DE STEFANI, Alessandro
Nacque a Cividale del Friuli (Udine) il 1ºgennaio 1891, da Attilio e Giustina Marini. Laureatosi in giurisprudenza, non si interessò mai veramente alla carriera forense, che abbandonò appena intrapresa. Le prime notizie sulla sua attività artistica risalgono al 1916 con i versi di Addiogiovinezza, opera comica in tre atti scritta in collaborazione con Giuseppe Pietri, che ne curò la parte musicale, pubblicata a Milano. Autore di numerosi lavori teatrali e cinematografici di cui fu spesso anche regista, fu al tempo stesso romanziere, scenarista e soggettista oltreché studioso e critico di autori teatrali stranieri (fra gli altri Ibsen, Cervantes e, più di ogni altro, Shakespeare). Specialmente in qualità di commediografo, il D. riscosse fin dalle prime prove larghi consensi di pubblico e di critica. Nella sua produzione si ravvisava un talento non mediocre, in grado di coniugare felicemente tratti di autentica umanità con una intelligente originalità di espressione.
Lo stesso Luigi Pirandello, richiesto su chi fosse a suo avviso "la più brillante speranza del teatro italiano", non ebbe esitazioni nell'indicare il promettente autore friulano (Antonini). E di alcuni motivi tipicamente pirandelliani - quello della pazzia che infine si rivela vera saggezza o quello dell'inconoscibilità della realtà e dell'ingannevolezza delle apparenze, motivi che, del resto, erano ormai ampiamente diffusi nel teatro italiano dell'epoca - il D. si era appropriato, con intelligenza.
Il calzolaio di Messina (1925), che è insieme con I pazzi sulla montagna dell'anno successivo, la più pirandelliana fra le sue commedie, fu rappresentato dalla stessa compagnia di Luigi Pirandello, il che contribuì a sancirne il successo. Negli anni 1925-26 il D. fu tra gli artisti maggiormente impegnati nella promozione di quella Società degli autori la cui fondazione era stata auspicata e autorizzata dallo stesso Mussolini. Insieme con Pirandello, Romagnoli e Bontempelli (fra i maggiori), "a nome di almeno cento scrittori autentici" egli firmò una protesta indirizzata a Mussolini, nella quale lamentava come la commissione designata a giudicare gli scrittori fosse formata da antifascisti o, comunque, che vi venissero accolti "fascistizzati d'ultima ora". Non giovò alla loro causa nemmeno il farsi forti del nome del "comandante", Gabriele D'Annunzio, il quale, invece, inaspettatamente si dissociava e telegrafava al duce ringraziandolo per la "legge esemplare" sulla riorganizzazione della Società italiana degli autori. Svanita la possibilità di avere nel D'Annunzio il loro corifeo, al D. e al suo gruppo non restò che affrettarsi a riconfermare (e calorosamente) la propria entusiastica adesione a Mussolini e alla sua iniziativa, e infatti alla fine del novembre 1926, a nome di tutto il suo gruppo, Pirandello incontrava l'avvocato Paolo Giordani, esponente della Società degli autori, per trattare circa la costituzione di un teatro drammatico nazionale di Stato, del quale dunque il D. fu uno dei fondatori (Alberti).
Passati gli anni Venti, la stagione creativa del D. si prolungò ancora per molto, in un crepuscolo ricco di prodotti francamente convenzionali: smessa la frequenza con i filoni più vivi della drammaturgia contemporanea, finì col mostrarsi sempre più accondiscendente verso i gusti del pubblico più facile. La critica più attenta non mancò tuttavia di rilevare questo progressivo impoverimento, cosicché l'interesse suscitato dalle prime opere si venne lentamente attenuando e lasciò il posto ad un giudizio più severo di complessiva mediocrità che doveva pungere il D. se, intervenendo su Comoedia (X [1932], 4, p. 18) sulla funzione della critica, si dichiarava per la libertà di espressione ma auspicava che anche in Italia si facesse come in Francia, "un po' più di cronaca e un po' meno preoccupazione di dover dare giudizi valevoli per la Storia del teatro", con il rischio - a suo avviso - che dinanzi ad una "critica troppo intelligente" l'autore finisse per scrivere più per essa che per il pubblico. Traduttore di lavori inglesi, francesi, russi e ungheresi (che gli valsero - tra l'altro - il titolo di cavaliere al merito di Ungheria), il D. collaborò attivamente anche ai programmi radiofonici. Al termine della seconda guerra mondiale si trasferì in Argentina, dove continuò a lavorare soprattutto nell'ambito cinematografico. Rientrato in Italia nel 1949 e ripresa l'attività teatrale, vinse il premio Gubbio nel 1955con la commedia Cecilia Romana. Morì a Roma il 12 maggio 1970.
Il D. fu scrittore quantitativamente fecondo, ma le sue opere, tanto quelle scritte per la scena teatrale quanto quelle destinate al set cinematografico, ricalcano - senza originalità e varietà - i temi dominanti dei primi decenni del secolo: l'amore (trattato per lo più in connessione con il tema del peccato) e il sogno dell'avventura come fuga dalla mediocrità del quotidiano. L'azione tuttavia e sempre condotta in modo tale da non offendere il buon gusto e la moralità di quella classe borghese che assisteva agli spettacoli dei quali era in certo qual modo anche "protagonista": i riferimenti sono ambigui e allusivi, stuzzicano l'immaginazione dello spettatore senza ferirlo.
E perciò al peccato vero e proprio, all'adulterio, non si arriva come ne Icapricci di Susanna, in cui il marito risulta ingiustamente sospettato di tradimento o, quando pure vi si giunge, gli si contrappone, immancabile e subitaneo, il ripristino dei valori comunemente accettati, con l'implicita inappellabile condanna di tutto ciò che ha potuto metterli in crisi. Connesso al tema del peccato il motivo della famiglia, in cui i valori sembrano però ridursi a ben piccola cosa: le frasi galanti, i bei vestiti, i gioielli, le crociere. Talora la donna - si veda La regina di Cipro - sembra voler uscire da quegli schemi obbligati che la riducono puramente a bellezza e tentazione, nel tentativo di costruire quella nuova identità che possa darle la possibilità di agire anche in settori diversi da quelli domestici.
Di diverso genere erano state alcune promettenti commedie del periodo giovanile e prima tra tutte Ilcalzolaio di Messina.
Un misterioso giustiziere colpisce inesorabilmente coloro che, nella città siciliana, si sono resi colpevoli di qualche misfatto. Identificato nel calzolaio della città, questi dichiara di aver agito con assoluta tranquillità e serenità d'animo, convinto di compiere un suo preciso dovere nel sostituirsi a quella giustizia ordinaria che risulta troppo lenta e perciò inefficace. La freddezza che il calzolaio dimostra nelle sue esecuzioni è la stessa freddezza che caratterizza anche i suoi rapporti familiari e sociali e che rende più interessante la sua figura: animato solo dal desiderio di giustizia, gli è indifferente tutto il resto, compresa la miseria e le sofferenze della moglie e dei figli. Solo l'errore di uccidere un uomo ritenuto a torto colpevole di un delitto potrà far vacillare il suo sistema: il calzolaio è così costretto a prendere atto della relatività di ogni giudizio, anche di quello che pretende l'assoluta imparzialità e rettitudine. Nonostante l'evidente ascendenza pirandelliana dei motivi, il D. qui rivela qualità di vigoroso sceneggiatore (D'Amico) e l'abilità con cui conduce la commedia gli valse il premio governativo del teatro.
Esiti forse lievemente superiori si intravvedono nella sua produzione narrativa, benché situazioni e personaggi non si distanzino molto dai soliti clichés già sperimentati abbondantemente. Si nota tuttavia nel linguaggio uno stile più curato ed efficace che raggiunge gli esiti migliori - pur non allontanandosi mai da una generale mediocrità - nella raccolta di racconti Gente con me, dove nel giro di poche pagine si tratteggiano storie vere, verosimili o impossibili, molto garbate e piacevoli. In Italia fu tra i primi autori di "gialli", genere nel quale mostrò notevole abilità e capacità.
Filmografia e opere. Tra i film ricordiamo: La sfinge dagli occhiverdi (1918); La bambola e il gigante (1920); Al buio insieme (1933); Amiamoci così (1941); In cerca di felicità (1943). Tra le opere teatrali sono da citare: Angeli ribelli (rappr. a Milano nel 1917 dalla compagnia Carini); Il calzolaio di Messina (rappr. a Roma nel 1925 dalla comp. Pirandello; pubbl. a Milano nel 1926); Ipazzi sulla montagna (rappr. dal teatro d'arte nel 1926; pubbl. in Il Dramma, 1936, n. 240); Icapricci di Susanna (rappr. a Roma nel 1932 dalla comp. Lupi-Borboni-Pescatori; pubbl. in Comoedia, X [1932], n. 4). Una notte a Barcellona (rappr. nel 1937 dalla comp. Gramatica-Benassi, pubbl. in Il Dramma, 1937, n. 264); Il medico e la pazza, scritta in collaborazione con D. Hobbes (rappr. dalla comp. Adani-Cimara nel 1943, pubbl. in Scenario-Comoedia, 1943, n. 7); Cecilia Romana, 1955. Tra le opere narrative: Malati di passione, Milano 1922; Venere dormente, Roma 1929; La crociera del Colorado, Milano 1932; Noi aspettiamo l'amore, ibid. 1936; Il sentiero per la felicità, ibid. 1938; Gente con me, Bologna 1956.
Fonti e Bibl.: B. Croce, rec. a La tragedia di Macbeth, in La Critica, XX (1922), pp. 236 ss.; M. Praga, Cronache teatrali, Milano 1925, pp. 1225, 257 s.; 1926, pp. 118-21; 1928, pp. 177 s.; G. Antonino, Il teatro contemp. in Italia, Milano 1927, pp. 317-29; C. Pellizzi, Le lettere italiane delnostro secolo, Milano 1929, pp. 114, 164, 460; S. D'Amico, Il teatro ital, del Novecento, Milano 1937, pp. 292 s.; D. Cinti, Dizionario degli scrittori ital. classici, moderni e contemporanei, Milano 1939, p. 90; L'Italia e gli italiani d'oggi, a cura di A. Codignola, Genova 1947, p. 290; Chi è? Dizionario degli Italianid'oggi, Roma 1948, p. 333; N. D'Aloisio, I nostri autori, in Teatro-Scenario, n. s., XVI (1952), 17-18, pp. 26 ss.; R. Simoni, Trent'anni di cronaca drammatica, Torino 1954, II, pp. 331 s.; III, pp. 234 s.; IV, pp. 95 s., 101, 171 ss., 253 s., 363 s., 394 s., 399 s., 413 s., 469 s., 480 s., 489 s., 524 s., 583 s.; E. M. Fusco, Scrittori e idee. Dizionario critico della letteratura italiana, Torino 1956, p. 199; Panorama biografico degli Italiani d'oggi, Roma 1956, I, p. 535; F. Serpa, in Enc. dello spett., IV, Roma 1957, coll. 563 s.; G. Pullini, Cinquant'anni di teatro in Italia, Bologna 1960, p. 147; F. Ghilardi, Storia del teatro, Milano 1961, II, p. 622; A. Fiocco, Teatro universale dal naturalismo aigiorni nostri, Bologna 1963, pp. 229 ss.; L. Toeplitz, Il banchiere, Milano 1963, p. 99; G. Pullini, Teatro italiano del Novecento, Bologna 1971, pp. 147, 158; Annuario del teatro italiano, Roma 1973, pp. 625-28; A. C. Alberti, Il teatro nel fascismo. Pirandelloe Bragaglia, Roma 1974, pp. 22-25, 36 s., 50 ss., 97, 102, 106, 109, 168-75, 178, 183 s., 192 s., 196, 334, 337; Diz. univ. dellaletter. contemp., Milano 1960, pp. 1030 s.