ALESSANDRO Etòlo
Così chiamato dalla patria sua (Pleurone in Etolia), contemporaneo di Callimaco e di Teocrito, fiorì all'incirca verso il 280 a. C. Come la maggior parte dei poeti dell'età sua, fu letterato di corte, poeta e dotto grammatico: più di altri sente i difetti dell'erudizione innestata alla poesia. Visse alla corte di Antigono Gonata, in Macedonia, e in quella di Tolomeo Filadelfo, ad Alessandria, che si giocò di lui per l'ordinamento della biblioteca alessandrina, e gli affidò lo studio e la revisione delle opere degli antichi poeti drammatici. Poeta tragico egli stesso, fu uno dei sette astri della scuola tragica alessandrina che prese il nome di Pleiade. In una delle sue tragedie, I giocatori di astragali ('Αστραγαλισταί) rappresentava la morte di Anfiarao ucciso da Patroclo per una contesa giovanile sorta dal gioco. Il soggetto, che ricorda una delle graziose scene più care a poeti e artisti figurativi del tempo, ci rivela il carattere alessandrino di quest'opera che doveva compiacersi di fondere l'antico spirito epico del mito con la contemporaneità della vita borghese. Scrisse pure poemetti: Il Pescatore (sul mito di Glauco), I Fenomeni (cfr. il poema omonimo di Arato), due raccolte di elegie, Le Muse, a quanto pare di carattere storico letterario, Apollo (di cui restano una trentina di versi narranti, in forma artificiosa e fredda, una leggenda amorosa), epigrammi.
I frammenti furono raccolti da A. Cappellmann. Bonn 1830, e in Collectanea Alexandrina di U. Powell, Oxford 1925.
Bibl.: Couat, La poésie Alexandrine sous les trois premiers Ptolémées, Parigi 1882; E. Romagnoli, Musica e poesia nell'antica Grecia, Bari 1911, p. 186 segg.