FABRI, Alessandro
Nacque a Castel San Pietro (Bologna) nel 1691. Dopo un'infanzia passata nel paese natio, il padre Gianpaolo lo mandò a studiare a Bologna presso i gesuiti del collegio di S. Luigi Gonzaga, dove compì gli studi di filosofia, terminati i quali fu invitato, secondo un'usanza allora diffusa, a trasferirsi presso il nobile G. F. Marsigli Rossi. Spinto dal padre a dedicarsi alla giurisprudenza, il F. cominciò a frequentare, sotto l'attenta guida del Marsigli Rossi, i più illustri maestri di quella scienza allora viventi a Bologna, ma non sentendosi inclinato verso la professione accademica, optò per la strada del notariato, conseguendo l'aggregazione presso il Collegio de' notari.
Morto il Marsigli Rossi, il F. fu invitato dal senatore A. Spada a dimorare in casa sua. A questo periodo si fa risalire una ripresa degli studi classici, stimolata dalla mai sopita passione che il F. nutrì nei confronti delle lettere latine e volgari.
Proprio per il senatore Spada il F. compose la sua prima opera, le Rime ed orazioni al marchese Francesco Maria Alderamo Spada (Bologna 1719), per ringraziare il nobile signore di una serie di benefici che gli aveva elargito. L'opera in questione si configura come una vera e propria raccolta antologica: dopo una breve introduzione, contratta e conclusa nel suo fine puramente encoMiastico, il F. passa ad esaminare una serie di poesie scritte per il marchese da alcuni suoi contemporanei, concludendo con un altisonante elogio da lui stesso composto.
Nel 1722 il F. sposò Marianna Santini, figlia di un facoltoso medico bolognese, che lasciò alcuni scritti in prosa e in poesia e condivise con il marito l'interesse per la letteratura. Tale interesse il F. equamente distribuì tra la produzione poetica e quella in prosa. Questa divisione divenne sistematica quando, alla sua morte, i due figli del F. si impegnarono nella raccolta di tutte le opere del padre, sistemandole in due diversi volumi: le Prose (Bologna 1772) e le Poesie (ibid. 1776). Contribuì inoltre ad alimentare la fama del F. anche un'antologia delle sue prose, curata da G. Fantuzzi, la Raccolta fabriana (Monaco 1801).
Fu aggregato a molte accademie, e tra gli arcadi prese il nome di Timecrate. Proprio m occasione dei convegni arcadici e delle adunanze della Sacra Scuola della Conforteria il F. recitò gran parte delle Orazioni contenute nella Raccolta fabriana, tutte molto apprezzate perché perfettamente conformi allo stile oratorio dell'epoca.
Particolarmente significativa appare "Della locuzione oratoria" (p. 169), recitata presso l'Accademia dei Difettuosi il 17 genn. 1716, in cui il F. si esprime riguardo al problema se si debbano imitare e in quale modo gli antichi scrittori. Tranne questa, le altre dodici orazioni contenute nel volume sono di argomento religioso. Seguono le Orazioni alcune lettere familiari. Concludono l'opera due lettere in latino, una inviata a Benedetto XIV (p. 349), l'altra a Carlo VI (P. 352), scritte dal F. in rappresentanza di tutta la cittadinanza bolognese. Nel 1731 il F. era stato nominato aiutante della Pubblica Segreteria, incarico rappresentativo e abbastanza prestigioso.
Se le Orazioni difficilmente abbandonarono l'argomento religioso, le poesie del F. indulgono ai temi più vari. Talvolta il poeta appare rigido e censorio, proteso in un anelito tutto morale di purificazione dei costumi dissoluti, altre volte effimero cantore dei più prosaici piaceri della vita. Talvolta dalla sua lirica trapela la rigorosa formazione filosofica e religiosa, altre volte argomenti frivoli e leggeri prendono il sopravvento. Tra le liriche quella che rese al F. maggiore notorietà fu senza dubbio un sonetto composto e pubblicato in occasione dell'inaugurazione di una statua di Benedetto XIV, che il Senato fece scolpire per rendere omaggio al suo massimo benefattore. Presentato al papa con lettera pubblica, procurò al F. moltissime lodi e un esplicito ringraziamento all'autore stesso e alla città di Bologna (cfr. Lettere brevi, chirografi, bolle di Benedetto XIV, Bologna 1751, p. 39).
Nel 1815 fu rappresentato alla Fenice di Venezia il ballo eroico in 5 atti Giulia Gonzaga, ossia Il trionfo della vera costanza (il cui testo rimase inedito e fu perduto), che il F., morto nel 1768, aveva scritto pochissimo tempo prima di morire. Il soggetto, che si ispira ad un episodio tratto dagli Annali d'Italia di L. Muratori, costituisce un accorato inno alla fedeltà coniugale incarnata dalla protagonista che, pur di onorare la memoria del marito morto, resiste alle prevaricazioni e alle insidie di un focoso ed astuto pretendente. Tema, quello della fedeltà coniugale, particolarmente caro al F., la cui opera poetica è inoltre ricca di figure femminili tratte dalla storia antica e moderna.
Si ha notizia di traduzioni dell'Andria, dell'Eunuco, dell'Eautontimorumeno di Terenzio e dei primi quattro libri dell'Eneide.
Del F. ci è pervenuto un ampio numero di lettere. Si segnalano quelle tra il F. e l'omonimo e meno noto Domenico Fabri, con il quale fu in stretto contatto.
Il F. morì il 21 giugno 1768; fu sepolto presso la chiesa bolognese di S. Maria dei Leprosetti.
Fonti e Bibl.: Delle lettere familiari di alcuni bolognesi del nostro secolo, Bologna 1744, II, pp. 127-151; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, III, Bologna 1783, pp. 276-279; L. Frati, Storia documentata di Castel San Pietro, Bologna 1904, pp. 139, 157, 163.