ESTE, Alessandro d'
Figlio naturale legittimato di Alfonso d'Este (a sua volta figlio naturale legittimato del duca Alfonso I), marchese di Montecchio, e di Violante Segni - successivamente da lui sposata in seconde nozze -, nacque a Ferrara il 5 maggio 1568. Era fratellastro di Cesare, futuro duca di Modena e Reggio. Il duca Alfonso Il lo tenne presso di sé affidandolo agli insegnamenti di due illustri eruditi del tempo, Antonio Quarenghi e Camillo Coccapani.
Particolarmente versato per le lettere e le lingue straniere, imparò in breve tempo il tedesco, il francese e lo spagnolo, si distinse per la sua eloquenza e per la sua vasta cultura nel raffinato ambiente della corte ferrarese. Con l'intento di avviarlo alla carriera ecclesiastica, il duca Alfonso lo inviò all'ateneo di Padova, ove conseguì brillantemente la laurea nell'una e nell'altra legge.
Dopo la morte del cugino, il cardinale Luigi d'Este, avvenuta il 30 dicembre del 1596, gli fu conferita la prepositura dell'abbazia di Pomposa e l'arcipretura della pieve di Bondeno. Data la sua giovane età la prepositura di Bondeno fu divisa in due benefici: l'uno semplice che gli venne assegnato, mentre l'altro, con la cura delle anime, fu affidato al canonico Gaspare Levacori.
Il 7 apr. 1587 l'E. decise di vestire l'abito ecclesiastico per agevolare i maneggi della diplomazia estense che mirava a ottenere dal papa la sua investitura a cardinale. Nonostante i tentativi compiuti in tal senso dal cugino Luigi negli ultimi anni della sua vita e dagli emissari estensi Guido Calcagnini e Filippo d'Este durante il pontificato di Gregorio XIV, l'E. fu promosso all'ambito titolo solo il 3 marzo del 1599 da papa Clemente VIII, l'artefice della devoluzione ferrarese, che, con tale gesto, volle in parte compensare la casata estense per la perdita di Ferrara.
Dopo la sua creazione gli fu inizialmente conferito il titolo diaconale di S. Adriano in Foro permutatogli poi con quello di S. Maria Nova (15 nov. 1600) e successivamente mutato in quello di S. Eustachio (17 genn. 1621) e di S. Maria in Via Lata (19 apr. 1621). Il 2 ott. 1623 infine, resignata quella diaconia, fu investito del titolo presbiteriale di S. Maria della Pace.
In gioventù l'E. era stato di costumi assai liberi; sono note le sue relazioni con Lucrezia Pio di Savoia e con Giulia Constabile, che lo rese padre di una figlia, Giulia Felice, più tardi fattasi monaca nel convento di S. Geminiano di Modena. In seguito però egli sviluppò una profonda religiosità e una netta avversione per qualsiasi esteriorità che lo portarono a censurare in specie le sfarzose cerimonie della corte pontificia. Liberalissimo verso gli Ordini religiosi, fu protettore dei chierici regolari teatini e fervente sostenitore della loro azione. Con la sua autorità ne favorì l'introduzione a Modena e fece costruire la chiesa di S. Vincenzo.
Accanto all'intensa attività religiosa l'E. proseguì l'azione di sostegno a favore del Ducato estense, consolidando il consenso politico-diplomatico attorno al fratello Cesare, succeduto ad Alfonso II, morto il 27 ott. 1597. Già precedentemente l'E. aveva dato prova di grande responsabilità e lealtà nei confronti del nuovo duca, curando, nel delicato momento per gli interessi estensi rappresentato dalla devoluzione di .Ferrara, il trasferimento della capitale a Modena. Cesare ricorse in più di una occasione ai servigi del fratello, come nel dicembre del 1599 quando lo inviò a Sassuolo a incamerare i beni dell'acerrimo nemico di casa d'Este, Marco Pio.
Divenuto cardinale e forte del prestigio derivantegli dal conferimento del titolo di protettore della Corona spagnola ottenuto il 25 giugno del 1599, l'E. pose la sua notevole influenza al servizio degli interessi estensi. Nel 1608 in virtù del suo personale interessamento riuscì a far concludere le nozze del nipote Alfonso (futuro duca di Modena) con Isabella di Savoia, alla quale rimase sempre particolarmente affezionato. In occasione della guerra della Garfagnana tra Modenesi e Lucchesi (1613) la sapiente opera di mediazione dell'E. con il governatore di Milano mirò a consolidare le vantaggiose posizioni acquistate dall'esercito estense. Nell'ambito di quegli avvenimenti intraprese tra la fine del 1613 e i primi mesi del 1614 un viaggio in Spagna. Accompagnato da un folto corteggio di gentiluomini (tra cui spiccavano il marchese Massimiliano Montecuccoli e Giovanbattista Codebò), fu accolto calorosamente dal re Filippo III, dal quale riuscì a ottenere il riconoscimento dei diritti del duca Cesare sulla Garfagnana e la stabilizzazione della sua area d'influenza sull'Appennino tosco-emiliano.
Tornato in Italia durante il 1614, si trasferì definitivamente a Roma. Qui egli volle rinnovare i fastì e gli splendori dei suoi illustri parenti. Benché dotato di un esiguo numero di prebende e di benefici ecclesiastici, condusse con sé nella dimora di MontecavallO 400 persone tra servi e familiari mantenendo un tenore di vita che nulla ebbe ad invidiare ai più ricchi principi e cardinali della corte romana. L'enorme spesa sostenuta dallo stesso duca Cesare per il suo mantenimento suggerì a qualche malevolo cronista del tempo che la sua nomina era stata voluta in realtà dal pontefice per rovinare la casa d'Este.
I rapporti dell'E. con la corte pontificia risentirono del generale clima di diffidenza instauratosi dopo la devoluzione tra casa d'Este e il Vaticano. Se l'E. non nascose mai i suoi propositi di riacquistare alla dinastia estense l'avita città di Ferrara, d'altro canto dimostrò un acuto senso della realtà impegnandosi attraverso una fitta rete diplomatica alla definitiva legittimazione del fratello Cesare.
Legato da stretta amicizia ai cardinali R. Bellarmino e S. Antoniano e per motivi politici ai cardinali principi Carlo Emanuele Pio di Savoia, A. Medici e 0. Farnese, acquistò una considerevole posizione in seno al S. Collegio. Sebbene non assurgesse al ruolo di capo partito, preferendo fare parte a se stante, fu nei quattro conciavi a cui partecipò uno dei principali fautori dello schieramento contrario al cardinale P. Aldobrandini e al partito francese.
Nel conclave indetto dopo la morte di Clemente VIII l'E. riuscì, grazie all'appoggio fornitogli dai cardinali A. Peretti, P. E. Sfondrati, 0. Acquaviva, F. Sforza e A. Facchinetti, tutti su posizioni filospagnole, a impedire l'elezione dell'Aldobrandini, facendo confluire la maggioranza dei voti su Alessandro de' Medici (Leone XI). Così pure nel conclave che portò all'elezione di Paolo V egli si prodigò con tutti i suoi mezzi a contrastare prima la candidatura dell'Aldobrandini e poi quella dei suoi favoriti. Alla morte di Paolo V, fu artefice di un'abile mossa diplomatica che portò all'elezione a sorpresa di Gregorio XV. Esauritasi la minaccia costituita dal cardinale Aldobrandini, il S. Collegio si era nettamente diviso sul cardinale promosso da S. Borghese e appoggiato dal partito filofrancese; la situazione di stallo venutasi a creare spinse l'E. a candidare il neutrale A. Ludovisi, sul quale confluì inaspettatamente una larga maggioranza di voti.
Nell'ultimo conclave a cui partecipò, l'8 luglio 1623, l'E. s'associò al cardinale S. Borghese in opposizione al partito guidato da L. Ludovisi. L'ondata di malaria che colpì numerosi esponenti del S. Collegio tra i quali lo stesso E. impedì a questo di prendere parte alla votazione finale. Proclamato pontefice Maffeo Barberini, il 29 sett. del 1623 spettò all'E. l'onore di incoronarlo nella solenne cerimonia tenutasi a S. Giovanni in Laterano.
Ormai avanti negli anni, l'E. era stato nominato da Gregorio XV, il 16 ott. 1621, vescovo di Reggio. Nel brevissimo tempo del suo governo donò nel 1622 alla cattedrale una reliquia insigne di un martire tebeo e i corpi dei ss. Aurelio e Aurelia, che furono deposti in un arca marmorea sotto l'altare maggiore. L'E. cercò anche di rianimare il seminario, ma le scarse risorse e la mutazione di sede non permisero un felice esito a quella iniziativa.
Con l'E. si conclude la triade dei cardinali estensi posti a capo dell'amministrazione tiburtina e della villa d'Este. Nominato nel 1605 da Paolo V governatore Tivoli, ebbe lunghe e accanite contese con il cardinale decano T. Galli che pretendeva il possesso della villa in forza una pretestuosa interpretazione del testamento di Ippolito d'Este. Al fine di riportarla per sempre sotto la tutela della sua famiglia, l'E. propose al papa Gregorio XV che il suo possesso fosse assegnato in perpetuo ai componenti laici della casata estense. L'idea. per quanto ardita e ostacolata in primis dal cardinale decano, fu sostenuta opportunamente facendo pervenire al pontefice accurate informazioni sullo stato di abbandono in cui versava la villa dacché era passata sotto la giurisdizione del S. Collegio.
A quella proposta Gregorio XV rispose positivamente promulgando il 10 giugno del 1621 un breve con il quale restituiva in perpetuo la villa di Tivoli alla casa d'Este.
Sotto il governo dell'E. villa d'Este tornò, anche se per un breve periodo, a risplendere degli antichi fasti. Celebri letterati ed artisti, illustri prelati tornarono a frequentare le amenità estensi. Tra questi il Marino, il Tassoni, il Testi, il Rinuccini e il nunzio apostolico in Francia O. Corsini. Amantissimo della musica e del bel canto come testimoniano le numerose opere a lui intitolate (tra le quali si ricorda la dedica dell'Antiparnaso diOrazio Vecchi, Venezia 1597, il più antico tentativo di commedia musicale), l'E. ebbe al suo servizio diversi musici e cantanti.
Sulle orme dei suoi predecessori l'E. intendeva abbellire villa d'Este e renderla tale che non avesse a invidiare "né a Bagnaia né a Caprarola, né a Frascati, né a Pratolino istesso" (Pinelli). Tuttavia solo in parte riuscì a raggiungere tale scopo, soprattutto per la mancanza di fondi adeguati. Ebbe il merito, comunque, di recuperare alla primigenia sede i numerosi oggetti d'arte che vi erano stati levati dai predecessori decani del S. Collegio. Fece inoltre restaurare le condotte idriche recuperando molti dei giochi d'acqua che avevano resa celebre la villa tiburtina. Aggiunse infine nuove varianti alla fontana dell'Organo per opera di Curzio Donato e fece costruire la fontana detta della Ninfa.
Morì a Roma, in seguito ai postumi della malattia contratta durante il conclave del 1623, il 13 marzo 1624.
Dopo le solenni esequie venne sepolto nella cripta della chiesa di S. Maria Maggiore di Tivoli accanto ad altri due cardinali estensi, Ippolito [II] e Luigi. Fu commemorato anche a Modena, con una funzione religiosa tenuta dall'abate Nicola Baccetti dinanzi all'intera corte estense.
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