GUARNELLI (Guarnello), Alessandro
Nacque a Roma nel 1531. Il padre, Agolante, era al servizio dei Farnese e il G. crebbe nella dimora romana della famiglia.
Le notizie biografiche su di lui sono scarse. Una lettera apografa del G. a un Antonio da Mirandola del novembre 1543 (Arch. di Stato di Parma, Epistolario scelto, b. 10, f. 12, c. 4r) attesta lo studio condotto sui classici sotto la guida di Angelo Perotti. Certo è il rapporto di dipendenza del G. dal cardinale Alessandro Farnese, al servizio del quale egli svolse in modo continuato l'ufficio di segretario. Al ritorno del cardinale da un biennio trascorso in Francia, il G. figura, in un ruolo redatto il 1° ag. 1554, nell'elenco dei familiari del cardinale, tra gli "absenti che possono venir volendo" (Benoit, p. 205). Per il resto l'esistenza del G. è ricostruibile solo attraverso l'emergenza periodica dei lavori letterari.
La prima opera da lui data alle stampe è la traduzione in ottave del Libro primo dell'Eneide, pubblicata a Roma, presso V. Dorico, nel 1554, con dedica al cardinale Farnese in cui il G. ricorda come fosse stato "nudrito e allevato nella sua corte". Nel 1566 pubblicò a Roma, presso G. Bolano degli Accolti, la traduzione del Secondo libro dell'Eneide. Probabilmente contaminata con la traduzione che dello stesso libro virgiliano aveva pubblicato, nello stesso anno e presso lo stesso editore, Giovanni Andrea dell'Anguillara (Borsetto, 1989, pp. 139 s.), complessivamente meno fortunato del Libro primo, che totalizzò otto edizioni in meno di trent'anni, il Secondo libro (pure dedicato al cardinale Farnese) ebbe comunque alcune ristampe: a Roma nel 1578, a Venezia nel 1579 e nel 1582, a Urbino nel 1585. E se il G. arrestò ai primi due libri la pubblicazione delle sue versioni (non estranea forse la parallela attività di un letterato più illustre della cerchia farnesiana come A. Caro), il ms. Vitt. Em. 980 della Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele di Roma attesta che la traduzione virgiliana fu condotta a termine. Al 17 sett. 1580 data la lettera con cui il G. accompagnò la spedizione del sesto libro al cardinale Farnese (Arch. di Stato di Parma, Epistolario scelto, b. 10, f. 12, c. 10r, autografa).
Il manoscritto romano (con gli argomenti dei libri composti da A. Ongaro e un'ottava proemiale sensibilmente diversa da quella andata a stampa nel 1554) è probabilmente copia di un autografo oggi irreperibile e sul quale a lungo circolarono notizie di un diretto intervento di T. Tasso. Mentre l'Argelati (p. 137) sosteneva che l'originale nel 1750 era presso la biblioteca di Carlo Trivulzio, nella raccolta trivulziana vi era copia del solo VI libro (l'attuale ms. Triv. 929 della Biblioteca Trivulziana di Milano: Albini, pp. 22 s.), e appunti dello stesso Trivulzio (datati 1747) informano che l'autografo si trovava allora in possesso di un padre G.M. Masazza, torinese, nel collegio di S. Brigida a Piacenza. Altre notizie riportano che il codice della traduzione, di mano del G. e corredato da copiose correzioni d'autore, si conservava nella biblioteca dei padri barnabiti in S. Carlo de' Catinari a Roma. Nell'impossibilità di verificare la presenza di postille tassiane sul manoscritto, un qualche contatto del G. con il poeta della Gerusalemme liberata è provato dal sonetto tassiano Per te, Guarnello, la pietate e l'armi, databile alla fine del dicembre 1585, inteso a lodare tanto la versione virgiliana quanto la protezione farnesiana di cui godeva il Guarnelli. A margine del sonetto il Serassi (Tasso, n. 1254) annotava ancora che l'autografo del G. era custodito da un padre Carmi di Monza, sempre dell'Ordine dei barnabiti, notizia che pare attestare come il manoscritto sia rimasto per un certo periodo nei loro conventi.
Sul piano letterario, il resto della traduzione mantiene le premesse presenti nei due libri a stampa: va progressivamente attenuandosi il rispetto per le caratteristiche stilistiche del poema latino, con una tendenza all'allargamento della lettera del testo, con il risultato di obliterare la brevitas virgiliana. La libertà del G. giungeva non solo all'impiego di tessere provenienti dal Tasso o dalla traduzione del Caro (uscita nel 1581, ma probabilmente consultata dal G. già manoscritta), e persino di materiale ariostesco con inevitabili effetti di anacronismo, ma anche a modifiche nella dispositio degli eventi e all'inserimento di valutazioni d'autore. Anche al di là di stravolgimenti puntuali (come per l'encomiastica enumerazione degli eroi della famiglia Farnese fatta pronunciare alla Sibilla nel corso del libro VI), l'indirizzo della versione del G. era quello di una "rinominazione completa del testo originario, fino all'esaurimento di ogni sia pur minimo residuo referenziale" (Borsetto, 1989, p. 119).
Al di fuori del lavoro sull'Eneide, che rimase per gran parte confinato in una dimensione privata, di ristretta circolazione, le altre opere del G. restituiscono per lo più una episodica attività di celebrazione di eventi grandi e minimi, avente alla base la volontà, o la necessità, di omaggiare le principali famiglie romane e non solo.
Con due componimenti il G. è presente in una raccolta di rime organizzata nella corte urbinate per commemorare la precoce scomparsa, nel 1558, di due piccole figlie del duca Guidubaldo II Della Rovere, Leonora e Beatrice (Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Mss., 148). Nel 1565 otto sonetti del G. entrarono nel secondo libro De le rime di diversi nobili poeti toscani raccolte da M. Dionigi Atanagi (Venezia, L. Avanzo, 1565, cc. 89v-91v); come precisa lo stesso curatore della raccolta, sette componimenti sono in vita e in morte della gentildonna romana Faustina Mancini, mentre quello inaugurale (Ecco il felice, ecco il bramato giorno), celebra la restituzione di Piacenza al duca Ottavio Farnese (avvenuta nel 1556). Dei "nuovi e belli concetti", delle "forme di dire scelte e leggiadre", dei "numeri harmoniosi e sonori" di cui Atanagi fa credito al G. si trova in effetti qualche prova nei sonetti per la Mancini, dove una pur contenuta variazione di toni e l'allargamento dei modelli presupposti (per esempio la dichiarata imitazione delle elegie latine di G. Cotta) vivacizzano a tratti il consueto repertorio petrarchista.
Il servizio di segretario del potente cardinale Farnese dovette guadagnargli l'onorificenza di cavaliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, che il G. poteva vantare già nel 1571, quando appunto come "cavalier Guarnello" pubblicò a Roma e a Venezia due diversi componimenti in occasione dell'epocale vittoria di Lepanto: una Canzone della felicissima vittoria christiana contra infideli… al sereniss. d. Gio. d'Austria (Roma, eredi A. Blado; Venezia, D. e G.B. Guerra; Bongi, p. 319, segnala anche un'uscita presso i Giolito) e una Canzone nella felicissima vittoria christiana contra infideli (Venezia, G. Percacino). Questi componimenti (che si leggono manoscritti nei miscellanei Marc. it., cl. II, 28 [=2046] e 100 [=2096] della Biblioteca naz. Marciana) furono compresi nell'antologia di Vari poemi latini, greci e volgari fatti nella felice vittoria riportata dai christiani… stampata l'anno successivo (Venezia, S. Ventura, 1572).
Nel 1575 il G. diede un consistente contributo all'antologia poetica Donne romane (Bologna, A. Benacci) organizzata da M. Manfredi e dedicata al figlio di Gregorio XIII, Giacomo Boncompagni. Con la canzone Dolce e benigno nume il G. dedicò lodi a Clelia Farnese, figlia riconosciuta del cardinale Alessandro, e al di lei consorte Giovan Giorgio Cesarini; in altri componimenti tributò elogi a membri della famiglia Orsini: a Vicino Orsini, alla figlia Faustina e al marito Fabio Mattei, a Felice Orsini e a suo marito Marcantonio Colonna, a Francesca Orsini Baglioni. Nella Tavola sono assegnati al G., quantunque poi all'interno del libro presentati come d'incerto, i versi di Dolce stagion, dolce hora, dolce loco, di evidente impronta petrarchesca.
Nel 1585, a Roma, per gli eredi di A. Blado, il G. pubblicò la piccola raccolta di Canzoni et sonetti dedicati al principe di Parma e Piacenza Alessandro Farnese (sarebbe diventato duca alla morte del padre il settembre dell'anno dopo). In due sonetti e due canzoni la gloria militare del Farnese, che rinverdiva l'alta virtù dei condottieri romani, si lega all'elogio per la sua devozione religiosa e all'amara denuncia degli errori dell'età contemporanea. Con due sonetti in lode del duca di Parma Ottavio Farnese il G. è presente anche nel ms. Vitt. Em. 522 (cc. 80r-82v) della Biblioteca nazionale di Roma, che ha come intestazione Poesie e ricette. Si tratta di un singolare zibaldone che accorpa diverse rime del Tasso, di L. Tansillo, di M. Venier e di A. Ongaro (cc. 88r-93v, 95r-96r) e di altri, ricette mediche o veterinarie o di cucina e annotazioni di storia minima, prossima e remota, concernenti soprattutto la famiglia Orsini del ramo dei conti di Pitigliano. Dal codice (c. 11r) si ricava altresì la notizia, non ancorata a precisi termini cronologici, che il G. aveva ricevuto una pensione sopra la commenda di S. Giovanni.
Nel 1586 il G. partecipò alla Raccolta di diverse compositioni sopra le vittorie acquistate in Fiandra dal ser. Alessandro Farnese duca di Parma et Piacenza (Parma, E. Viotti), e l'anno dopo pubblicò un altro opuscolo in poche carte in occasione dell'unione in seconde nozze di Clelia Farnese con Marco Pio di Savoia, signore di Sassuolo: Nello sposalitio delli sig. Marco Pio, et Clelia Farnese (s.n.t.). Nel marzo del 1589 la morte del cardinale Alessandro, suo protettore di una vita, lo indusse alla composizione di otto Sonetti in morte dell'ill.mo et rever.mo cardinal Farnese (Roma, eredi A. Blado). Tra le celebrazioni per la scomparsa del cardinale il G. partecipò anche all'antologia funebre allestita e stampata, sempre nel 1589, da Francesco Coattini: Raccolta d'orationi, et rime di diversi… nella morte dell'illustriss. et reverendiss. cardinal Farnese.
Ancora nel 1589 il G. partecipò alla raccolta funebre in onore di Giuliano Gosellini, Mausoleo di poesie volgari et latine in morte del signor Giuliano Gosellini fabricato da diversi poeti de' nostri tempi (Milano, P.G. Da Ponte) e presso i Blado stampò un Epithalamio nello sponsalitio delli ecc.mi s.ri duca et duchessa di Bracciano del cavalier Guarnello, cioè Virginio Orsini e Fausta Peretti, con l'evidente intento di guadagnarsi visibilità nella cerchia di papa Sisto V Peretti. Alla volontà di confermare una posizione protetta nell'ambiente romano si deve anche la pronta celebrazione anche di Gregorio XIV Sfondrati con una Canzone al s.mo pontefice Gregorio XIIII pubblicata sempre dai Blado sullo scorcio del 1590 (la consacrazione del nuovo pontefice era avvenuta l'8 dicembre), in cui la lieta notizia dell'elezione, al termine di un conclave pesantemente inquinato, era rapportata all'immancabile riferimento alle vittorie di Alessandro Farnese sugli eretici.
Nel 1591 la promozione di Odoardo Farnese alla porpora fu occasione per i sette Sonetti nella promottione del sereniss. don Duarte Farnese al cardinalato (Roma, P. Diani, 1591), ultima delle sue opere apparse in vita ma non l'ultima delle sue fatiche letterarie.
Nel 1620 uscì infatti postuma una commedia dal titolo La Vittoria, in una stampa viterbese promossa dagli Accademici Divisi, di cui era protettore e principe Giovanni Cesi (Viterbo 1620). Nella lettera di dedica al cardinale B. Cesi, in data 30 ott. 1619, l'accademico Giovanni De' Nobili affermava di essere in possesso da molti anni dell'opera, che, anche recitata dagli stessi Divisi a Roma, era riprova del riconosciuto valore del G. in ambito comico. La trama presenta una forte complicazione dell'intreccio, occupato dai soliti amori ostacolati, travestimenti, agnizioni. Una debole connessione con la lontana vittoria di Lepanto del 1571 è stabilita nel prologo, dove la Vittoria navale afferma che da quella data non erano ancora trascorsi sette lustri, il che concorrerebbe a situare l'azione della commedia nei primi anni del Seicento (comunque dopo il 1601 e prima del 1606).
Questa indicazione cronologica contrasta però con l'iscrizione sulla sepoltura del G., a Roma, in S. Spirito in Sassia, che reca come data di morte il 24 apr. 1591, quando il G. aveva già compiuto i sessant'anni.
Una canzone del G. è pubblicata in Lirici misti del secolo XVI, Venezia 1787, pp. 260-263.
Fonti e Bibl.: T. Tasso, Le rime, a cura di A. Solerti, IV, Bologna 1902, pp. 321 s.n. 1254; G.V. Rossi, Pinacotheca imaginum illustrium, doctrinae vel ingenii laude, virorum, Coloniae Agrippinae 1643, pp. 118 s.; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, Bologna 1739-52, II, pp. 365, 678; III, p. 118; VI, p. 694; VII, p. 229; F. Argelati, Biblioteca degli volgarizzatori, Milano 1767, IV, p. 137; I.M. Paitoni, Biblioteca degli autori antichi greci, e latini volgarizzati, Venezia 1767, IV, pp. 193-199; C.T. Frangipane, Memorie sulla vita e i fatti del cardinale Alessandro Farnese per servire alla storia del secolo XVI, Roma 1876, pp. 35 s.; E. Teza, Filippo II e Sisto V, canzone veneziana di un contemporaneo, in Arch. della Società romana di storia patria, VII (1884), pp. 487-524; S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de' Ferrari, II, Roma 1897, p. 319; A. Boselli, Il carteggio del card. Alessandro Farnese conservato nella Palatina di Parma, in Arch. stor. per le provincie parmensi, XXI (1921), p. 126; F. Benoit, Farnesiana, II, La maison du cardinal Farnèse en 1554, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, XL (1923), p. 205; G. Albini, Un'"Eneide" inedita del Cinquecento, in Nuova Antologia, 1° nov. 1927, pp. 21-38; L. Manicardi, Di un manoscritto oliveriano contenente rime di vari autori, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XLV (1927), p. 94; L. Olivieri, Una versione cinquecentesca ms. della "Eneide", in Accademie e biblioteche d'Italia, IV (1931), pp. 349-354; L. Borsetto, L'"Eneida" tradotta. Riscritture poetiche del testo di Virgilio nel XVI secolo, Milano 1989, pp. 116-122; A. Impellizzeri, La traduzione in ottava rima dell'"Eneide" di A. G. (ms. V. E. 980), tesi di laurea, Università di Padova, a.a. 1994-95 (contiene l'edizione integrale del testo); L. Borsetto, Tradurre Orazio, tradurre Virgilio. "Eneide" e "Arte poetica" nel Cinque e Seicento, Padova 1996, pp. 48-79.