltre l'esperienza. Ed è in grado di edificarla, perché nel mondo moderno essa non dipende più da una determinata concezione del mondo (non è più, in altre parole, teologia), ma sa di avere le sue radici nella vita interiore dell'uomo e nei suoi più profondi bisogni.
Questa autonomia della religione, nel rispetto della scienza, legittima le istanze del modernismo; in numerosi articoli, tra i quali occorre ricordare La nuova enciclica e la modernità (in La Tribuna del 22 sett. 1907) e - più importante - Nuove voci sul modernismo (Il Marzocco del 24 maggio 1908), il C. esprime il suo giudizio su questo movimento.
Per il C. il cristianesimo non è solo una dottrina religiosa, ma è anzitutto una rivoluzionaria concezione del mondo e dell'uomo, sì che socialismo, democrazia, umanitarismo non sono altro che la vera sostanza dell'idea cristiana, quale si manifesta nel mondo moderno. I modernisti, dunque, con il loro movimento d'idee, non anticattolico e antigerarchico, ma antimedievale e antintellettualistico, possono far molto per riconciliare la Chiesa con il mondo contemporaneo e la scienza, rappresentati dai moderni metodi di critica storica e biblica. Sono essi a rappresentare e continuare le genuine tradizioni cristiane, i cui caratteri più vitali sono la perfettibilità e la continua evoluzione nella storia; la loro interpretazione simbolica del dogma attinge la sua validità pratica nelle sue attinenze con la vita e con l'anima religiosa. Questo "eterno religioso", sentimento fondamentale e ineliminabile dello spirito umano, è una costante del pensiero del C. e il suo giudizio sul movimento modernista è un suo diretto riflesso.
Negli anni successivi, fino alla guerra, il C. produsse una serie di scritti intorno al tema dell'immortalità dell'anima, compendiati nel volume Guerra,amore ed immortalità (Milano 1916), in cui sostenne, contro il panteismo e l'immanentismo, l'immortalità delle singole anime. In quanto alla guerra e alla posizione da assumere nei suoi confronti, egli si dichiarò prima "neutralista attento" (in La Nazione del 13 dic. 1914); poi fucontrario a un'alleanza con l'Inghilterra, in quanto la sua potenza marittima non avrebbe potuto che nuocere all'Italia (soprattutto in La guerra,l'Italia e la pace futura, nella Rassegna nazionale, 1º nov. 1915, pp. 3-26); infine appoggiò la decisione dell'intervento contro la Germania, giustificando i suoi precedenti atteggiamenti con l'affermare che nel periodo di neutralità era stato giusto essere neutrali, per frenare le impazienze, e gli impeti prematuri, mentre in seguito la posizione migliore era stata quella interventista (cfr. l'introduzione in F. Marazzi-V. Giglio-A. Ravenni, La guerra mondiale, Milano 1932).
Nel campo strettamente filosofico il C. introdusse un parziale sviluppo nella tematica affrontata in precedenza: frutto della nuova fase della sua analisi fu il volume La crisi del pensiero moderno (Città di Castello1920), che raccoglie gli scritti del periodo 1911-20.
La crisi nasce dall'unilateralità delle principali correnti filosofiche del '900, sviluppatesi in seguito alla morte del positivismo: il neocriticismo non supera il dualismo di pensiero ed essere; le dottrine attivistiche sono degenerate nell'individualismo; l'idealismo, immanentistico nega la natura oppure confonde ogni elemento dell'essere nell'atto puro. Occorre quindi fondare il nuovo idealismo, sulla via tracciata da Platone e dal cristianesimo. Il nostro pensiero è, sì, causa della realtà, ma solo nel senso ideale, in quanto la ricostruisce in sé. Lo spirito creatore può, essere quindi solo assoluto e trascendente: il mondo è un sistema di relazioni, unificate da un principio che aduna ciò che è disperso nello spazio e transitorio nel tempo. Questa concezione, che si riallaccia al pensiero americano, di cui il C. traccia una storia, permette di superare, a suo parere, il dualismo di immanenza e trascendenza e di pluralismo e monismo, poiché lo spirito assoluto, unificando il molteplice, non lo annulla, bensì lo vivifica comprendendolo nelle sue più varie forme.
Negli anni dopo la guerra il C. aderì, al fascismo, giustificando tale adesione con l'esigenza di una sintesi di liberalismo, e socialismo, fonte di rinnovamento dell'autorità dello Stato e del prestigio nazionale (cfr. i volumi Distruzione e ricostruzione civile, Ferrara 1922, e Infanzia e giovinezza del secolo XX, Firenze 1929).
Partendo dalle posizioni raggiunte con il volume del 1920, il C. tentò, negli anni che vanno dal 1922 alla sua morte, di fondare un "teismo critico" come sintesi e superamento delle antinomie del neocriticismo e dell'idealismo.
Il C. morì a Firenze il 4 nov. 1931.
Opere: l'elenco di tutti gli scritti del C., fino al 1927 compreso, è stato pubblicato in opuscolo dallo stesso autore, sotto il titolo Laboravi fidenter. Cinquant'anni di opera scientifica e letteraria, Pistoia 1928. Per quanto riguarda gli scritti da questa data fino alla morte, un loro elenco è stato pubblicato a cura di A. Chiti nel Bull. stor. pistoiese, XXXIII (1931), 4, pp. 175-78.
Bibl.: Necr., in Nuova Antologia, 16 nov. 1931, pp. 287 s.; D. Calvari, Ilprof. C. e la scienza psichica, in Ultra, IV (1910), 1, pp. 36-40; G. Gentile, La filos. in Italia dopo il 1850. La fine del neokantismo ital., in La Critica, IX (1911), 5, pp. 338-68 (ripubbl. più succintamente in Le origini della filos. contemp. in Italia, III, 1, Firenze 1957, pp. 127-38); I. Calderone, "Amore,morte ed immortalità" di A.C., in Filosofia della scienza, V (1913), pp. 1-19, 55-72, 129-137; I, Testa, A.C. nella sua vita e nelle sue opere, in Rassegna contemp., VI (1913), 14, pp. 263-78; A. Faggi, A. C. e il suo pensiero, in Nuova Antologia, 16 sett. 1921, pp. 119-33; M. Maresca, Il neocriticismo in Italia, in La filos. contemp. in Italia dal 1870 al 1920, Napoli 1928, pp. 81-84; F. Montalto, Il "teismo" critico di A. C., in Rendic. d. Accad. naz. dei Lincei, classe di scienze mor., stor. e fil., s. 6, VII (1931), 1-2, pp. 3-24; Q. Santoli, A. C., in Bull. stor. pist., XXXIII (1931), 4, pp. 165-71; F. Montalto, A. C., in Ricerche relig., VIII (1932), 1, pp. 61 ss.; F. A. Ferrari, A. C., in Bull. stor. pistoiese, XXXV (1933), I, pp. 1-14; B. Croce, Conversazioni critiche. Serie prima e seconda, Bari 1942, pp. 18 ss.; G. Alliney, I pensatori della seconda metà del sec. XIX, Milano 1942, pp. 121 ss.; E. Garin, Cronache di filosofia ital., Bari 1966, ad Indicem; Enc. filos., II, col. 1369.