Alberti, Alessandro dei conti di Vernio e di Mangona
Figlio del conte Alberto (v.) e di Gualdrada; con il fratello Guglielmo fu erede dei nove decimi dei domini paterni, in conformità al testamento del 4 gennaio 1250, mentre il rimanente andò al terzo fratello, Napoleone (v.). Il 16 febbraio 1248 Alessandro aveva concluso con Bologna un trattato di alleanza tanto stretta da assomigliare piuttosto a una dedizione; nel documento egli si affermò signore di Mangona, Monteacuto e Bruscolo (queste due ultime località sul versante emiliano), e tra le clausole s'impegnò a non venire a patti con il deposto imperatore Federico, con i figli di costui e con gli altri nemici di Bologna, la quale, a sua volta, prometteva di adoperarsi affinché il conte potesse rappacificarsi con la Chiesa. Questa fu un'aperta adesione al partito guelfo, che servì ad approfondire ancor più il contrasto col fratello Napoleone, fervente ghibellino. Questo, scontento com'era del testamento paterno, aveva preso ben presto a farsi giustizia con le proprie forze, spogliando Alessandro, per cui, dopo il febbraio 1259, l'armata fiorentina intervenne e conquistò i castelli di Vernio e di Mangona, riconsegnandoli al legittimo signore, dopo aver smantellato quello di Vernio e aver fatto giurare fedeltà al comune agli abitanti di Mangona. Perciò il conte Alessandro, riconoscente, stabilì nel suo testamento del 1273 che, morendo i propri figli Alberto e Nerone senza discendenza maschile, i ricordati feudi passassero alla Massa della Parte guelfa di Firenze. Da questi fatti, l'inimicizia capitale dei due fratelli, la quale non potè non trovare alimento nella larga donazione fatta nel 1279 da Cunizza da Romano al conte Alessandro e ai suoi ricordati figli. Il 27 e il 29 gennaio di detto anno, un bando pubblico ordinò all'esercito del comune di Prato di tenersi pronto notte e giorno a seguire le bandiere del podestà " in servitium d. comitis Alexandri ". Sempre nel 1279, il cardinal Latino, inviato dal papa come pacificatore delle fazioni fiorentine, si propose di sedare l'inimicizia tra i fratelli A., e sembrò che vi riuscisse, almeno lì per lì. La cronachetta magliabechiana, edita dal Santini, ha serbato ricordo di ciò. L'anno appresso, i tre conti, figli del conte Alberto, ciascuno per sé e per i propri figli, si obbligarono all'osservanza della pace promossa dal cardinale Latino. Ma ormai i solchi tracciati dall'odio fraterno erano incolmabili e invalicabili, e si giunse al micidiale scontro tra i due fratelli, ciascuno dei quali divenne fratricida,e si meritò di essere conficcato per l'eternità nella gelatina dalla Caina dantesca (If XXXII 41-60).
Secondo il Grabher " le figure dei due A., che restano ostinatamente mute e che prime balenarono alla fantasia di D., sono quelle che più rispondono alla fondamentale e iniziale intuizione che il poeta ebbe della ghiaccia, dominata da un tragico silenzio in cui la vita si presenta come impietrata dal gelo ". Infatti in questi personaggi appaiono esasperati tutti gli elementi della pena, e nel loro furioso cozzare come due becchi vediamo una disperata ribellione a quel ghiaccio che, formatosi dalle loro lacrime, li unisce nei corpi con una morsa sempre più serrata, quasi a voler costringere loro, che nella vita avevano calpestato qualsiasi vincolo fraterno, in un abbraccio di odio.
Bibl. - Chartularium Studii Bononiensis, I, Bologna 1909, 50; Villani, Cronica VI 68, che riproduce quasi alla lettera quanto si legge al proposito nel cap. CLX dell'Istoria fiorentina di R. Malispini, 137-138 dell'ediz. Firenze 1718; Toynbee, Dictionary, sub v. (rec. di M. Barbi, in "Bull." VI [1899] 204-205); P. Santini, Quesiti e ricerche di storiografia fiorentina, Firenze 1903, 113; I " Libri bannorum " dei podestà di Prato (1270-1283), II (Bandi dell'anno 1279, primo semestre), a c. di R. Piattoli, in " Arch. Stor. Pratese " XIX (1941) 107-108. Sul personaggio del poema v. soprattutto C. Grabher, in Lett. dant. 613-625; A. Pézard, in Letture dell'Inferno, Milano 1963, 308-342.