DE FEO, Alessandro (Sandro)
Nacque il 18 nov. 1905 da Angelo e Maria Bozzi a Modugno (Bari). Dopo una fanciullezza condizionata dai continui trasferimenti del padre (funzionario del ministero degli Interni), che lo portarono a frequentare le scuole elementari a Modugno, il ginnasio a Bari ed Altamura e il liceo a Monteleone Calabro (oggi Vibo Valentia), il D. si trasfeb a Roma dove, obbedendo ad una consolidata consuetudine famifiare, si laureò in giurisprudenza, come altri due dei suoi quattro fratelli, Francesco, poi regista televisivo, e Nicola, anch'egli giornalista, noto con lo pseudonimo di N. Adelfi.
I De Feo, infatti, avevano una tradizione di studi giuridici, nonché di cospirazione politica: di lontana origine spagnola, erano stati deportati a Trani, in Puglia, e lo stesso nonno del D., Alessandro, era stato condannato per attività antiborboniche all'impiccagione commutata, sul palco dell'esecuzione, in domicilio coatto.
Nominato cancelliere giudiziario dopo l'Unità, dopo molti trasferimenti questi si era stabilito a Modugno, dove uno dei suoi tre figli, Angelo, aveva sposato la figlia del sindaco del paese, Nicola Bozzi, avvocato, di una famiglia di proprietari terrierì decaduti dopo un rovescio bancario.
Ma, malgrado la tradizione familiare, la carriera forense non attirava il D., che pure aveva superato gli esami di procuratore legale, quanto la terza saletta del caffè Aragno di Roma, luogo di incontro di scrittori e giornalisti, secondo un certo costume che "sarebbe ben presto divenuto caratteristico del suo personaggio, come lo era già di molti intellettuali del tempo, dal Cardarelli al Cecchi, al Barilli. E il mondo dei caffè romanì - l'Aragno degli scrittori e dei pittori e quelli di via Veneto degli attori e dei cineasti - diventerà uno dei temì narrativi più frequenti nella scrittura del D., motivo centrale del suo primo romanzo, Gli inganni (Milano 1962), e dei racconti de La Giudia (ibid. 1963). Nel 1927 conobbe Velia Mei, figlia di Romano e Assunta Piermarini, che dopo un lungo fidanzamento, sposò a Pompei nel 1938. Il D., partecipando a varie esperienze di rinnovamento giornalistico-letterario (dal lancio dei primi rotocalchi, come Omnibus di Longanesi, all'invenzione di quella nuova formula di periodico che fu L'Espresso di A. Benedetti), ebbe interessi molteplici che lo portarono ad affiancare al lavoro pubblicistico l'attività di scenarista cinematografico e l'esperienza di scrittore.
I suoi esordi giornalistici avvennero sulle pagine dell'Ora di Palermo (all'inizio come collaboratore e successivamente come corrispondente romano), e del settimanale l'Italia vivente, con articoli che richiamarono l'attenzione di Francesco Malgeri, il direttore de Il Messaggero, che nel 1933 lo inserì nella redazione del giornale, prima nella sezione esteri e poi negli spettacoli, affidandogli la critica cinematografica. Il D. ricoprì questo incarico fino al 1943, alternandosi talora a E. Contini anche nella critica teatrale.
In quello stesso periodo cominciò a lavorare nel cinema e, durante la direzione artistica. della Cines da parte di E. Cecchi, collaborò alla sua prima sceneggiatura, firmata con N. D'Aroma, per il film Ragazzo (1933) di I. Perilli, storia di un giovane che, rimasto solo nella grande città, finisce per partecipare ad un furto.
La pellicola, che rimase distrutta, forse per eventi bellici, doveva diventare famosa sia perché, successivamente, fu indicata come il primo esempio della produzione sonora italiana di cinema realista, sia perché fu protagonista di un caso di censura, clamoroso quanto inaspettato. Il divieto di far circolare il film, emanato dopo una proiezione a villa Torlonia, giunse tanto inatteso che Il Messaggero pubblicò egualmente una recensione firmata da E. Contini senza che in realtà la pellicola fosse mai proiettata in pubblico.
Malgrado questo episodio, il D. proseguì con successo la sua attività di scenarista fino agli anni '50, firmando talora anche il soggetto (Lo smemorato, 1936; Documento 1933-1942; Tre storie proibite, 1952), Più spesso solo la sceneggiatura (Re di denari, 1936; Pensaci Giacomino!, 1937; È caduta una donna, 1941; La morte civile, 1942; Una piccola moglie, 1944; Accidenti alla guerra, 1949; Marechiaro, 1949; Europa '51, 1952; La Provinciale, 1953; Vestire gli ignudi, 1954).
Nel frattempo continuò la sua carriera giornalistica collaborando, dal 1937 al 1941, come critico cinematografico ai primi settimanali in rotocalco italiani, Omnibus (1937-1939), Tutto (1939), Oggi (1939-1941). Uscito dalla redazione de Il Messaggero nel '43, fu critico drammatico di Star di E. Patti dall'estate del 1944 all'estate del 1945.
Di formazione crociana (e il crocianesimo resterà sempre uno degli elementi portanti tanto della sua esperienza letteraria quanto della sua concezione del ruolo dell'intellettuale e dell'impegno politico), amico di M. Pannunzio, il D. fece parte di quel gruppo di intellettuali liberali che dopo la Liberazione diedero vita al quotidiano romano Risorgimento liberale, uscendone nel 1946 con Pannunzio (che ne era il direttore) insieme con l'ala radicale del partito. Nel dopoguerra articoli del D. comparvero su molti quotidiani e periodici (Il Tempo, La Stampa, Il Mondo): nel '46-'47 firmò le note romane del Corriere lombardo (da quando sotto la direzione di A. Magliano venne fatta un'edizione del mattino), un giornale nato su un tentativo, non completamente riuscito, di una nuova formula giornalistica, e nel 1948 iniziò il lungo rapporto con il Corriere della sera.
Dal 1953 al 1954 fu critico letterario dell'Europeo di A. Benedetti, con recensioni che successivamente raccolse, in gran parte, in volume (Qualcosa di certo, Firenze 1966). Quando, nel dicembre del 1955, A. Benedetti diede vita all'esperimento de L'Espresso, riunendo vecchi colleghi e collaboratori, chiamò il D. ad occuparsi della critica teatrale, incarico che questi ricoprì, continuando la collaborazione al Corriere della sera, fino a pochi mesi prima della sua scomparsa.
Una scelta delle sue critiche drammatiche fu poi pubblicata, a cura di R. Radice e L. Lucignani nei due volumi postumi di In cerca di teatro (Milano 1972), organizzata in uno schema, già concordato con il D., che ordina più di trecento articoli, in modo da costruire una sorta di storia del teatro del 1900.
Nelle critiche, sempre di tono colloquiale, "da chiaccherata con gli amici al caffè" noterà il Lucignani, si ritrovano tutti i caratteri del personaggio, del critico e dello scrittore, la fedeltà all'estetica crociana e ad un gusto sostanzialmente "classico" che si traduceva nello sforzo di un giudizio meditato, non impressionistico, attento ai valori intrinseci dell'opera e soprattutto all'importanza della messa in scena. Nei suoi articoli teatrali, come precedentemente nelle recensioni letterarie, anch'esse sempre caratterizzate da una ricerca di equilibrio fra innovazione e tradizione, il D. si dimostrava ostile verso i tentativi indiscriminatì di sperimentalismo e di avanguardia, spesso sospettati di tributo alla moda: disponibile verso il "nuovo" di un Beckett o di Genet, il critico era insofferente verso quelli che definiva i "geni apparenti", come Claudel o Andreev, puntigliosamente polemico con gli scrittori "impegnati" anche se si chiamavano Camus, Sartre, Brecht o Weiss, non aveva dubbi sul Living Theater, su Artaud e Grotowski, scopriva autori come Wilcock o Augias, registi come Ronconi, attori come Bene.
Cresciuto nel giornalismo della terza pagina e dell'elzeviro, nel D. narratore si ritrova un certo gusto del bozzetto nel ritrarre, attraverso una scrittura piana ed elegante, sottilmente ironica, tesa a colpire la banalit. delle convenzioni e dei riti di una certa mondanità, la sua esperienza autobiografica di intellettuale meridionale inserito nella realtà romana. P, la Roma dello scirocco, dei caffè e delle trattorie affollati di umanità e di personaggi che ricordano certe pagine di Patti e di Brancati, del quale il D. curò con G. A. Cibotto l'edizione postuma del Diario romano (Milano 1961), nonché degli scritti 1930-1954 raccolti col titolo di Il borghese e l'immensità (ibid. 1973) e pubblicati dopo la sua morte. L'ispirazione autobiografica e il realismo descrittivo, fino quasi alla creazione di romanzi d'ambiente, furono gli elementi della scrittura del D. maggiormente sentiti dalla critica contemporanea, che sottolineò in lui anche il temperamento di critico del costume, e il gusto della, battuta acuta che si innestava profondamente nel carattere umanistico e meridionale della sua cultura.
I suoi tre testi narrativi ebbero un buon successo di critica e di pubblico: il primo romanzo, Gli inganni, vinse il premio Chianciano 1962 e il secondo, I cattivi pensieri (Milano 1967), entrò nella cinquina finale del premio Strega.
Ricoverato in una clinica romana nel luglio 1968 per un intervento chirurgico, il D. morì improvvisamente il 2 agosto per complicazioni postoperatorie.
Fonti e Bibl.: Necrol., in Corr. della sera, 3 ag. 1968, p. 3; in L'Espresso, 11 ag. 1968, p. 4; in Sipario, XXXIII (1968), 268-69, p. 29; in Il Dramma, XLIV (1968), 1, p. 58; D., in Who's who in Italy 1957-1958, p. 330; F. M. De Sanctis, D., in Film lexicon degli autori e delle opere, Roma 1959, p. 138; Repertorio bibliogr. della letterat. italiana, Firenze 1960, p. 70; C. Bo, Il "Diario" di Brancati, in La Stampa, 21 febbr. 1961; G. Vigorelli, Gli inganni romani, in Tempo, 9 luglio 1962, p. 80; C. Bo, Le mosche d'oro fanno concorrenza allo stato civile, in Europeo, 1° luglio 1962, p. 74; A. Bocelli, Gli inganni di D., in Il Mondo, 3 luglio 1962, p. 12; p. Milano, La restaurazione degli inganni, in L'Espresso, 21 luglio 1963, p. 17; E. Cecchi, Aria di Roma, in Corriere della sera, 26 luglio 1963; G. Pullini, Il romanzo italiano del dopoguerra, Padova 1965, p. 219; G. Pampaloni, Prefazione a S. De Feo, Qualcosa di certo, Firenze 1966, pp. IX-XIII; Id., Gli amori del libertino malinconico, in La Fiera letteraria, 13 luglio 1967, p. 19; Prosatori e narratori pugliesi, a cura di F. Ulivi-E. F. Accrocca, Bari 1969, pp. 129-151; R. Radice, Prefaz., e L. Lucignani, Introduzione, a S. De Feo, In cerca di teatro, Milano 1972, pp. III-XIII, XVII-XXV; F. Virdia, Era scontento della sua epoca, in La Fiera letteraria, 6 genn. 1974, p. 21; Diz. gener. degli autori italiani contemp., I,Firenze 1974, pp. 06 s.; N. Ajello, Il settimanale di attualità, in La stampa italiana del neocapitalismo, a cura di V. Castronovo-N. Tranfaglia, Bari 1976, ad Indicem; P. Murialdi, La stampa italiana del dopoguerra, Bari 1978, pp. 34, 173, 299; F. Savio, Intervista a I. Perilli, in Cinecittà anni Trenta, III, Roma 1979, pp. 913 s.; Enc. dello spettacolo, IV, coll. 320 s.