PICO, Alessandro II
PICO, Alessandro II. – Figlio di Galeotto IV e di Maria Cybo Malaspina, nacque il 30 marzo 1631 e succedette al nonno Alessandro I, signore di Mirandola, per deliberazione testamentaria dello stesso, morto il 2 settembre del 1637.
Tuttavia in ragione dell’età (6 anni), fu affidato alla tutela e alla cura della madre e della zia Maria, terzogenita del defunto principe. Donna di potere la prima, di pietà la seconda, e relegata ai margini della vita di corte: il che comportò la nascita di due fazioni contrapposte, che il marchese Magnani, governatore ad interim dello Stato, non fu in grado di armonizzare, tant’è che Maria Cybo, sospettata di intelligenze con la Francia, poté essere catturata dagli Estensi (pronti a tutto pur di indebolire e incamerare la signoria limitrofa), accusata di tradimento e confinata a Genova. Rinnovato il trattato di alleanza con la Spagna e dopo una ritrattazione da parte del duca di Modena, la Cybo poté fare ritorno a Mirandola.
Nel 1639 Alessandro, in seguito a un intervento pontificio, ottenne la conferma del feudo di S. Martino, precedentemente negata dal vescovo di Reggio Emilia, che ne era il legittimo titolare, e nel 1648, nonostante la giovane età, fu nominato duca della Mirandola, dall’imperatore Ferdinando II, esautorando la madre e la zia. Completò nel frattempo la sua formazione, fortemente influenzata dai gesuiti, che all’epoca svolgevano una funzione di primo piano nell’educazione dei giovani di rango, e che ne favorirono l’inclinazione alle pratiche ascetiche e devote.
Il 27 aprile 1656 si unì in matrimonio con Anna Beatrice d’Este (1626-1690), figlia del duca Alfonso II e di Isabella di Savoia, con l’obiettivo di rinsaldare i rapporti sempre problematici tra le due casate. Dalle nozze, celebrate nel duomo di Modena il 27 aprile di quell’anno, nacquero numerosi figli, tra i quali Laura (1660-1720) che sposò Ferdinando II Gonzaga, principe di Castiglione delle Stiviere e Solferino; Francesco (1661-1689), che sposò Anna Camilla Borghese e dalla quale ebbe Francesco Maria, terzo e ultimo duca della casata; infine, Lodovico (1668-1743), che seguì la carriera ecclesiastica, divenendo cardinale.
Alessandro II esercitò saltuariamente la professione militare, rimanendo sempre fedele all’impero e alla monarchia spagnola, dalla quale ottenne onorificenze importanti: trovandosi nel 1666 nel territorio di Milano a capo di una compagnia al servizio di Carlo II d’Asburgo, venne da lui insignito, come il suo predecessore, della onorificenza del Toson d’oro. Negli anni immediatamente successivi le sue ambizioni di gloria trovarono sbocco nella partecipazione alla crociata in difesa della fortezza di Candia (l’attuale Heraklion, nell’isola di Creta), da oltre vent’anni assediata dagli Ottomani.
Venezia, rimasta isolata, aveva a lungo tentato con ogni mezzo di ottenere l’appoggio delle potenze europee per la difesa di Heraklion, ma con scarso risultato, finché, dietro le insistenze di papa Clemente IX, fu organizzata una spedizione, forte dell’appoggio del re di Francia Luigi XIV e con la partecipazione entusiasta di Alessandro Pico, nominato maestro di campo delle truppe pontificie. Il signore di Mirandola partì alla volta di Venezia il 6 giugno 1669 con un modesto contingente di truppe locali, e il mese successivo salpò al comando di 9 navi da guerra e circa 3000 soldati fra modenesi, parmensi, mantovani, toscani, carpigiani, savoiardi, mirandolesi e pontifici. Dopo una tappa a Zante, giunse a Candia il 23 agosto, unendosi al più potente schieramento delle flotte veneziana, francese e pontificia. Ma ben presto le potenze alleate decisero di patteggiare con il nemico, e l’isola intera rimase in mano turca. Alessandro, che, colpito da febbri malariche, non aveva potuto partecipare ai combattimenti, invano si oppose alla pur onorevole capitolazione (con una scelta che fu ovviamente esaltata dalla pubblicistica encomiastica locale); ma alla fine rientrò a Mirandola, accolto con tutti gli onori. La pur onerosa spedizione ebbe qualche riscontro positivo, in termini di prestigio personale e di rapporti commerciali con Venezia.
Sul piano interno, Alessandro II mostrò buone doti di amministratore, appoggiandosi soprattutto al patriziato locale. Nel 1650 promosse l’inventario legale dei beni ducali, fra i quali furono annoverati anche quelli della comunità di Mirandola; favorì lo sviluppo economico del piccolo Stato, coniando nuove monete, e promuovendo l’antica fiera locale. Sviluppò inoltre l’allevamento equino, vanto delle famiglie notabili di Mirandola e degli stessi Pico, promosse un trattato con il duca Carlo Emanuele II di Savoia per lo sfruttamento delle miniere (1665), e prese provvedimenti per regolare la caccia e tutelare le piante di rovere. Le aumentate risorse permisero la selciatura delle strade cittadine e la costruzione di un nuovo ed efficiente collegamento stradale con Modena («strada benedetta»); conformemente alla sua sensibilità religiosa, chiamò a Mirandola i serviti (1675), curò la riedificazione della chiesa di Fossa, l’innalzamento del campanile di S. Martino Spino, e il compimento della chiesa del Gesù, in sobrio ed elegante stile barocco, all’interno della quale figurano messi in risalto i segni del potere ducale: dal grande stemma della controfacciata al fregio di Pompeo Solari, rigoglioso di foglie, fiori e frutti, a testimoniare la ricchezza del ducato, alle teste d’aquila che celebrano i ranghi funzionariali raggiunti e l’alleanza con l’Impero.
Alessandro Pico non mancò infine di proteggere le arti: segnatamente la pittura (con la galleria affrescata da Biagio Falcieri per la ricca quadreria che allestì mediante onerosi acquisti), e la musica (chiamando a corte come maestro di cappella Giovanni Battista Bassani, come si desume dal frontespizio della cantata L’armonia delle sirene, e facendo rappresentare nella chiesa di S. Maria Maddalena gli oratori L’amore ingeniero e Il Mistico Roveto).
Dopo anni di malferma salute – cui si aggiunse la perdita, il 19 aprile 1689, del primogenito prediletto Francesco e l’anno successivo della moglie – Alessandro II morì a Concordia, l’altra sede giurisdizionale della signoria pichense, il 2 febbraio 1691. Il testamento, redatto il 18 novembre 1690, stabiliva che la successione spettasse al nipote Francesco Maria, figlio del defunto Francesco, mentre la reggenza, vista la giovane età dell’interessato, fu affidata a Brigida sorella del testatore. Tale scelta provocò le rimostranze dei tre figli di Alessandro, mortificati anche sotto il profilo dei magri appannaggi loro assegnati. Nonostante tali difficoltà, la successione restò nelle mani di Francesco Maria, il cui governo ebbe però effetti perniciosi sulla signoria pichense, destinandola a un definitivo quanto prevedibile tracollo.
Fonti e Bibl.: F. Ceretti, Il viaggio di A. II P. all’isola di Candia. Narrazione di Gianfrancesco Piccinini, in La Fenice per l’anno 1881, X (1880), pp. 49-92 (I parte); Id., Carteggio del duca A. II P. con Monsignor Conte Uguccione Rangoni, in Il Reggianello, XX (1893); Id., Trattato seguito nel 1665 fra il duca Carlo Emanuele II di Savoia ed il duca della Mirandola Alessandro II per la coltivazione di miniere, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie modenesi, s. 4, VIII (1897), pp. 129-131; Id., Biografie pichensi, I, Mirandola 1907, pp. 46-85; Memorie di un cuoco di Casa Pico. Banchetti, cerimoniali e ospitalità di una corte al suo tramonto, a cura di B. Andreolli - G.L. Tusini, Mirandola 2002; Cronaca della Mirandola di Giovan Francesco Piccinini (1682-1720). La fine di un ducato nelle memorie del chirurgo di corte, a cura di G.L. Tusini, Mirandola 2010.