GUIDICCIONI, Alessandro
Nacque a Lucca dal capitano Antonio di Alessandro, membro di un illustre casato legato da stretti vincoli alla famiglia Farnese, e fu battezzato nella chiesa di S. Frediano il 7 giugno 1555. Non è nota l'identità della madre, ma si conoscono i nomi dei suoi cinque fratelli: Bartolomeo, Giovanni, Orazio, Cesare, Lelio.
I primi anni della vita del G. sono piuttosto oscuri: nella primavera-estate del 1573 si trovava ancora a compiere studi umanistici in città, come sappiamo grazie a un breve processo nel quale compare come imputato - celebrato presso l'Offizio sopra l'onestà, magistratura deputata a reprimere la sodomia -, e conclusosi con una lieve sanzione pecuniaria. Dopo il conseguimento della laurea inutroque iure fu scelto dai Farnese come maestro di casa, e alla fine degli anni '80 svolse a Roma la funzione di precettore del giovanissimo Odoardo, ma con eccessiva indulgenza, tanto da indurre i protettori nel dicembre 1588 a sostituirlo con Gabriele Bombaci. In seguito sembra che abbia rivestito questo ruolo anche per il futuro duca Ranuccio I, ma soprattutto si dedicò con continuità alla gestione delle opere d'arte di palazzo Farnese. Le pressioni dei Farnese presso Clemente VIII e sulla Repubblica di Lucca valsero al G. la designazione alla diocesi lucchese, decretata il 25 apr. 1600. Il 27 novembre sostituì il cugino Alessandro di Nicolao, che di Lucca era stato vescovo per cinquantuno anni, e prese possesso della sede il 22 luglio 1601.
In quell'epoca il G. agiva come legato della Repubblica nello Stato farnesiano di Parma e informava delle trame ordite dai comuni nemici estensi e medicei. Ciononostante, la tendenza dimostrata ben presto dal G. ad ampliare le sue prerogative causò contrasti gravi con lo Stato lucchese, estremamente geloso della propria autonomia giurisdizionale.
Già nel 1601 il G. segnalava il mancato rispetto del clero da parte dell'autorità temporale; d'altra parte, agì contro alcuni laici su diretta richiesta dell'Inquisizione romana, scavalcando la magistratura secolare dell'Offizio sopra la religione. Nei due anni successivi emersero nuovi motivi di scontro tra il G. e il governo: le proteste delle monache del convento di S. Chiara, che preferivano la sorveglianza dei segretari dello Stato lucchese alla rigida clausura che il vescovo avrebbe voluto imporre loro, e il comportamento adottato dal G. nei confronti dei preti garfagnini della diocesi, nel momento in cui la Repubblica intraprese una guerra contro gli Estensi temendo eventuali attività spionistiche da parte di questi ultimi. Altro grande scontro fu dovuto alla presenza in Lucca di mercanti tedeschi di confessione augustana.
Alla fine del 1603, in occasione di una visita del cardinale G.F. Biandrate di S. Giorgio, la frattura divenne insanabile. La deputazione governativa non concesse al G. la precedenza nel ricevere l'ospite e ne provocò la reazione indignata di fronte al popolo. I governanti richiesero ufficialmente al pontefice la rimozione del G., che per tutta risposta si recò a perorare la propria causa a Roma. In realtà, la crisi fu tale che il G. restò a Roma per sedici anni, dimorando di nuovo a palazzo Farnese. All'inizio del 1605 il G. sottopose al pontefice 47 capitoli in cui, oltre ai punti già esposti in precedenza, denunciava la consuetudine del governo lucchese di sottoporre al proprio exequatur bolle papali ed editti episcopali, nonché di tassare la mensa vescovile. Richiese di poter disporre di entrate maggiori e di propri esecutori, in modo da agire contro i laici senza doversi affidare all'Offizio sopra la religione.
Nello stesso anno il nuovo pontefice, Paolo V, chiese che il G. venisse riaccolto nella diocesi, ma lo Stato lucchese dichiarò il vescovo sospetto di tradimento e ne richiese nuovamente la rimozione, iniziando anche nella città una campagna denigratoria nei confronti suoi e dei suoi congiunti.
Successivamente la Repubblica, sostenuta da Filippo III re di Spagna, si dichiarò disposta ad abrogare le proprie leggi in materia di religione e a permettere alle autorità episcopali di agire autonomamente nella repressione del dissenso purché il G., dichiarato ancora sospetto, venisse allontanato dalla diocesi. Si raggiunse infine un compromesso, secondo cui il vescovo, pur non rimosso, sarebbe rimasto a Roma, e la sua sede sarebbe stata retta da un vicario nominato dalla S. Sede, Orazio Ugolini da Urbino. Nel 1610 sorsero ancora dispute tra il governo e il vicario su questioni di precedenza formale e i consiglieri colsero l'occasione per sottrarre al rappresentante del potere ecclesiastico l'appoggio del braccio secolare e per vietare agli Anziani di comparire pubblicamente nella cattedrale di S. Martino. Essi fecero inoltre circolare tra le confraternite una lista dei misfatti compiuti da alcuni membri della famiglia Guidiccioni ai danni dello Stato e inviarono a Roma un elenco imponente di firme di cittadini che sostenevano la decisione governativa di bandire definitivamente il vescovo. Il G. nel frattempo aveva rifiutato la diocesi di Viterbo e premeva presso la Spagna per risiedere a San Miniato, località appartenente alla sua giurisdizione ma soggetta al Granducato mediceo. Gli agenti diplomatici della Repubblica impedirono che fossero accolte le soluzioni proposte dal G. e nel giugno del 1613 ottennero addirittura l'allontanamento del vicario Ugolini. Da quest'anno la resistenza governativa gradualmente si attenuò, anche a causa dello scoppio di un nuovo conflitto contro gli Estensi, che indusse lo Stato lucchese a mitigare i motivi di frizione con la S. Sede e con il G., che nel 1618 riuscì a insediarsi a San Miniato. L'intercessione in suo favore dei cardinali Alessandro Farnese e Roberto Bellarmino, nell'estate del 1619, e soprattutto una lettera conciliante da lui inviata al Consiglio generale in ottobre convinsero i governanti a cancellare dai documenti pubblici le condanne nei suoi confronti e, il 5 nov. 1619, a riammetterlo finalmente nella diocesi lucchese. Il 3 giugno 1620 il G. emanò un editto con il quale si attribuì il controllo totale sui libri proibiti o sospesi all'interno dei confini diocesani, suscitando così le proteste dell'inquisitore di Modena, che considerava lesa la sua competenza su parte del territorio garfagnino da lui vigilato. L'anno successivo il G. strappò al governo una concessione in base alla quale poteva richiedere a tutti i maestri lucchesi una professione di fede giurata. Con il pontificato di Gregorio XV l'autorità episcopale subì invece un grave affronto quando, il 17 dic. 1622, il pontefice smembrò la diocesi di Lucca per istituirne una a San Miniato.
Il G. compì accurate visite pastorali soltanto negli anni 1619-21 e 1630: nel decennio 1609-19 le ispezioni erano state svolte invece prima dal vicario Ugolini, poi da primiceri o semplici canonici della cattedrale. Dopo le lontane riunioni informali del 12 gennaio e del 17 giugno 1601 il G. decise di convocare un sinodo solo nel 1625. L'assemblea si svolse il 25-27 novembre, e i suoi risultati furono stampati da Ottaviano Guidoboni (Constitutiones synodi quam ill. et rev. dominus A. G.… habuit a. d. MDCXXV, Lucae 1628).
Si tratta di un opuscolo, suddiviso per temi in 14 capitoli, sul rispetto dei dettami tridentini specialmente quanto alla condotta dei parroci, la pratica sacramentale e la diffusione della dottrina. Si stabilivano la professione di fede obbligatoria per canonici e maestri laici, un controllo episcopale serrato sull'eresia e sui reati di "superstitione" tramite i confessori, punizioni severe di carattere spirituale e pecuniario contro l'inosservanza delle feste religiose, gli iconoclasti e i bestemmiatori (per i quali si prevedevano tre mesi di carcere); si ribadiva infine il controllo sulla produzione e la circolazione dei libri. In ogni caso il tribunale vescovile sembra essere stato attivo solo durante i primissimi anni dell'episcopato del Guidiccioni. In seguito i casi di stregoneria e sospetta eresia furono sorvegliati esclusivamente dalle autorità civili anche quando coinvolgevano membri del clero secolare: in un primo momento a causa dell'assenza del G., poi per la manifesta volontà di quest'ultimo di non entrare in contrasto con il governo. Durante il periodo della peste (1630-31) il G. emanò una serie di norme igieniche da osservare nei luoghi di culto particolarmente durante le celebrazioni, e assecondò i decreti del governo volti a combattere il contagio.
Il G. morì a Lucca il 16 marzo 1637 e fu sepolto nella cattedrale di S. Martino.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Offizio sopra la giurisdizione, 79, 82, 85, 88-89, 91-97 (22 luglio 1601); Offizio sopra l'onestà, 2 (1573), cc. 2r, 3r; Offizio sopra la religione, 2, cc. 19, 40, 81, 86v-87r; 5, p. 2264; Riformagioni pubbliche, 84, cc. 73r, 119, 143r; 90, pp. 203, 379; 91, pp. 593, 614 s.; 98, pp. 400 s.; Riformagioni segrete, 359, pp. 685 s.; 360, pp. 341-343; 361, pp. 580-582, 599; 362, pp. 20, 341, 353; 364, pp. 417 s., 763-765; 372, pp. 558 s.; 373, p. 530; Lucca, Arch. arcivescovile, Visite pastorali, 36-37, 39, 40; Ibid., Biblioteca statale, Mss., 1115: G.V. Baroni, Notizie genealogiche…, pp. 85, 115 s., 127, 134, 148, 181, 191-199, 201; 1548, p. 485; Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Sant'Offizio, Stanza storica, O.2-c, cc. 131r, 141r, 144, 149-150r; Biblioteca apost. Vaticana, Urb. lat., 1068 (Avvisi di Roma, aa. 1599-1600), c. 245v; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra…, I, Venetiis 1717, p. 831; P. Dinelli, Dei sinodi della diocesi di Lucca, in Memorie e documenti per servire alla storia del Ducato di Lucca, VII (1825), pp. 229, 232-238; G. Tommasi - C. Minutoli, Sommario della storia di Lucca…, Firenze 1847, pp. 493-510, 528-531, 536, 545, 548, 553; S. Bongi, Inventario del R. Archivio di Stato, I, Lucca 1872, pp. 368 s.; IV, ibid. 1888, p. 108; C. Sodini, Stampa e fermenti ereticali nella prima metà del Seicento lucchese, in Riv. di archeologia, storia e costume [Lucca], XVIII (1990), 3-4, pp. 139 s.; U. Bittins, Das Domkapitel von Lucca im 15. und 16. Jahrhundert, Frankfurt a.M. 1992, p. 259; R. Zapperi, Eros e controriforma: preistoria della galleria Farnese, Torino 1994, ad ind.; P. Gauchat, Hierarchia catholica, IV, Monasterii 1935, pp. 5, 223.