Alessandro di Afrodisia e il commento come genere filosofico
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Alessandro di Afrodisia, pur inserendo la sua attività commentaria in una tradizione già raffinata, rappresenta un punto di riferimento fondamentale per i commenti successivi alle opere aristoteliche. I commentatori, infatti, ereditano il suo metodo e citano estratti dei suoi commenti. L’intento esegetico di Alessandro viene però affiancato da un intento interpretativo, dovuto al fatto che quasi tutti i commentatori successivi sono platonici, e quindi portati a fare di Aristotele un passaggio preliminare alla filosofia di Platone.
Fino a poco tempo fa, le sole informazioni su Alessandro di Afrodisia provenivano dalla prefazione del suo De fato: egli dedica il trattato agli imperatori Settimio Severo e Caracalla per la sua nomina a professore di filosofia peripatetica, il che permette di collocare il suo floruit verso il 210. Non si sapeva, tuttavia, di quale Afrodisia si trattasse, né dove Alessandro fosse stato nominato. Ma da poco si è scoperta un’iscrizione che ci fornisce qualche indicazione preziosa:
“Secondo la decisione del Consiglio e del popolo
Tito Aurelio Alessandro, filosofo
uno dei diadochi di Atene
[ha eretto la statua di] suo padre
Tito Aurelio Alessandro, filosofo”
(A. Chaniotis, New Inscriptions from Aphrodisias, “American Journal of Archaeology”, 108, 2004).
Grazie a questa iscrizione, ritrovata a Karakasu, in Turchia, laddove si trovava l’antica Afrodisia, si è avuta conferma di ciò che si supponeva da molto tempo: che l’Afrodisia in cui Alessandro è nato era in Caria, in Asia Minore; e che egli ha effettivamente ringraziato nel suo De fato gli imperatori Settimio Severo e Caracalla per la sua nomina alla cattedra in filosofia peripatetica ad Atene, andando così probabilmente a occupare una delle quattro cattedre imperiali in filosofia stabilite da Marco Aurelio nel 176. L’iscrizione parla di due Alessandro, padre e figlio, entrambi cittadini romani, come attesta il nome Aurelio: ma è chiaro che il nostro Alessandro fosse il figlio.
Per quanto riguarda le sue opere, ne rimangono in lingua greca una dozzina: i trattati personali De anima e De fato, i commenti alla Metafisica, ai Topici e ai Analitici primi di Aristotele, e altre raccolte di piccoli trattati, come per esempio le Quaestiones. Ma Alessandro ha sicuramente composto commenti (oggi perduti, ma menzionati da commentatori successivi) alle Categorie, al De interpretatione, agli Analitici secondi, alla Fisica, al De anima.
Alessandro non è l’iniziatore del genere del commento, ma sembra inserirsi in una tradizione commentaria precedente. Per esempio, nel suo commento alla Metafisica di Aristotele, in riferimento a un passo del libro Alpha della Metafisica (998a7), Alessandro menziona una correzione testuale di Eudoro di Alessandria, il che però non implica necessariamente che Eudoro abbia scritto un commento. In compenso, Alessandro fornisce indicazioni sufficientemente precise per un commento già piuttosto raffinato di Aspasio, filosofo peripatetico più anziano di Alessandro di una generazione.
Il procedimento commentario di Alessandro, che sarà ripreso dai commentatori successivi, consiste in un’analisi dettagliata del testo aristotelico, che viene considerato frase dopo frase. Talvolta il commento è preceduto dal lemma (cioè dalla citazione aristotelica), che costituisce l’incipit della porzione di testo presa in esame; altre volte l’analisi della frase di Aristotele compare all’interno del commento. In diverse occasioni Alessandro cita variazioni di una stessa frase, dando così l’impressione di lavorare con più manoscritti della stessa opera.
La prima questione che si pone è la seguente: perché a un certo punto si assiste al nascere e al proliferare del genere del commento filosofico? Sappiamo che la precedente tradizione commentaria riguardava i poeti o la medicina ippocratica, e che in questi casi la ragione dei commenti era sostanzialmente dovuta all’oscurità del vocabolario o dell’argomento. Alessandro fa spesso delle osservazioni puntuali sull’oscurità di Aristotele (vedi per esempio in An. Pr., ed. Wallies, p. 167, 31; p. 210, 21; p. 225, 1 ecc.; in Metaph. Gamma, ed. Hayduck, p. 251, 1-6), anche se non arriva a introdurre la domanda “perché Aristotele è oscuro?” nella lista delle questioni preliminari poste all’inizio dei commenti, come faranno i neoplatonici (a proposito dell’oscurità che richiede i commenti, vedi Jonathan Barnes, Metacommentary, Oxford Studies in Ancient Philosophy 10, 1992, pp. 267-281).
I criteri esegetici di Alessandro, messi magistralmente in luce da Pier Luigi Donini (si veda per esempio “Alessandro di Afrodisia e i metodi dell’esegesi filosofica”, in C. Moreschini, a cura di, Esegesi, parafrasi e compilazione in età tardoantica, 1995), partono da un presupposto sistematico, che consiste nel ritenere l’opera di Aristotele come una totalità organica e coerentemente articolata di dottrine collegate tra loro. Su questa base Alessandro, il cui intento è sempre e comunque esplicativo, si attiene rigorosamente al criterio esegetico di spiegare Aristotele con se stesso. Anche quando Alessandro, nel tentativo di chiarire dei passi aristotelici particolarmente oscuri, sembra far ricorso a Platone o sembra essere influenzato dagli stoici, occorre sempre preliminarmente cercare i passi paralleli di altre opere aristoteliche. Si può così evitare di attribuire erroneamente ad Alessandro, ortodossissimo aristotelico, dottrine di altre scuole filosofiche, il che ovviamente non impedisce di rintracciare in esso, anche se meno frequentemente di quanto non si creda, influenze platoniche o, suo malgrado, stoiche.
Tutto ciò conduce a pensare che i commenti di Alessandro debbano essere letti esclusivamente come analisi più o meno fedeli e/o riuscite del testo aristotelico. Tuttavia, il commento alessandrista costituisce anche un modo incisivo e affascinante di praticare la filosofia. L’intento sistematico conduce Alessandro a cercare delle soluzioni e dei ragionamenti che provino che le dottrine di Aristotele sono vere, e tali soluzioni e ragionamenti si rivelano spesso (anche se non sempre) intelligenti, originali, e a volte decisamente “oltre” la lettera aristotelica. Siccome questo modo di procedere è rigidamente inquadrato nell’esegesi, l’originalità di Alessandro non viene mai dal nostro commentatore messa in risalto. Un esempio basterà però a illustrarne la verve filosofica. All’inizio del libro Gamma della Metafisica, Aristotele afferma che “vi è una scienza che studia l’ente in quanto ente, e le proprietà che gli appartengono per sé” (Aristotele, Metaph. Gamma, 1003a 21-22). Nel commento relativo, Alessandro interpreta questa frase nei termini di una scienza che studia l’ente in quanto ente, e dimostra le proprietà che gli appartengono per sé (in Metaph. Gamma, ed. Hayduck, p. 239, 6-8). Questa riformulazione, a prima vista stupefacente, di fatto è il frutto di una commistione tra il criterio esegetico di fedeltà ad Aristotele e l’originalità filosofica di Alessandro. Da una parte, infatti, Alessandro si rifà ai criteri codificati da Aristotele negli Analitici secondi riguardanti la scienza dimostrativa, riferimento giustificato dal linguaggio utilizzato da Aristotele nel passo della Metafisica in analisi per parlare dello studio dell’ente (l’utilizzazione, appunto, del termine “scienza” dell’ente, e della formula “proprietà per sé” dell’ente, concetti-chiave della teorizzazione scientifica degli Analitici secondi). Dall’altra, la caratterizzazione forte della scienza dell’ente, e il tentativo di Alessandro, presente in buona parte del suo commento a Gamma, di configurarla e pensarla come tale, rappresentano un contributo sicuramente originale a quella che si chiamerà “ontologia”, non solo nei suoi sviluppi antichi, ma anche in quelli moderni e contemporanei.
Alessandro d’Afrodisia ha notevolmente influenzato la tradizione commentaria successiva. Porfirio ci dice che i commenti di Alessandro erano letti alla scuola di Plotino (Vita di Plotino, 14); il commento di Alessandro alla Metafisica di Aristotele era ben noto e utilizzato dai neoplatonici Siriano (maestro di Proclo) e Asclepio di Tralle (che spesso cita lunghi estratti di Alessandro senza nemmeno citarlo), autori essi stessi di un commento alla Metafisica. Simplicio, nel suo commento alla Fisica, riporta ampi estratti di quello di Alessandro, oggi perduto; Ammonio e Filopono, nel loro commento agli Analitici primi, mostrano di conoscere bene e utilizzano quello di Alessandro, e accade che anche Filopono citi estratti del commento di Alessandro, menzionandolo o meno.
Tra i commentatori platonici successivi ad Alessandro, un posto di primo piano merita Porfirio, di cui possediamo un commento alle Categorie per domanda e risposta, e l’Isagoge, che non è un commento, ma, come dice la parola stessa, un’introduzione ad Aristotele, precisamente alla logica aristotelica, con particolare riguardo alla teoria della predicazione e della costruzione della definizione. Abbiamo poi notizia, attraverso Simplicio, di un commento di Porfirio alle Categorie ad Gedalium, più ampio e articolato; e possediamo frammenti di commenti alle opere platoniche Parmenide e Timeo. I commenti porfiriani sulle Categorie e l’Isagoge hanno profondamente influenzato la tradizione successiva (si noti che, per lo studio delle opere logiche di Aristotele, l’Isagoge era considerata preliminare e necessaria). Per ciò che riguarda gli altri autori platonici, possediamo commenti a opere aristoteliche di Dessippo (discepolo di Giamblico), e di autori appartenenti alle scuole platoniche sia di Atene (Siriano e Simplicio, allievo di Ammonio, a sua volta discepolo di Proclo) che di Alessandria (Ammonio e i suoi allievi, Asclepio di Tralle, Filopono, David). Molti degli autori neoplatonici hanno scritto anche commenti a opere platoniche, di cui sopravvivono quelli di Proclo all’Alcibiade primo, al Cratilo, al Parmenide, al Timeo (nonché le dissertazioni sulla Repubblica), gli scoli al Fedro di Ermia (discepolo di Siriano), i commenti all’Alcibiade, al Gorgia e al Fedone di Olimpiodoro.
Se consideriamo la tradizione commentaria platonica ad Aristotele successiva ad Alessandro di Afrodisia, possiamo constatare che le opere più commentate sono quelle dell’Organon, con una netta preponderanza dei commenti alle Categorie e al De interpretatione. In effetti, possediamo i commenti alle Categorie di Porfirio, Dessippo, Ammonio, Simplicio, Filopono, Olimpiodoro, David (Elias); e abbiamo notizia di diversi commenti al De interpretatione (di Porfirio, di Giamblico, di Siriano, di Filopono, forse di Proclo), oggi perduti. Di Ammonio abbiamo anche i commenti agli Analitici primi, nonché un commento all’Isagoge di Porfirio; di Filopono i commenti agli Analitici, primi e secondi. Vi sono poi commenti alla Metafisica (Siriano e Asclepio), alla Fisica (Simplicio e Filopono), al De caelo (Simplicio), al De generatione et corruptione (Filopono), ai Metereologica (Olimpiodoro e Filopono), al De anima (Simplicio e Filopono). Abbiamo anche notizia di commenti ad altre opere aristoteliche, oggi perduti. In generale i commenti, a eccezione di quello di Porfirio sulle Categorie per domanda e risposta, seguono la tradizione del testo continuo interrotto dai lemmi, cioè dalle porzioni di testo aristotelico in esame.
Come spiegare la netta prevalenza di commenti alle Categorie e al De interpretatione? Innanzitutto, ancora una volta con la difficoltà e l’oscurità dei testi, che richiedono l’intento esplicativo e interpretativo propri al commento. Porfirio, a detta di Boezio – autore di due versioni del commento al De interpretatione in latino, uno per gli studenti, uno per gli studiosi, molto più ricco e pieno di citazioni di Alessandro di Afrodisia e Porfirio –, sostiene che alcuni suoi contemporanei, intrapresa l’opera di commento del De interpretatione, l’abbiano lasciata poi cadere a causa della sua oscurità (Boezio, in De int. editio secunda, ed. Maiser, pp. 293-294). I neoplatonici poi, come per esempio Simplicio, introducono la questione “Perché Aristotele è oscuro?” nella lista delle questioni preliminari poste all’inizio dei loro commenti alle Categorie– lista canonizzata da Proclo, secondo ciò che ci dice David (Elias).
Tuttavia, in generale i criteri esegetici dei commentatori platonici non sono più quelli di Alessandro di Afrodisia. In effetti, oltre alla questione dell’oscurità, l’intento dei commentatori neoplatonici è di mostrare la sostanziale armonia tra Platone e Aristotele, al di là del loro disaccordo superficiale, la qual cosa si risolve spesso in una forzatura delle dottrine aristoteliche a vantaggio di quelle platoniche. I platonici, infatti, ritenevano che Aristotele fosse filosoficamente inferiore a Platone, a motivo del fatto che lo Stagirita rimaneva ancorato al livello delle cose fisiche, anche nel suo occuparsi di cose teologiche. Essi pensavano fosse necessario studiare Aristotele come tappa preliminare per poi accedere al “divino” Platone. Estremamente indicativo è poi ciò che afferma Siriano nel suo commento alla Metafisica, quando dichiara che “nostro compito sarà dire quel che Aristotele non scrive direttamente ma consegue necessariamente alle sue premesse” (in Metaph., ed. Kroll, p. 11, 11-13). Da ciò risulta chiaro come l’intento interpretativo oltrepassasse per loro quello esplicativo, a differenza di ciò che si può constatare in Alessandro di Afrodisia.
Infine, è importante sottolineare che, alle scuole di Atene e di Alessandria, si praticava un insegnamento di filosofia oramai codificato, il cui cuore era costituito dallo studio degli scritti di Aristotele e di Platone e il cui canone era stabilito da Proclo. Il cursus filosofico iniziava con Aristotele, preliminare appunto a Platone. Nelle introduzioni dei commenti antichi alle Categorie, si trovano indicazioni precise sull’ordine dei testi da seguire. Gli scritti aristotelici oggetto di studio sono distinti in tre gruppi: (1) gli scritti di logica; (2) gli scritti di etica; (3) gli scritti di fisica, matematica e teologia. A loro volta, gli scritti logici seguono un ordine ben preciso: preceduti dallo studio dell’Isagoge di Porfirio (che costituisce, come detto, uno studio introduttivo ad Aristotele), venivano studiate le Categorie, il De interpretatione, gli Analitici primi, gli Analitici secondi, le Confutazioni sofistiche, i Topici, la Retorica, la Poetica. Si comprende così il proliferare dei commenti alle Categorie e al De interpretatione, i primi testi di Aristotele letti e commentati; in tale contesto è interessante notare che, dei cinque commenti neoplatonici alle Categorie sopravvissuti– di Ammonio, Filopono, Olimpiodoro, Simplicio e David (Elias) –, solo quello di Simplicio è stato scritto in vista di una pubblicazione. Gli altri sono considerati apo phones, cioè redatti come appunti di allievi anonimi dei corsi orali di Ammonio, Olimpiodoro e David (Elias). È opinione condivisa dagli studiosi che il commento alle Categorie tramandato a nome di Filopono sia in realtà da attribuire ad Ammonio.
Per ogni trattato d’Aristotele, tutti i commentatori considerano come punti capitali da esaminare i seguenti: (1) lo scopo del libro; (2) la sua autenticità; (3) il suo posto nell’ordine di lettura; (4) la ragione del titolo; (5) la divisione in capitoli (questi punti possono essere ricavati da tutti i commenti greci alle Categorie). Dopo lo studio di Aristotele, l’allievo accede alla filosofia del “divino” Platone contenuta nei dialoghi. Anche qui viene seguito un programma scolastico di studi platonici (probabilmente anche in questo caso risalente a Proclo), articolato in dieci punti, comprendenti tra le altre cose le questioni riguardanti lo scopo dei dialoghi, il loro ordine, il perché Platone utilizza la forma letteraria del dialogo, il titolo, i principi della divisione dei dialoghi in capitoli ecc.