GIRIBALDI, Alessandro
Nacque il 4 nov. 1874 a Porto Maurizio; trascorse la giovinezza tra Oneglia, Sanremo e Genova, al seguito del padre Raffaele, ufficiale nelle capitanerie di porto. Compiuti gli studi classici, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Genova, senza tuttavia mai conseguire la laurea. Negli anni universitari si legò di una profonda amicizia con i fratelli Baratono, Adelchi e in particolare Pierangelo, con il quale, nel 1897, fondò la rivista Endymion, della quale fu direttore responsabile.
Il periodico, che ebbe vita piuttosto breve, fu ispirato a un programma di collegamento tra le varie arti, secondo una prospettiva - testimoniata dall'articolo Verso il secolo novo, apparso sul quinto numero della rivista - di apertura del ristretto orizzonte culturale italiano della fine di secolo a una dimensione più europea. Il G. si venne così rapidamente caratterizzando come uno dei più attivi e impegnati rappresentanti del gruppo dei simbolisti liguri, composto, tra gli altri, oltre ai fratelli Baratono, da M. Malfettani e A. Varaldo.
Insieme con questi ultimi due, nel 1897 diede alle stampe Il primo libro dei trittici (Bordighera), una singolare raccolta di trentanove sonetti suddivisi in tredici trittici, dedicati ad argomenti vari, alcuni dei quali tipici del repertorio simbolista, come la danza, lo specchio o l'ombra.
Si tratta di uno dei documenti di maggiore spicco della breve, ma non per questo poco significativa, stagione del simbolismo italiano, il quale attirò l'attenzione del poeta G.P. Lucini, che del G. divenne ben presto corrispondente e sostenitore. In particolare, Lucini riconobbe al G. le qualità del "filosofo beffardo" che, con "uno stile tutto nerbo e malizia", si distinse per il ruolo tutt'altro che secondario esercitato nella campagna in favore dello svecchiamento della letteratura italiana, condotta sulle pagine di alcune delle riviste che animarono il fervido panorama culturale della Liguria di fine Ottocento.
Il vigore polemico, talvolta ferocemente sarcastico, della scrittura critica del G. si concretizzò specialmente in una serie di articoli, pubblicati sulla rivista L'Iride tra l'aprile del 1897 e il febbraio dell'anno successivo, dedicati alla poesia italiana contemporanea. Dal marzo al novembre dello stesso 1898, il G. fu inoltre redattore, con l'amico Varaldo, del quindicinale Il Secolo XX. In questi anni le sue collaborazioni alla stampa periodica furono assai numerose, indice di un generoso impegno militante; vanno ricordati almeno gli interventi sul Giornale del popolo, per il quale svolse l'attività di critico teatrale, su L'Idea liberale e sulla Domenica letteraria, dove uscirono alcune sue liriche.
Critico militante dalle opinioni fortemente radicate, il G., tuttavia, non fu mai persuaso nella stessa misura dalla propria produzione poetica, sempre affidata a riviste e mai pervenuta alla pubblicazione, in vita, di un volume di liriche. Il segnale più considerevole di questa inquietudine di fondo è costituito da un episodio del 1898, vale a dire la decisione di ritirare il testo, già in bozze, della raccolta di sonetti intitolata Animulae, in corso di stampa presso l'editore Barboni di Castrocaro.
La poesia di questo periodo è contrassegnata da un gusto per l'astrazione (non a caso ricorre assai spesso il termine "anima") e per la metafora che lega astratto e concreto in una dimensione sospesa tra l'onirico e il visionario. Essa si presenta come il risultato del tentativo, elaborato anche attraverso gli scritti polemici (senza dubbio sulla scorta di suggestioni provenienti ancora una volta da Lucini), di affermare una linea simbolista decisamente alternativa al gusto estetizzante propugnato dall'imperante modello dannunziano.
Questa posizione, contraddistinta dall'usuale tenore satirico e sempre più destinata a rimanere isolata, fu sostenuta con particolare energia nella rubrica "Lanterna di vagabondo", tenuta sulle pagine di Vita nova, il periodico fondato da A. Arecco e P. Baratono, con il quale il G. collaborò, anche con testi poetici, dal 1902 al 1904. La progressiva perdita di fiducia nel proprio lavoro di scrittore vissuta dal G. nei primi anni del nuovo secolo si aggravò fino a precipitare in un sostanziale silenzio nel 1903, a seguito di un evento assai doloroso.
Nella notte tra il 28 e il 29 agosto di quell'anno, infatti, nel corso di una rissa in galleria Mazzini a Genova, il G. uccise accidentalmente il commerciante G. Bonavera. Immediatamente arrestato, trascorse dieci mesi nel carcere di Marassi e venne liberato soltanto alla fine di giugno del 1904, alla conclusione di un processo che lo mandò assolto.
Tale terribile esperienza gli ispirò I canti del prigioniero, che però - secondo la successiva testimonianza dell'amico A. Baratono - rifiutò di pubblicare, nonostante avesse ricevuto un'offerta da un grande editore.
Nei testi relativi al periodo della prigionia è possibile constatare una trasformazione della scrittura poetica del G., la quale diviene evidentemente più cupa, pervasa com'è da un profondo senso di morte e di "gelido sconforto", nonché più attenta alla registrazione delle angosce esistenziali. Lo stile, di conseguenza, rende esplicita tale crisi, facendosi più secco e più franto, e ciò nonostante meno enigmatico, rispetto alle cadenze più distese dei sonetti della prima fase della produzione poetica.
L'attività pubblica del G. scrittore si chiuse pertanto nel 1904; da quel momento, egli si dedicò quasi esclusivamente alla propria carriera di ufficiale nelle capitanerie di porto, intrapresa nel 1896 a Genova, dove fu impiegato fino al 1904. In seguito egli prestò servizio nelle sedi di Santa Margherita dal 1905, di Camogli dal 1907 e di Chiavari dal 1911. Nel 1919 divenne comandante del porto di Salerno, per poi passare l'anno successivo a Chioggia.
Congedatosi, nel 1925 si ritirò definitivamente con la moglie Attilia Rosso, sposata nel 1905, a Chiavari, dove morì, il 13 genn. 1928.
Postuma uscì, a Genova nel 1940, con una presentazione di A. Baratono, la raccolta dei Canti del prigionieroe altre liriche: accanto a testi dei primi anni del Novecento, come il Quaderno dei frammenti, il volume comprende anche la sezione Disiecta, nella quale vennero inclusi componimenti redatti in gran parte negli anni Novanta dell'Ottocento. Si ricorda ancora che alcune liriche del G. sono state pubblicate in Poeti simbolisti e liberty in Italia, a cura di G. Viazzi - V. Scheiwiller, II, Milano 1971, pp. 125-128.
Fonti e Bibl.: Le carte del G. sono oggi conservate presso la Fondazione M. Novaro di Genova. G.P. Lucini, Il primo libro dei trittici, in L'Iride, I (1897), 17, pp. 5 s.; Id., Ragion poeticae programma del verso libero, Milano 1908, pp. 625-628; A. Baratono, Un poeta tragico, in Il Telegrafo, 18 genn. 1941; E. Citro, Il primo libro dei trittici, in Scrittori e riviste in Liguria fra '800 e '900, Genova 1980, pp. 139-153; G. Viazzi, A. G., in Dal simbolismo al déco, a cura di G. Viazzi, I, Torino 1981, pp. 100 s.; P. Boero, Tra Otto e Novecento, in La letteratura ligure. Il Novecento, I, Genova 1988, pp. 69 s.; E. Fumi, La tentazione simbolista, Pisa 1992, passim; S. Verdino, Storia delle riviste genovesi. Da Morasso a Pound (1892-1945), Genova 1993, ad indicem.