FARRA, Alessandro
Nacque intorno agli anni Quaranta del sec. XVI a Castellazzo (ora Castellazzo Bormida) in provincia di Alessandria. Di famiglia nobile, il F. ebbe una tipica formazione umanistica e mostrò una particolare passione per la poesia componendo, fin dalla tenera età, versi in latino e in toscano.
Adolescente, si dedicò per alcuni anni con entusiasmo alla vita militare, volendone intraprendere la carriera, ma successivamente, soprattutto per l'insistenza del fratello maggiore Carlo, dottore in medicina e filosofia, si recò a Pavia per addottorarsi in giurisprudenza. Durante il soggiorno pavese si interessò con profitto di filosofia, logica e retorica, non mancando di coltivare costantemente studi letterari.
Entrato nel giro della società colta della città, il F. nel 1562, non ancora laureato, fu nominato membro dell'Accademia degli Affidati di Pavia, da poco fondata. L'Accademia, istituita secondo i criteri dell'epoca nel massimo rispetto ed osservanza della religione cattolica, prevedeva riunioni, spesso pubbliche, durante le quali venivano lette opere, di carattere prevalentemente encomiastico e celebrativo, dei membri associati. In conformità alle regole il F. prese il nome di Desioso a simboleggiare che "il desiderio dell'uomo altro oggetto per cosa principale aver non deve che d'alzar la mente a Dio" (Contile, p. 77) ed assunse come impresa la manucodiata, uccello del paradiso che non si poggia mai a terra.
Nel 1561 pubblicò la sua prima opera: Tre discorsi. Il primo de' miracoli d'amore al... marchese di Pescara. Il secondo della divinità dell'huomo a... Alessandro Foccaro. L'ultimo dell'ufficio del capitano a Hestorre Visconti, Pavia, Girolamo Bartoli (2 ediz., ibid. 1564).
Il trattato, tipico esempio della letteratura concettistica del Cinquecento, fu letto dall'autore nelle adunanze dell'Accademia. In particolare vi si sottolinea il tema dell'amore e della bellezza come espressione della potenza divina dell'universo, evidenziando in tale modo gli influssi della tradizione platonica e ficiniana di cui il F. fu costantemente un seguace.
Nel 1565 fu pubblicata una raccolta di rime dei membri dell'Accademia che comprendeva anche trentatré sonetti del F. (Rime de gli Accademici Affidati di Pavia, Pavia, Bartoli, pp. 81-104). Le composizioni, di ispirazione prevalentemente platonizzante e petrarchista, rivelano, se non una grande originalità, "uno scrittore di facile vena e non ultimo tra gli imitatori del Petrarca" (Vallauri, I, p. 210).
Segno della notorietà raggiunta dal F. fu il suo invio, appena laureato in giurisprudenza, in qualità di ambasciatore di Alessandria presso la S. Sede. Secondo quanto attesta L. Contile, Pio V, affascinato dal suo ingegno e dalla sua eloquenza, lo nominò governatore di Ascoli, dove dimostrò grande prudenza e destrezza politica nel ricondurre all'ordine una cittadina dilaniata da lotte intestine. In seguito screditato da false accuse, fu dapprima destituito dall'incarico e processato, ma poi, riconosciuta la sua innocenza, ottenne l'assoluzione da Pio V.
Provato dall'amara esperienza, il F. abbandonò lo Stato pontificio e si stabilì a Milano, dove fu chiamato dal marchese di Pescara, Francesco Ferdinando Avalos, signore feudale di Castellazzo. Questi nel 1570 lo nominò governatore di Casalmaggiore (feudo concessogli nel 1564: cfr. A. Barili, Notizie stor.-patrie, Parma 1812, p. 50), carica che mantenne anche l'anno successivo. In questo periodo, oltre agli impegni di governo, il F. si dedicò alla stesura definitiva e alla pubblicazione della sua opera più impegnativa il Settenario dell'humana ridutione (Venezia, C. Zanetti, 1571; una seconda edizione riveduta e corretta comparve a Venezia nel 1594 ad opera di Bernardo Giunti).
Il trattato, diviso in sette "ragionamenti", è un tipico esempio di letteratura pitagoricoermetica, in cui sono presenti i temi della tradizione matematica neoplatonica e di quella cabalistica con chiare influenze pichiane. In particolare, nella parte intitolata - con significativa locuzione - "filosofia simbolica", l'autore sottolinea il valore mistico e allegorico delle combinazioni numeriche presenti nei misteri cabalistici, nella simbologia egiziana, nella teologia e nella filosofia pitagorica; tali combinazioni non sono altro che rappresentazioni simboliche delle connessioni profonde che regolano l'armonia, la proporzionalità e la bellezza del cosmo, e nelle quali si manifesta - reificata in simbolo - l'intuizione sensibile di una realtà superiore, cioè il mondo delle idee e "l'infinita inenarrabile bellezza del mondo intellegibile" (Prefazione, p. XVIII).
Nello stesso 1571, venuto a conoscenza dell'improvvisa morte del marchese di Pescara, all'epoca viceré di Sicilia, il F. si recò ad Ischia per portare le sue condoglianze alla marchesa Isabella e rimase al suo fianco per tre anni, come consigliere ed amministratore. Nel 1574 il F. tornò a ricoprire la carica di podestà di Casalmaggiore, alla quale fu riconfermato per due bienni consecutivi. Nel 1576, in occasione della carestia che colpì Milano già fiagellata dalla peste, si preoccupò di inviare in dono alla metropoli cibo e vettovagliamenti. Un gesto liberale e, insieme, politicamente accorto poiché mirava a sanare antichi contrasti tra le due Comunità e a porre le basi per una rinnovata alleanza. Come segno di riconoscenza, infatti, le autorità municipali di Milano concessero, con decreto regio datato 14 dic. 1577, i diritti e i privilegi della cittadinanza milanese sia al podestà sia ai trentasette decurioni della cittadina di Casalmaggiore.
A partire da questa data le fonti relative alla biografia del F. tacciono. Si ignorano il luogo e la data della sua morte che, tuttavia, dovette sopravvenire poco dopo il 1577.
Fonti e Bibl.: L. Contile, Ragionamento sopra le proprietà delle imprese con le particolari de gli Academici Affidati, Pavia 1573, pp. 77 s.; G. Ghilini, Teatro d'huomini letterati, Venetia 1647, pp. 7 s.; T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, I, Torino 1841, p. 210; C. Avalle, Storia di Alessandria, III, Torino 1854, pp. 321 s.; P. Lorenzetti, La bellezza e l'amore nei trattati del Cinquecento, in Annali della R. Scuola normale sup. di Pisa, XXVIII (1922), pp. 105 s.; E. Garin, L'umanesimo italiano, Bari 1957, p. 157; A. G. Cavagna, Libri e tipografia a Pavia nel Cinquecento, Milano 1981, ad nomen.