Guarini, Alessandro
Letterato (Ferrara 1563 circa; m. nel 1636), figlio di Battista. Interessa la storia della critica dantesca il suo dialogo Il farnetico savio overo il Tasso (Ferrara 1610), che costituisce anche uno tra i più interessanti documenti dell'avanzato processo di mitizzazione dei casi del Tasso (la cui pazzia è interpretata come altruistica simulazione, sull'esempio di Bruto, in nome di uno stoico ideale di virtù).
Interlocutori sono Cesare Caporali e, appunto, Torquato Tasso: in bocca a quest'ultimo è messa la difesa di D.; il che implicava il rifiuto, da parte del G., della contrapposizione D.-Tasso che da apologisti e detrattori della Liberata era stata avanzata nel corso della querelle sul poema tassesco.
La discussione cinquecentesca su D. si era imperniata sulla 'lingua ' della Commedia e sul ‛ genere ' a cui essa apparterrebbe (sulla sua ‛ regolarità '). Il G. dal canto suo, premesso che la grandezza di D. consiste proprio nell'essersi sottratto alla " catena di certe regole " (dove si avverte il legame del G. con certo antiregolismo cinquecentesco; e sono imminenti i Ragguagli di T. Boccalini), scarta quest'ultimo problema: il poema di D. " probabilmente potrebbe anche dirsi eroico ", si afferma dapprima nel Farnetico savio; ma subito dopo: " Io torno a dirvi che non è mio pensiero né presente mia cura il sostenerlovi eroico, massimamente nello stile ". La questione, insomma, è elusa, se non proprio riconosciuta inessenziale.
Con più decisione è negata la legittimità dell'impostazione solita (motivata da ragioni normative, di cui è privo il G.) del parallelo antagonistico D.-Petrarca. Come per l'altro parallelo canonico Omero-Virgilio è detto " Non sapete voi che tra gli eccellenti non si dà paragone? ", così per quello D.-Petrarca il G. vuole che " dell'uno la lode sia senza il biasimo dell'altro ". Per un tentativo di caratterizzazione dei due autori, ricorre dapprima a paragoni estratti dall'ambito musicale (il Petrarca sarebbe accostabile a Luca Marenzio; D. invece, per la " disonanza ", a Luzzasco Luzzaschi o a Carlo Gesualdo), poi da quello pittorico (l'arte di D. somiglierebbe all'energica sommarietà del Tintoretto; il Petrarca sarebbe piuttosto accostabile a Iacopo Palma).
A questi ultimi paragoni il G. perviene dopo aver illustrato la varietà di registri di cui è capace la poesia dantesca: tutti giustificati dalla volontà del poeta di conseguire vivezza rappresentativa. In definitiva, il G. vede nella categoria retorica dell'evidentia l'etimo comune alle diverse scritture confluite nella Commedia. Già il Tasso nei Discorsi dell'arte poetica e nei Discorsi del poema eroico, esemplificando quella figura con passi danteschi (lo pseudo-Falereo, sua fonte, era ricorso a luoghi di Omero), aveva sostenuto l'eccellenza di D. in tale " virtù " rappresentativa. Ma con tutt'altro problema era egli alle prese: non di critica, ma di teoria letteraria (definizione degli stili e delle ‛ figure ', e loro disponibilità all'adibizione in servizio del poema eroico). Il G. tende invece a un'interpretazione globale della poesia dantesca, e può giustificare la presenza di vocaboli plebei, arcaici o di nuovo conio, e la rima fonosimbolica Austericch: Tambernicch: cricch (come allora si leggeva) di If XXXII 26-30, già condannata come barbara dal Tasso.
Meno notevole l'ultima parte del dialogo, dove il proposito della " difesa " diventa apologia alquanto oziosa: vi si celebra infatti la dottrina di D., vero filosofo naturale e teologo.
Bibl. - U. Cosmo, Le polemiche tassesche, la Crusca e D. sullo scorcio del Cinquecento e il principio del Seicento, in " Giorn. stor. " XLII (1903), rist. in Con D. attraverso il Seicento, Bari 1946; B. Croce, e Seicento: A.G., in " Giorn. stor. " CXLIV (1967), poi, col titolo A.G. storico e critico, in Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento, ibid. 1931; U. Limentani, La fortuna di D. nel Seicento, in " Studi Secenteschi " V (1964) 23-26; M. Fubini, D. dal Barocco all'Arcadia, in " Terzo programma " 1965, fasc. 4; A. Di Benedetto, Un paragrafo della storia della cultura ferrarese tra Cinque e Seicento: A. G., in " Giorn. stor. " CXLIV (1967), poi col titolo A.G. trattatista e critico letterario, nel volume Tasso, minori e minimi a Ferrara, Pisa 1970; A. Vallone, L'interpretazione di D. nel Cinquecento. Studi e ricerche, Firenze 1969, 282-290.