GALILEI, Alessandro
Nacque a Firenze il 25 ag. 1691, figlio di Giuseppe Maria, proconsole dei notai dal 1707 al 1711, e di Margherita Merlini, figlia del medaglista della Zecca granducale, Marcantonio, e sorella dell'architetto e scultore Lorenzo. Secondo il Milizia, "non sembra che egli fosse della nobile famiglia di Galileo Galilei […] poiché Alessandro per esser ammesso alla Nobiltà di Firenze incontrò degli ostacoli" (1785, p. 249). A Firenze, presso l'Accademia dei nobili, apprese le discipline matematiche e sotto gli insegnamenti di Antonio Ferri si avvicinò alla lezione di B. Ammannati, B. Buontalenti e Michelangelo; lo studio dei trattati rinascimentali e dei principî vitruviani completò la sua formazione. Nel gennaio 1713 si recò, insieme con l'inviato inglese presso la corte fiorentina John Molesworth, a Roma, per conoscere e misurare le architetture degli antichi, visitare le principali collezioni d'arte e, soprattutto, come egli stesso racconta nelle Notizie di Roma, osservare palazzi, ville, chiese e opere di scultura del Cinquecento e Seicento. Su invito di Molesworth membro, insieme con il padre lord Robert, della New Junta for architecture e su suggerimento del senatore fiorentino G.B. Cerretani, il G. si recò nel maggio del 1714 a Londra, con la volontà di approfondire le conoscenze in campo scientifico - come testimoniano i contatti con il Gresham College - e architettonico. Il soggiorno, previsto inizialmente di un anno, si prolungò fino al 1719 offrendo al G. l'opportunità di realizzare le sue prime opere e di confrontarsi con i più importanti architetti inglesi. Nel 1715 progettò le residenze di campagna per Edward Rolt a Sacombie, nell'Hertfordshire, e per Thomas Pelham, duca di Newcastle, a Clermont; in particolare, lo schema di quest'ultima, palladiano, con corpo centrale a più ordini fiancheggiato da basse ali curve e porticate, ritorna nel disegno proposto, nello stesso periodo, per la villa di lord March. La permanenza in Inghilterra si rivelò presto deludente, portatrice più di lunghe attese e frustranti rifiuti che di commesse soddisfacenti. Conscio di non poter tornare subito in patria, per gli scarsi mezzi economici, il G. meditò nel 1716 di accettare l'offerta di trasferirsi a Mahón, nelle Baleari, per occuparsi di ingegneria militare, ma i Malesworth lo convinsero a non partire. Tra il 1716 e il 1717 elaborò alcuni progetti da presentare alla Commission for the fifty new churches (istituita nel 1711 dal Parlamento per edificare a Londra cinquanta nuove chiese), nessuno dei quali venne realizzato.
Delle sette soluzioni proposte, una consisteva in un tempio colonnato su tre lati, con vano rettangolare, volta cassettonata e una galleria con doppio ordine di colonne; le altre si basavano su figure geometriche semplici, ellisse, quadrato, cerchio, ottagono, mosse da nicchie e completate dal portico.
L'opera del periodo inglese che ancora oggi testimonia l'adozione di un linguaggio rigoroso e monumentale è il portico orientale di Kimbolton Castle nel Huntingtonshire, edificato nel 1718 per il duca di Manchester, con colonne su basamento e pilastri d'ordine dorico, trabeazione con metope e triglifi, tetto balaustrato. Durante gli anni 1717-18, su consiglio del surveyor-general T. Hewett, il G. elaborò anche un progetto (non realizzato) per il nuovo palazzo reale, da costruirsi o in St. James's Park o fra Tyburn road e Mayfair: l'architetto previde un sistema di piazze e larghe arterie, corti interne, un'attenta sistemazione del verde e la costruzione di un canale navigabile di collegamento con il Tamigi. Negli stessi anni si occupò della costruzione di residenze di città, non di lusso, insieme con il capitano Nicholas Dubois, ingegnere e traduttore del Palladio per l'edizione inglese curata da Giacomo Leoni: il 30 maggio 1718 i due sottoscrissero un contratto di collaborazione per cinque anni realizzando alcune abitazioni in Old Burlington street, Cork street e Brewer street. Nel settembre dello stesso anno, il G. sposò, con rito cattolico, Laetitia Enrichetta Martin, contro il volere del padre della sposa che la privò della dote.
Il G. operò anche per l'aristocrazia irlandese. Se ebbe esito negativo il tentativo di ottenere l'incarico di ricostruire la chiesa di St. Werburgh a Dublino (1717) e se è incerta l'attribuzione del fronte sud di Drumcondra House, nella contea di Dublino (per cui disegnò un garden temple nel 1718), l'architetto ricevette l'incarico di progettare la prima grande villa palladiana d'Irlanda, Castletown nella contea di Kildare, per sir William Conolly. La residenza, caratterizzata da un corpo centrale massiccio, scarsamente decorato e lineare, da un'ampia scalinata e dalle ali curve colonnate, venne edificata (a partire dal 1724) da E. Lovett Pearce. Nel 1719 collaborò alla realizzazione della villa del duca di Chandos, a Cannons, dove realizzò un garden temple. Due anni prima, R. Bradley, professore di botanica a Cambridge, nel libro The Gentleman's and gardener's kalendar (edito a Londra) aveva pubblicato un progetto del G. per una serra strutturata con un sistema sofisticato di aerazione e di suddivisione degli spazi interni e un semidecagono aggettante al centro destinato ad accogliere le piante più rare e delicate.
I contatti con l'ambiente fiorentino si mantennero vivi per tutto il periodo trascorso dal G. in Inghilterra, ma fu l'incontro nel 1719 con Neri Corsini, impegnato a Londra in alcune trattative diplomatiche per conto del granduca Cosimo III, a dimostrarsi risolutivo per il suo ritorno a Firenze: grazie all'intercessione del marchese presso il granduca, il G. poté rompere il contratto con il Dubois e partire verso il capoluogo toscano. Il viaggio si svolse, a differenza dell'andata, via terra, attraverso la Francia e l'Italia del nord, permettendo all'architetto di visitare Parigi, Lione, Torino, Milano, Piacenza, Bologna: "quando arriverò a Firenze con tutto che sia la mia Patria ci arriverò come forestiero" (Archivio di Stato di Firenze, Carte Galilei, f. E, ins. 5, c. n.n.) scrive a Corsini, in procinto di lasciare l'Inghilterra.
Ottenuta la carica di "Ingegnere delle fortezze e fabbriche del Serenis.mo G.D. di Toscana" (Poso, 1979, p. 188), il G. rimase legato a un ruolo più di tecnico che di architetto: insoddisfatto della nuova posizione, in varie occasioni meditò di tornare in Inghilterra o di sistemarsi presso altre corti italiane, non trovando nel granduca Cosimo III l'interlocutore desiderato. A Firenze tuttavia ebbe la possibilità di frequentare gli ambienti culturali e scientifici più attivi e di confrontarsi con eruditi, teologi e pensatori che animeranno in seguito la corte romana, mentre mantenne saldi i contatti con l'ambiente inglese legato al grand tour. In questo periodo il G. si occupò principalmente di ingegneria idraulica progettando macchine, consolidando gli argini dei fiumi Ombrone, Mugnone e Serchio, razionalizzando e adeguando acquedotti, in particolare quello di Montereggi che serviva palazzo Pitti (1720-24): nella stessa occasione realizzò una torre piezometrica al Maglio, presso porta S. Gallo.
Il G. scrisse anche un trattato di architettura civile (Dell'architettura civile e dell'uso e modo di fabbricare e dove ebbe origine, conservato nell'Archivio di Stato di Firenze, Carte Galilei: cfr. Malservisi, 1991), iniziato probabilmente durante il suo soggiorno inglese e continuato a Firenze, mai concluso, nel quale, forse nell'intento di offrire uno strumento tecnico e pratico per gli architetti non solo italiani (ne redasse contemporaneamente una versione in inglese) basato sui maggiori testi rinascimentali, descrive le caratteristiche dei materiali, il giusto modo di elevare edifici, ponti e porti, dimensionare gli ordini, realizzare elementi costruttivi. Nel 1722 svolse una relazione sui lavori di consolidamento da farsi nella fortezza di S. Barbara a Pistoia e progettò un nuovo acquartieramento (di sedici stanze) nel forte di Belvedere a Firenze. Nello stesso anno vennero avviati i lavori di costruzione della galleria degli stucchi in palazzo Cerretani a Firenze conclusi nel 1724.
La sala, rettangolare, è caratterizzata dalla ripetizione del rigoroso gioco di specchiature e nicchie, destinate a busti e statue e dall'uso dominante dello stucco, che permette di legare, con un risultato di grande nitidezza, figure geometriche e alcuni piccoli elementi decorativi (tralci, nastri e putti dorati).
Contemporaneamente alla galleria Cerretani, il G. iniziò l'edificazione dell'oratorio di S. Maria del Vivaio a Scarperia, raro esempio nella Toscana fra Seicento e Settecento di tempio a pianta centrale.
Esso si basa sulla combinazione di una croce greca che determina i fronti laterali (più stretti), quello posteriore (con la sagrestia), la facciata principale (rimasta incompleta), e del corpo centrale cilindrico con la cupola, nascosta all'esterno da un alto tamburo; l'interno è scandito da lesene molto allungate, d'ordine corinzio, e uniformato dallo stucco bianco degli ordini, delle nicchie, degli altari e della cupola.
Il 5 giugno 1728 il G. venne eletto membro dell'Accademia Etrusca di Cortona e si occupò della ristrutturazione dei locali, in palazzo pretorio, destinati ad accoglierla. A Cortona redasse un parere sui lavori da farsi nel duomo (degrado della tribuna) e nella chiesa di S. Margherita; per l'auditore fiscale Girolamo Venuti progettò l'ampliamento della villa di Catrosse, con la sistemazione degli annessi e del parco, la realizzazione dei condotti di canalizzazione, di vasche, bacini di raccolta e del sistema fognario. I lavori, iniziati nel luglio del 1726, si interruppero quando la tenuta passò a Marcello Venuti, che li affidò a Marco Tuscher. Per la compattezza e la semplicità degli elementi decorativi, il corpo a tre piani realizzato dal G. richiama la tradizione delle ville cinquecentesche toscane.
Parte dell'attività professionale del G. riguardò la stesura di stime per cause legali e accertamenti di proprietà di beni immobili, pareri e perizie sulle condizioni di fabbricati, relazioni su restauri.
Tra questi interventi si ricordano la sistemazione del tetto dell'abbazia di S. Galgano (gennaio 1724), lavori in S. Francesco a Terranuova Bracciolini (luglio 1722) e nella villa medicea di Cerreto (1724); a Firenze, nella chiesa di Ognissanti (1725), nel palazzo di Giustizia (luglio 1725 - ottobre 1726) e nella cupola di S. Lorenzo (settembre 1726).
Nella Relazione dei lavori da farsi nel battistero di Firenze, redatta nel 1723, il G. propone la sua idea di architettura, fatta di "bella simmetria", ed "esatta proporzione", frutto di un "disegno puro, liscio e semplice" fondato sull'imitazione dell'antico; contro la pratica comune che si allontana da "quella bella semplicità dalla quale depende tutto il fondamento principale dell'Architettura" ma che indulge nell'uso di "linee curve, scartocci, grottesche e figure e Dio sa quanti ornamenti strani e superflui che non hanno proporzione" (Toesca, 1953, pp. 54 s.).
Nel dicembre del 1730, su incarico dei Corsini, il G. realizzò un nuovo altare per il monastero di S. Gaggio, con marmi preziosi e un attento accostamento cromatico, che ricorda il monumento funebre realizzato nel 1726 per il committente inglese E. Gascoigne e spedito a Londra via mare da Livorno.
Sempre a Firenze il G. fu impegnato nell'allestimento degli apparati funebri e dei catafalchi in occasione delle esequie di Margherita Luisa d'Orléans granduchessa di Toscana (1721), di Giovanna Guidi dama d'onore della marchesa Vittoria Della Rovere (1723), del granduca Cosimo III (1723), di Luigi I re di Spagna (1724), della principessa Violante di Baviera (1731): in queste occasioni propose schemi semplici, basati su figure geometriche, non sempre riscuotendo il plauso dei concittadini.
Dopo l'elezione nel 1730 di papa Clemente XII (Lorenzo Corsini) e la nomina a cardinale di suo nipote Neri Corsini, l'attività professionale del G. si spostò a Roma: nel 1731 riesaminò i progetti e i modelli presentati negli anni precedenti per la sagrestia di S. Pietro. Il G. propose un edificio rettangolare a più piani posto lungo il fianco meridionale della basilica, lontano dalla sagrestia esistente ma la perizia e il progetto non vennero accettati dalla Congregazione preposta (anche per il parere fortemente critico di F. Juvarra). Nello stesso anno progettò una villa ad Anzio per Neri Corsini (con un'ampia galleria verso il mare e, verso terra, una scalinata che corre lungo i bracci laterali sporgenti) realizzata in seguito da N. Michetti (1732-35), e, secondo alcune fonti (Belli Barsali, 1970, p. 440), una villa per il cardinale Giuseppe Maria Ferroni sul Gianicolo, a tre piani, con torretta belvedere, fasce e spigoli bugnati e portico d'ingresso.
La prima grande commissione romana fu il progetto per la cappella Corsini in S. Giovanni in Laterano realizzata tra il 1731 e il '35.
La pianta della cappella è a croce greca, con cupola a sesto acuto e cripta sepolcrale sottostante. Il partito decorativo appare legato esclusivamente all'uso dei materiali, all'accostamento dei marmi (con circa sedici varietà), all'uso degli stucchi bianchi e dorati; le sculture, limitate ai depositi funebri, ai pennacchi della cupola e ai fianchi delle finestre, seguono le rigorose indicazioni dell'architetto; a caratterizzare l'ambiente sono invece la ripetizione degli elementi, il richiamo continuo fra parti distinte ma simili, la riproposizione, bidimensionale, della cassettonatura di volte e cupole sul pavimento.
Il 18 luglio 1732 il papa assegnò ufficialmente al G., fra accese polemiche, l'incarico per la facciata di S. Giovanni in Laterano, dopo l'esito non definitivo del concorso, al quale avevano partecipato ventisette architetti e che, nel giudizio della commissione, premiava i progetti del G. e di L. Vanvitelli. Il G. si occupò anche della realizzazione della facciata del palazzo lateranense, verso la basilica, fedele al disegno di D. Fontana e propose la sistemazione della piazza antistante, avviando l'operazione di trasferimento del triclinio leoniano.
La facciata galileiana rispondeva pienamente alla volontà di rigore, semplicità e asciuttezza auspicata dai Corsini. Ripartita in cinque campate da paraste composite su alto basamento, venne, su suggerimento dei committenti, resa meno severa dall'introduzione di colonne per la parte centrale, dalla loggia delle benedizioni, in forma di serliana, dall'alta balaustrata con le statue dei santi e del Salvatore al centro. Accanto a scelte autonome, si possono trovare riferimenti agli esempi inglesi (da Christopher Wren alla rilettura dell'opera palladiana), semplificazioni di temi berniniani e richiami alle architetture di Michelangelo, C. Maderno e a molta produzione del tardo Cinquecento.
Tra gli altri incarichi svolti dal G. a Roma, nel biennio 1734-35, si ricordano la sistemazione della cappella del maschio e la costruzione di un ascensore in Castel Sant'Angelo. L'ultimo incarico importante ricevuto dal G. fu la progettazione della facciata di S. Giovanni dei Fiorentini (1733-37), sempre a Roma.
Scartata l'ipotesi, suggerita da G. Bottari, di adattare il progetto michelangiolesco per S. Lorenzo a Firenze, il G. optò per lo schema basilicale, richiamandosi a soluzioni del Cinquecento romano e soprattutto agli esempi di S. Serlio e Antonio da Sangallo il Giovane, ma operando una forte semplificazione: due ordini di colonne corinzie, timpano centrale raccordato da due volute geometrizzate, balaustrata con tre statue per lato; la verticalità del fronte è aumentata dal sopraelevarsi, per notevole altezza, del timpano rispetto alla quota del tetto.
Il G. morì a Roma il 21 dic. 1737 e venne sepolto in S. Nicola in Arcione.
Il primato dell'architettura sulla decorazione, la libera interpretazione dei trattati rinascimentali e, insieme, della tradizione, il razionalismo di matrice scientifica, l'uso ripetuto della geometria degli elementi e dei rapporti di simmetria rappresentano, nel loro insieme, alcune delle caratteristiche emergenti dell'opera del G. tesa a ottenere un linguaggio misurato e rigoroso, nel quale si fondono le influenze fiorentine, romane e inglesi.
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