ALESSANDRO III di Macedonia, Magno (᾿Αλέξανδρος ὁ μέγας, Alexānder Magnus)
Nacque nel 356 a. C. da Filippo IIdi Macedonia e da Olimpiade, figlia di Neottolemo, re d'Epiro; dal 343 ebbe come maestro Aristotele; a soli sedici anni ebbe la reggenza di Macedonia, durante un'assenza del padre. Quando Filippo fu assassinato (336), A. salì al trono, tra difficoltà interne ed esterne. Liberatosi dei nemici interni ed esterni, A. riprese il progetto paterno della guerra contro la Persia. Nella primavera del 334 passò l'Ellesponto, conquistò quindi l'Asia Minore, passò attraverso la Licia, la Panfilia, la Pisidia sino a giungere in Frigia, per discendere poi in Cilicia, dove, nella battaglia di Isso, (333) riportò una grande vittoria su Dario. Conquistate le regioni costiere (Arados, Biblo, Sidone), nell'inverno 332-31 fondava Alessandria in Egitto, indi si spinse sino all'oasi di Siwah a venerare il dio Ammone. Tornato in Asia, si spingeva sino all'Eufrate e al Tigri: il 10 ottobre 331 presso Gaugamela vinceva definitivamente Dario. Occupata Babilonia e poi Susa, A. passò nella Perside vera e propria e, impadronitosi di Persepoli, catturò gli immensi tesori della corte e distrusse il palazzo dei re di Persia. Padrone del regno persiano, conservò la divisione del territorio in satrapie alla cui testa pose ufficiali macedoni; orientò sempre più il cerimoniale di corte verso forme orientali. Con successive spedizioni, si spinse ulteriormente verso Oriente; nel 327 allestì l'ultima spedizione in India. Vinse il re Poro sulle rive dell'Idaspe, poi si spinse verso il mare orientale, ma fu costretto a tornare indietro, a Susa (324). Qui lo raggiunsero ambascerie greche assicurandolo che erano stati esauditi i suoi desiderî circa la sua divinizzazione. Mentre preparava una nuova spedizione verso l'Arabia, A. morì di malattia a Babilonia, nel 323 a. C.
Iconografia. - L'importanza dell'iconografia di A. consiste non solo nella possibilità di risalire a precise correnti ritrattistiche originate da archetipi databili e attribuibili, ma nel fatto che essa costituisce la prima e sicura base della iconografia aulica dell'antichità classica, nata insieme con la nuova concezione, ellenistica, del principe, che fu determinata dalla politica dello stesso Alessandro. Tale iconografia inserisce nell'Occidente il concetto del "condottiero ispirato" (dalla divinità) e ne fissa il tipo nell'atteggiamento della testa e dello sguardo vòlto in alto, che agirà sino alla tarda antichità nei ritratti dell'imperatore Gallieno e di Costantino (cfr. apoteosi).
La tradizione letteraria ha conservato numerose - e talora abbastanza circostanziate - testimonianze di ritratti di A. eseguiti da artisti più o meno famosi, testimonianze che solo in parte concordano con la più vasta e varia tradizione monumentale. In base alla documentazione letteraria può stabilirsi a grandi linee un primo schema cronologico: il gruppo di Leochares nel Philippèion di Olimpia, comprendente i ritratti di Filippo, dei genitori, della moglie e del figlio (Paus., v, 20, 9), eseguito con la tecnica criselefantina, appartiene alla prima giovinezza di A., dovendosi collocare poco dopo il 338 a. C. Forse ancora anteriore, e da assumersi come precedente, era la statua di Filippo a Cheronea (Paus., i, 9, 4) (v. filippo). Difficile stabilire la data relativa per i gruppi di Euphranor, con A. e il padre in quadriga (Plin., Nat. hist., xxxiv, 7) e l'altra coppia di ritratti di Chaireas (Plin., Nat. hist., xxxiv, 75; non Chares: cfr. Schreiber, Abhandl. Sachs. Gesellsch., xxi, 3, p. 268; G. Lippold, Pauly-Wissowa iii, c. 2023, n. 9; id., Gr. Sculpt., p. 288) di Filippo e del figlio Alessandro. La notizia, ripetuta più volte dalla tradizione letteraria, che A. abbia permesso di ritrarlo solo a Lisippo, Apelle e Pyrgoteles (Cic., Fam., V, 12, 13; Hor., Ep., ii, 1, 240; Plut., De Alex. virt., ii, 2; Plin., Nar. hist., vii, 125; Val. Max., viii, 19; Arrian., Anab., i, 16, 7; Apul., Florida, 117) fa credere appunto le opere degli autori citati e forse anche la pittura di Nikias (Plin., Nat. hist., xxxv, 135) anteriori alla morte di Filippo o almeno commissionate prima che A. ascendesse al trono. Ma anche Lisippo aveva ritratto A. giovinetto (Plin., Nat. hist., xxxiv, 63) ancora durante la vita di Filippo. Meglio informati siamo sui ritratti postumi, fra cui è certamente da considerare il donario di Cratero (Plut., Alex., 40, 4; Plin., Nat. hist., xxxiv, 64, che nomina solo Lisippo), di Lisippo e Leochares e così i dipinti di Philoxenos di Eretria (Plin., Nat. hist., xxv, 110), che sappiamo aver lavorato per Cassandro, e di Helena, figlia di Timon d'Egitto (Ptol. Hephest., presso Phot., Bibl., p. 482). D'altra parte Diodoro (xviii, 26) ricorda un ritratto di A. sul carro, eseguito in occasione dei funerali del re; una statua iconica era nel monumento funerario in Alessandria; un'altra, probabilmente con carattere d'immagine di culto, era stata dedicata in Alessandria da Tolomeo I.
L'iconografia di A. è densa ancora di problemi di cronologia e d'attribuzione, non esistendo su alcun punto un completo accordo fra gli studiosi (cfr., per ampie discussioni, i lavori più recenti di L. Laurenzi, G. Lippold, M. Bieber). Il tipo più giovanile del ritratto di A. sembra rapppresentato dal tipo Atene-Erbach-Berlino K 203 (da Madytos), che ha continuazioni più tarde nell'ellenismo (testa Guimet, monetazione tracia di Lisimaco). La base più sicura per una ricostruzione iconografica resta sempre l'Erma Azara, con la quale si ricollega il bronzetto del Louvre. L'erma, autenticata dall'iscrizione, presenta i tratti caratteristici ricordati concordemente come tipici di A.: ciuffo sulla fronte (anastolè) e torsione del collo. I due monumenti citati convergono, secondo la maggioranza degli studiosi, nella ricostruzione dell'A. con la lancia, opera di Lisippo (Lippold: affinità con Leochares) ed il realismo stringato del volto, quale appare dalla pessima copia Azara insieme con i caratteri della figura del bronzetto, sembrano convenire all'arte di Lisippo, meglio di ogni altro documento iconografico relativo ad A., in cui elementi lisippei, come è naturale, compaiono spesso, in maniera più o meno mediata. D'altra parte non è possibile riconoscere copie di altre opere lisippee. Non sono mancati tentativi di identificazione (ultimo quello di M. Bieber) di un'opera lisippea nell'archetipo del gruppetto equestre da Ercolano (Napoli, Museo Naz.), che sarebbe ricollegabile con il gruppo del Granico, commissionato a Lisippo nel 334, ma la presenza in esso di una statua di A., testimoniata dal solo Velleio Patercolo (i, ii, 3-4) è incerta. Sicuramente il gruppo, di uno scattante dinamismo, può considerarsi nella corrente lisippea ed affianca al tipo eroico dell'A. con la lancia, il tipo, anche più realistico, del guerriero in panoplia (cfr. già prima Archidamo) colto nel vivo del combattimento. Struttura lisippea ha anche la testa Dressel (Dresda), che non è lontana dal tipo esemplificato dal bronzetto di Ercolano. Le fonti ripetono che Lisippo aveva reso di A. il tratto saliente, l'umido degli occhi associato all'aspetto leonino, contrasto che certo costituiva il singolare fascino del condottiero macedone, ma questi elementi difficilmente si possono cogliere attraverso le redazioni che possediamo, in cui resta soltanto l'altro particolare più esteriore, la correzione del collo difettoso. Lisippo, raffigurando il re appoggiato all'asta, aveva resa canonica la tipologia del condottiero, in termini eroici, ma senza astrarlo dall'umanità. Sono note le polemiche nate nella cerchia stessa di A. circa l'attribuzione a lui di caratteri divini (dopo che egli si considerò erede della monarchia persiana, in ogni modo non prima della visita all'oasi di Ammone). La notizia di Plutarco (De Iside et Osir., 24) del rimprovero mosso in proposito da Lisippo ad Apelle, che rappresentando A. col fulmine lo aveva assimilato a Zeus, è indicativa di una situazione che investiva non solo la visione personale di due artisti, ma la stessa coscienza del molteplice mondo del nuovo impero macedone, riflettendo l'antinomia fra grecità ed asianesimo. La rappresentazione di Apelle è forse tramandata attraverso un cammeo nell'Ermitage di Leningrado, in cui l'assimilazione a Zeus è completata dalla presenza dell'aquila e dell'egida; ma, per ragioni tecniche evidenti, nella piccola copia è perduto l'illusivo sporgere in fuori del braccio di A. (v. Apelle). Comunque, ciò che sappiamo della pittura di Apelle (nessuna eco figurativa resta dell'altro quadro di A. su Bucefalo, dipinto per Efeso: Aelian., Var., ii, 3) mostra che nell'epoca stessa di A. e nell'ambito degli artisti di corte era già sorta la duplice iconografia del condottiero eroizzato e del dinasta divinizzato, che in filoni paralleli si continuerà per tutta l'età antica. Degli artisti di corte, accanto a Lisippo e ad Apelle, la personalità che a noi più sfugge è quella di Pyrgoteles (v.), a meno di non riferire a lui, come non qualche fondatezza ha fatto G. Lippold, l'archetipo del medaglione di Abukir, che rappresenta A. con corazza e scudo e col capo cinto dal diadema, particolare questo che nella monetazione non vediamo comparire prima del 291 (moneta di Lisimaco di Lampsaco di Misia). M. Bieber ritiene naturale l'influenza di Pyrgoteles sulla monetazione. Noi non conosciamo i nomi dei monetieri di A., il quale non fece rappresentare sulle monete la propria immagine; in una emissione di Babilonia del 333-24 compare un tipo di Eracle imberbe che può alludere ad una identificazione ideale, ma non è ancora trasposizione iconografica. La più importante statua, il cui archetipo risale con ogni probabilità ancora al secondo venticinquennio del IV sec., e che non rientra nell'ambito lisippeo, l'A. Rondanini (Monaco, Gliptoteca) rientra ancora nella visione umana condivisa da Lisippo: è il condottiero vittorioso che contempla il campo di battaglia e la forte idealizzazione del volto appartiene forse, in parte, alla tradizione dei copisti. Se può esser condivisa l'assegnazione a Leochares, il cui atticismo doveva tenerlo lontano da una rappresentazione realistica, è certo, tuttavia, che questo non può esser copia dell'A. giovanile del gruppo di Olimpia, perché le statue di questo gruppo erano criselefantine, e quindi vestite. L'idealizzazione è tradotta in termini maestosi nella testa capitolina, riferibile a qualche decennio più tardi, ma sempre entro limiti del sec. IV (Bieber: I sec. d. C.). La morte del re ed il culto che gli fu subito prestato, non solo nell'ambito dei paesi da lui conquistati ma anche nella Grecia metropolitana, diffuse più vastamente e in maniera che diremmo "capillare", l'iconografia di A. divinizzato. Tale culto, promosso dai Diadochi fin che durò il principio politico unitario e legittimistico, cioè fino alla battaglia di Isso (301 a. C.), accettato dalle città per ovvi motivi politici, rimase poi sempre intensamente praticato in via ufficiale e privata, sia perché tutti i dinasti ellenistici riconoscevano in A. l'instauratore del sistema politico da essi seguito, sia perché il sincretismo religioso ellenistico e il progressivo discostarsi dai culti tradizionali lo favorivano. Nell'alto ellenismo, tuttavia, restava vigente la concezione umana che si ricollegava a Lisippo, ed essa ci è conservata nelle due sole opere che mostrano A. non come figura isolata, ma inserito in un'azione: il quadro di Philoxenos di Eretria e il celebre sarcofago di Sidone. Sembra ormai certo che la pittura di Philoxenos sia stata copiata nel noto mosaico pompeiano della Casa del Fauno (Napoli, Museo Naz.), che costituisce la versione più fedele, e che, parzialmente, abbia riflessi in una serie di urnette etrusche. L'opinione diffusa che la scena rappresenti la battaglia di Isso è forse errata, in quanto Philoxenos, nella drammatica contrapposizione fra A. vincitore e Dario ormai vinto, ha inteso più dare una sintesi dei successi militari di A., piuttosto che raccontare un episodio storico isolato. La tipologia del re macedone, per il suo realismo stringato, partecipa ancora strettamente della tradizione lisippea e questo è un elemento di più per l'attribuzione al pittore di Eretria, che sappiamo aver lavorato per Cassandro, il che stabilisce la sua cronologia (v. tav. a colori). La scena di caccia sul sarcofago, ritenuto di Abdalonimo, e detto abusivamente di A., trovato a Sidone, è assai meno caratterizzata e non è nemmeno del tutto sicuro che il cavaliere con la spoglia leonina rappresenti veramente A., che, in ogni caso, non occupa una posizione di primo piano. L'attributo della spoglia leonina indicherebbe già un'assimilazione ad Eracle. Frattanto i tipi di A. divinizzato cominciano a farsi frequenti sulle monete: negli stateri aurei di Tolomeo, del 318, appare, nel recto, A. con egida e fulmine su un carro tirato da elefanti; l'iconografia olimpica veniva ad incrociarsi con quella dionisiaca. A lato dei ritratti realistici, nella prima monetazione tolemaica appare, già nel 318, la testa di A. con la spoglia di elefante e con i serpi dell'egida allacciati sotto il collo. Il tipo con le corna d'Animone sembra si sia affermato fuori dell'ambito egiziano: si vede infatti su monete tracie di Lisimaco del 306 e su monete di Magnesia dello stesso re del 281; poco prima, con l'aggiunta del diadema, era apparso su monete, sempre di Lisimaco, emesse a Lampsaco nel 291 a. C.
All'estremo sec. IV si data la statuetta di Priene, cui per la tipologia della testa si ricollega una moneta di Lisimaco coniata a Magnesia sul Meandro; la modestia della copia rivela tuttavia i caratteri di un originale creato nell'ultimo quarto del secolo, ancora secondo la concezione "eroica". Una classe speciale fra i ritratti di A. dell'ellenismo è costituita da quelli di probabile origine alessandrina. Il gusto impressionistico, contenuto in proporzioni limitate, interpreta il fondamento lisippeo della testa, forse un originale, di Ginevra (da Alessandria?), e, in modo più appariscente, nella testa di Cleveland, cui è affine l'altra da Coo (Istanbul), coperta in origine dall'elmo corinzio, elemento che ne sottolinea il carattere non realistico. Il filone, in cui s'inserisce anche la testa di Stoccarda, si conchiude nella prima metà del II sec. a. C. con la testa, di provenienza alessandrina, del British Museum, già pienamente "barocca" per l'accento patetico e per il modellato estremamente morbido che dissolve contorni e struttura. Di provenienza egizia è anche una coppia di bronzetti (Cairo e Louvre), che sembrano riproduzioni di una statua di culto: A., in uno schema inverso rispetto al bronzetto lisippeo del tipo con la lancia, indossa l'egida disposta, in entrambi i casi, come una clamide; al ritmo identico delle due statuette corrispondono peraltro teste di tipologia diversa. Se le versioni alessandrine sono orientate verso il modellato morbido, la scuola pergamena crea un tipo di A. di pronunciato carattere patetico, in senso "barocco", di cui possediamo due originali: la statua di Magnesia,, con base firmata da Menas di Pergamo, e la testa di Pergamo, entrambe ad Istanbul. La prima è svolta piuttosto sul piano decorativo e risente dello stile della Gigantomachia, la seconda rivela scarsa unità strutturale, entrambe si datano intorno al 150 a. C.; l'iconografia di A. si è ormai staccata dal fondamento realistico dei ritratti ufficiali lisippei e quello di A. è diventato sempre più un "tipo" proposto all'interpretazione degli scultori. Eco di una statua di A. interamente svolta in senso patetico si ha in un bronzetto di Grado. La monetazione del III-II sec. accredita in modo pressoché definitivo la tipologia divina di A.: negli esemplari del tipo Boston-Giessen del 250-200 a. C. è già stabilizzata la tipologia dell'A.Eracle, ancora più evidente nella patetica testa di tre quarti di una moneta di Coo del 200 a. C. circa. Il tipo, con più o meno stretta connessione con una iconografia ritrattistica, si svolge nelle monete di Priene e Mileto del 200-190 a. C., di Agatocle di Battriana del 170 a. C. e di Mesembria di Tracia del 15o a.C.
Il venir meno dei regni ellenistici d'Asia sotto la spinta dell'espansione romana, non influisce in modo negativo sulla ripetizione della figura di A., ormai consacrata nella leggenda e nel culto; gli stessi governatori romani della Macedonia assumono un tipo iconografico di A. nella monetazione locale, come nei coni di Aesillas del 93-92 a. C. e di Sura del 92-88 a. C. A. è un simbolo sia per i Romani, che se ne consideravano eredi (è nota l'attrazione che A. esercitò su Pompeo: Plut., Pomp.) sia per Mitradate del Ponto che li combatteva in nome dell'ellenismo. Del classicismo di età già romana è l'A. di Cirene (dalle Terme, ora a Bengasi, museo): non interpretazione di un archetipo lisippeo, ma nuova creazione classicistica realizzata sulle esperienze policletee; il cavallo che funge da attributo è forse allusivo a Bucefalo, ma potrebbe anche alludere alla concezione sincretistica di A.-Dioscuro.
Con l'A. di Cirene, che ora M. Bieber data alla fine del II sec. d. C., si chiude l'iconografia ellenistica di A., ma la popolarità della sua figura e specialmente la simbologia politica ad essa connessa hanno moltiplicato, specialmente in età imperiale, le copie, attraverso cui conosciamo anche la maggior parte dei ritratti più antichi. Sicché si resta in dubbio se assegnare all'inoltrato I sec. d. C. il bronzetto di A. seduto (Parigi, Bibliothèque Nationale) e la statuetta di Gabi al Louvre, limitatamente all'archetipo di ciascuno, tanto più che diversi riscontri si possono fare fra la statuetta di Gabi e il bronzo di Grado sopra citato. Nessuna ascendenza è invece possibile riconoscere per il busto in porfido già Richelieu al Louvre, di età adrianea, ritratto di ricostruzione d'intonazione patetica, ma in cui l'èthos, in senso semantico ed espressivo, è scomparso sostanzialmente nella convenzionalità accademica. Quello di A. è stato l'ultimo tipo creato dalla grecità classica, e come tale è entrato nel repertorio culturale dell'accademismo romano. Il simbolo di A. sulle monete è ripreso nel III sec. d. C., con vari riferimenti a tradizioni più antiche: così nelle monete macedoni del 231-249, in cui si trovano la testa con l'elmo, la testa col diadema, la testa con la spoglia leonina, il busto diademato con scudo e corazza; un poco anteriori i coni di Apollonia di Pisidia (circa 220 d. C.), con il tipo diademato e quello con spoglia leonina. All'incirca coevi alle monete macedoni sono i medaglioni di Tarso che ripetono i due ultimi tipi ricordati. Ultimi esempi dell'iconografia di A. nel mondo antico sono i contorniati del V sec. d. C.: il busto con spoglia leonina di A.-Eracle è assunto ancora, interpretato nelle forme del tempo, a far parte della simbologia neopagana di cui i contorniati erano uno strumento di propaganda.
Monumenti citati. - Tipo Atene-Erbach-Berlino: Stark, Alexanderköpfe; Arndt-Bruckmann 473-76, 927-28; Bernoulli pp. 39, 42; Hekler, T. 63; Gebauer, p. 70; Blümel, Portr. Skulpt., Berlino, K 203, T. 17; Bieber, p. 380, figg. 5-6. Testa Guimet: Arndt-Bruckmann, 922-23; Gebauer, p. 49; Bieber, p. 280, fig. 7. Erma Azara: Koepp, p. 8; Collignon, Sculpture, ii, p. 432; Arndt-Bruckmann, 181; Ujfalvy, pp. 71 e 75; Bernoulli, p. 21 e 141;Winter, in Arch. Anz., 1895, c. 162; Wulf, Alexander mit der Lanze; Kekulé, Sitz. Ber. Berl., 1899, p. 286; Gardner, Journ. Hell. Stud., 1905, p. 250; Hauser, Berl. philol. Wochenschr., 1905, p. 477; Thiersch, Jahrbuch, 1908, p. 162; Six, ibid., 1910, p. 747; Studniczka, Sitz. Ber. Leipzig. 1912, p. 198; Hekler, tav. 62 b; Johnson, Lysippos, p.213; Suhr, p. 85; Koepp, Beri. philol. Wochenschr., 1932, p. 760; Fuhrmann, p. 312; Marshall,Jarbuch, 1909, p. 92; Lippold, Pauly-Wissowa, xiv, 52; Paribeni, Ritratto, tav. xxix; Gebauer, p. 6ì, 96; Laurenzi, n. 38; Picard, Rev. Arch., 1937, p. 85; Lippold, Gr. Plastik, p. 278; Bieber, p. 382, figg. 13-17. Bronzetto del Louvre: bibl. cit. e Bieber, Thieme-Becker, xxiii, p. 489. Bronzetto di Ercolano: Arndt, 479; Bernoulli, p. 98; Ujfalvy, T. xvii; Johnson, Lysippos, p. 225, T. 48; Gebauer, p. 85; Markmann, The Horse in Gr. Art; J. Hopkins, St. in Arch., 35, 1943, p. 101, fig. 60; Bieber, p. 383, fig. 22. Tipo Dressel-Copenaghen (Ny Carlsberg): Bernoulli, p. 42; Gebauer, p. 63; Suhr, p. 102; Hekler, T. 60; Poulsen, Cat. Ny Carlsberg, p. 310; L'Orange, Apotheosis in Anc. Portraiture, 1948, p. 13; Bieber, p. 380. Busto del Campidoglio: Arndt, 186; Koepp, p. 21; Helbig, Mon. Ant. Lincei, 1890, p. 80; Furtwängler, Berl. philol. Wochenschr., 1896, p. 1517; id., Jorn. Hell. Stud., 1901, p. 213; Schreiber, p. 75; Bernoulli, p. 65; Johnson, Lysippos, p. 222; Suhr, p. 125; Paribeni, Ritratto, tav. xxxviii; Laurenzi, Mem. Ist. Fert, iii, 1938; Laurenzi, n. 41; Lippold, p. 327; Bieber, Am. Journ. Arch., 44, p. 425; Bieber, p. 423. Cammeo di Leningrado (di Neison): Furtwängler, Gemmen, 1, 32, 11, ii, p. 157; Schreiber, p. 205; Bernoulli, p. 203; Gebauer, p. 27; Neuffer, Kostüm, p. 15; Bieber, p. 385. Moneta di Babilonia: Bieber, fig. 33. Statua Rondanini: Furtwängler, Beschr. Glypt. München, p. 289; Koepp, p. 16; Furtwängler, Meisterwerke, p. 664; Six, Röm. Mitt., 1898, p. 72; Schreiber, pp. 92 e 208; Amelung, Rev. Arch., 1904, p. 336; Wace, in Journ. Hell. Stud., 1895, p. 98; Wulf, Alex. mit der Lanze; Hekler, T. 61; Oehmann, p. 121; Collignon, Sculpt. gr., ii, p. 225; Suhr, 106; Koepp, Berl. philol. Wochenschr., 1932, p. 765; Gebauer, pp. 72 e 102; Laurenzi, n. 40; Bieber, Thieme-Becker, xxiii, p. 6o; Bieber, p. 389. Testa Barracco: Coll. Barracco, n. 43; Koepp, p. 42; Helbig, Mon. Ant. Lincei, 1895, p. 8o; Arndt, 477; Bernoulli, p. 77; Furtwängler, Berl. philol. Wochenschr., 1896, p. 1517; id., Journ. Hell Stud., 1901, p. 1213; Suhr, p. 93; Laurenzi, n. 42; Bieber, p. 424. Mosaico della Casa del Fauno: Ujfalvy, T. xviii; Schreiber, p. 73; Winter, Das Alexandermosaik aus Pompei, Strasburgo 1909; Bernoulli, p. 31; Mau, Pompeji, p. 8; Bulle, Schöne Mensch., tav. 313; Pfuhl, Malerei und Zeichnung, fig. 648; Rodenwaldt, Kunst der Ant., pp. 429-31; Della Seta, Italia antica, fig. 308; Curtius, Wandmalerei Pompejis, p. 325, figg. 182 ss.; Rizzo, Pittura ellenistico-romana, tav. 44 ss.; Spinazzola, Arti decorative, tav. 187; Schuchardt, Kunst der Griechen, p. 356; Löwy, Polygnot, fig. 96; Méautis, Chefs d'oeuvre, fig. 15; Thédenat, Pompei 3, p. 117; Fuhrmann, Philoxenos, Gottinga 1931; Lippold, Ant. Gemàidekopien, p. 86; Reinach, Rép. Peint., p. 220, 1; Pernice, Hellen. Kunst in Pompei vi, Pavim. und fig. Mosaiken, Berlino 1938, p. 90; Bieber, p. 383, fig. 27; Rumpf, Malerei und Zeichnung, p. 148. Sarcofago di Sidone: Winter, Alexandersark. aus Sidon, Strasburgo 1912; Ujfalvy, fig. 1; Bernoulli, p. 118; Studniczka, Jahrbuch, ix, 1894, p. 226; id., Neue Jahrb., 1915, p. 309; Rodenwaldt, Kunst der Ant., p. 443; Lippold, p. 288; Bieber, p. 388. Monete tracie di Lisimaco: Bieber, fig. 12; statuetta di Priene: Kekulé, Sitz. Ber. Berlin, 1899, p. 280; Wiegand-Schrader, Priene, p. 180; Bernoulli, p. 58; Ujfalvy, tav. xii; Gebauer, p. 53; Suhr, p. 96; Lippold, p. 287; Bieber, p. 390; figg. 38 ss. Testa di Ginevra: Déonna, Mon. Piot, 1924, p. 87; Johnson, Lysippos, p. 214; Fuhrmann, Philoxenos, p. 131; Lippold, Gnomon, 1928, p. 524; Suhr, p. 80; Gebauer, pp. 62 e 98; Laurenzi, n. 69. Testa di Cleveland: Arndt, 1201; Gebauer, p. 44; Bieber, Art in America, 1943, p. 121; Bieber, p. 391. Testa di Istanbul (da Coo): Bieber, Jahrbuch, xl, 1925, p. 167; Gebauer, p. 58; Tondrian, Rev. Philol., xxiii, 1949, p. 48; Bieber, p. 391, fig. 49; Lippold, p. 308. Testa di Stoccarda: Schreiber, p. 45; Bernoulli, p. 37; Watzinger, p. 1; Suhr, p. 100; Bieber, p. 391, fig. 42. Testa del British Museum: Smith, Brit. Mus. Cat., iii, 1957; Murray, Gr. Sculpture, ii, p. 345; Stark, Alexanderköpfe, p. 16; Schreiber, p. 398; Koepp, p. 19; Johnson, Lysippos, p. 220; Gebauer, pp. 38 e 86; Laurenzi, n. 86; Bieber, p. 391, fig. 46. Bronzetto del Cairo: Mon. Piot, 21, p. 59; Gebauer, p. 287; Lippold, p. 327; Bieber, fig. 21. Bronzetto del Louvre; Bieber, fig. 20. Statua di Magnesia: Th. Reinach, Mon. Piot, 1896, p. 155; Wiegand, Jahrbuch, 1899, p. 1; Léchat, Rev. Ét. Gr., 1899, p. 471; Schreiber, p. 45; Bernoulli, p. 55; Mendel, Gat. Mus. ottom., ii, p. 249; Hekler, T. 64; Schede, Meisterw. türk. Mus., T. 19; Suhr, p. 103; Horn, St. weibl. Gewandst., Exk. ii, 3; Langlotz, Gnomon, 1931, p. 460; Gebauer, pp. 6o e 95; Laurenzi, n. 85; Lippold, p. 268; Bieber, p. 393. Testa di Istanbul (da Pergamo): Conze, Ant. Denkm., ii, 1901, p. 9; Thiersch, Athen. Mitt., 1902, p. 152; Schreiber, p. 7; Waldhauer, p. 67; Bernoulli, p. 8; Winter, Altert. von Pergamon, vii, p. 147; Hauser, Berl. philol. Wochenschr., 1905, p. 479; Lippold, in Pauly-Wissowa, s. v. Lysippos; Mendel, Cat. Mus. Ottom., p. 254; Hekler, p. 59; Schede, Meisterw. türk. Mus., tav. 18; Fuhrmann, Philoxenos, p. 131; Johnson, Lysippos, p. 221; Paribeni, Ritratto, tav. XXXI; Kleiner, Neue Jahrb., 1938, p. 263; Gebauer, p. 59; Laurenzi, n. 87; Lippold, p. 280; Bieber, p. 392, fig. 57. Bronzetto di Grado: Lorentz, Röm. Mitt., 50, 1935, p. 333; L'Orange, Apotheosis, p. 26; Bieber, p. 393, fig. 19. Testa da Sooi: Gjerstadt, Swedish Cyprus Expedition, iii, 1937, p. 526; Bieber, p. 394, fig. 68. Testa di Chatsworth: Lippold, p. 280. Moneta tipo Boston-Giessen: Bieber, p. 392, figg. 53-54. Monete: di Coo: Bieber, p. 392, fig. 55; di Priene: Bieber, p. 393, fig. 61; di Mileto, della Battriana, di Mesembria: Bieber, p. 393, figg. 62, 63, 64; Regling, Münzen von Priene, Berlino 1927, p. 37; Gardner-Boler, Cat. of Indian Coins, Brit. Mus., 1886, tav. xxviii; Schreiber, p. 176; Regling, Ant. Münzen, p. 16. Statua di Wilton House: Poulsen, Greek and Roman Portraits in Engl. Country-houses. Statua di Cirene: Ghislanzoni, Notiz. arch. Colonie, 1916, p. 105; Mariano, Rend. Lincei, 1915, p. 94; Suhr, p. 114; Koepp, Ben. philol. Wochenschr., 1932, p. 766; Paribeni, Ritratto, tav. xxxii; Laurenzi, n. 101; Bieber, p. 424, fig. 78. Bronzetto della Bibliothèque Nationale: Babelon-Blanchet, N. 824; Ujfalvy, tav. v; Schreiber, p. 113; Bernoulli, p. 115; Babelon, Choix de bronzes, Parigi 1929, p. 17; Bieber, p. 424, fig. 72. Statuetta di Gabi: Bernoulli, p. 83; Schreiber, p. 111; Gebauer, p. 79; Bieber, p. 424, fig. 73. Testa già Richelieu: Delbrück, Ant. Porphyrwerke, p. 6o, T. 15; Gebauer, p. 74; Bieber, p. 424, fig. 74. Monete romane del III sec. d. C.: Gaebler, Münzen Nordgriechenlands, pp. 550-51 e 634-36; Bieber, pp. 379 e 426. Contorniati: Dressel, Goldmedaillons von Abukir, in Abhandl. preuss. Akad. Wissensch., 1906, p. 31; Koester, Burlington Magazine, 1907, p. 103; Bieber, p. 379, fig. 2. Medaglione di Abukir: Dressel, cit.; Laurenzi, n. 38; Bieber, p. 379. Monete di Lampsaco (di Lisimaco): Gebauer, p. 20; Bernoulli, p. 27; Hill, Historical Greek Coins, p. 121; Imhoof-Blumer, p. 14; Regling, Ant. Münzen, p. 59; Hinks, Greek and Roman Portrait Sculpture Brit. Mus., p. 9; Hill, L'art dans les monnaies grècques, p. 40; Ujfalvy, p. 12; Bieber, p. 389, figg. 12, 37, 41, 55.
Bibl: Fonti: Testi in L. Laurenzi, Ritratti greci, Firenze 1941, nn. 103-110, 122, 132, 138, 341, 388; elenco di M. Bieber, citato sopra.
Bib. generale: K. B. Stark, Zwei Alexanderköpfe, Lipsia 1879; F. Koepp, 52. Berl. Winckelmannsprogramm, 1892; Ujfalvy, Le type phisique d'Alexandre le Grand, Parigi 1902; Th. Schreiber, Studien über das Bildniss Alexanders des Grossen, in Ber. Sächs. Ges., XXI, 1903, pp. 111 ss.; J. J. Bernoulli, Die erhaltene Darstellungen Alexanders des Grossen, Monaco, 1905; O. Waldhauer, Diss. München, Monaco 1903; K. Watzinger, Expedition Sieglin, II, Lipsia 1908, i, b. I; E. Suhr, Sculptured Portraits of Greek Statesmen, Baltimora 1931; A. Hekler, Bildnisskunst der Griechen und Römer, Stoccarda 1912; J. Neuffer, Das Kostüm Alexanders des Grossen, in Diss. Giessen, Giessen 1929; K. Gebauer, in Athen. Mitt., LXIII-LXIV, 1938-39, pp. 70 ss.; J. Tondrian, in Rev. Philol. Litt. Hist. Anc., 1949, pp. 41 ss.; D. M. Robinson, Alexander Deification, in Am. Journ. Phil., LXIV, 1943, p. 286; L. Laurenzi, Ritratti greci, cit.; M. Bieber, The Portraits of Alexander the Great, in Amer. Philos. Ass. Proceedings, XCIII, 1949, 5, p. 373 ss.
(G. A. Mansuelli)
La figura di A. esercitò un fascino straordinario e duraturo, nell'arte e nel mito, per tutta l'età antica e sin nel Medioevo e nel Rinascimento. Il modello di A. intervenne in ogni successivo programma monarchico, determinandone aspetti di propaganda, religiosi e di costume: A. fu il prototipo del principe, e da lui derivarono i ritratti di sovrani sin nella lontana Battriana (P. Gardner, Coins of the Greek and Schythic Kings of Bactria, Londra 1886).
In qualche caso, dalla famosa statuetta del Museo Naz. Romano, a un sarcofago nella chiesa di S. Francesco a Ravenna, ad altri monumenti, l'iconografia di A. influenzò la stessa iconografia del Redentore (O. Thulin, Die Christusstatuette im Museo Naz. Romano, in Röm. Mitt., xliv, 1929, specialmente p. 232 s.).
Dal momento in cui i sacerdoti di Ammone rivelarono che il dio aveva sottomesso all'impero di A. tutta la terra, sino ai suoi confini estremi, e il cerchio dell'Oceano, e da quando A. giunse in Oriente a quelli che effettivamente sembravano i limiti ultimi dell'orbe, intorno ad A. incominciò a crescere una leggenda che nel III sec. d. C., in un romanzo attribuito a Callistene, e noto appunto come lo Pseudo-Callistene, raggiunse la sua prima forma letteraria.
Nucleo centrale della leggenda, che ebbe varianti numerosissime e rielaborazioni, sia in Oriente sia in Occidente, è la temeraria ascensione di A. in cielo, dopo aver conquistato tutta la terra e dopo aver raggiunto il paese delle tenebre. Dal primo entusiasmo "scientifico" del romanzo ellenistico, ammirato per la grandezza dell'impresa, si passa a poco a poco, nella letteratura cristiana ed ebraica, al rimprovero verso l'uomo che si era voluto elevare troppo in alto, e A. diviene così un equivalente di Lucifero o di Cosroe, simbolo dell'orgoglio smisurato che la divinità punisce respingendo A. su questa terra e impedendogli di scoprire i segreti del cielo (mentre nella versione più antica egli poteva vedere il punto in cui la terra si univa al cielo, vedere la terra simile a un'aia con il serpente dell'Oceano intorno, e ritornava dal suo viaggio con l'aiuto della divinità). Motivo costante nelle differenti versioni della leggenda è il veicolo di cui A. si servì per l'ascesa: due uccelli - in alcune versioni, ad esempio in quella di Leone da Napoli, due grifoni - aggiogati e guidati per mezzo di un'esca costituita da due bastoni cui sono infilzate carni di animali (confronta la storia di Kai Ka'us, giunta in Occidente con il nome di Esopo, per cui alcuni epitomi della storia di A. sono note in Occidente come tratte ex Aesopo graeco).
La leggenda ha avuto numerose illustrazioni dalla tarda antichità lungo tutto il Medioevo. In questa sede, naturalmente, ci si limita a considerare le testimonianze più antiche e, tra le medioevali, soltanto quelle che rimandino a prototipi antichi. Particolare considerazione merita una stoffa copta nella chiesa di Montpezat-de-Quercy (T.et-G.). Lungo un bordo ornamentale, con scene divise da colonne dai capitelli colossali, sono raffigurati: A. in trono e A. che si leva in volo sul cocchio trainato dai grifoni. A. in trono è raffigurato con ai piedi due piccoli animali - o uccelli; due figure allegoriche femminili, sedute, lo incoronano: egli volta la testa verso la figura alla sua destra. Ha le braccia spalancate. La raffigurazione è stata variamente interpretata: alcuni vi hanno visto le personificazioni della Scienza e della Storia; altri ha pensato a un ricordo dei gruppi allegorici derivati dall'Apologo di Prodico su Eracle al bivio tra Aretè e Kakìa-Eudaimonìa e l'accostamento non è inverosimile, dato il frequente riferimento di A. ad Eracle. Comunque sia, l'appartenenza della storia al ciclo di A. è accertata dalla scena successiva, in cui si vedono i preparativi dell'ascensione. A. e in piedi, frontale, su un cocchio di cui sono ben visibili le ruote ("vero carro da apoteosi", secondo l'osservazione di Ch. Picard) ed apre le braccia per offrire il pasto ai due grandi grifoni posti ai lati del carro.
L'interesse maggiore della stoffa di Montpezat sta nel presentarci contemporaneamente l'immagine del trono e quella del carro del viaggio celeste. L'ascensione di A. assume così un esplicito valore di apoteosi (si ricordi che dalla lettura di Diodoro, xviii, 26, sembra di capire che sul carro che trasportò la salma di A. da Babilonia ad Alessandria era posto anche il trono del sovrano), che sembra ritornare anche nella lastra inserita nel San Marco di Venezia (X-XI sec.), dove, è stato osservato, l'immagine frontale del principe "si adatta più ad un A. troneggiante che non a un pellegrino del cielo". Il tipo del casco di questa figura di A. ricorda costumi persiani, per cui si è pensato a una derivazione da stoffe o da altri monumenti persiani (confronta, ad esempio, una coppa nel Ferdinandeum di Innsbruck), ma è stato osservato che il tema del trono attorniato dai due grifoni, cui in ultima istanza l'immagine di Venezia può essere riferita, era già da secoli (trono di Minosse a Cnosso) incorporata nell'arte occidentale. Nella lastra di Venezia, come nella coppa di Innsbruck, A. appare sino alla cintola e stringe nelle due mani due aste cui sono infilzate le vivande; i due grifoni si levano obliqui ai lati volgendo il capo verso l'esca fornita da A.; sulla lastra di Venezia il mozzo della ruote è estremamente allungato. In entrambi gli esempi la composizione è rigorosamente simmetrica.
L'ascensione di A. è poi rappresentata in un medaglione di stoffa copto, proveniente da Münsterbilsen e ora nel Musée du Cinquantenaire a Bruxelles, datata tra il VI e il VII sec. d. C. È curiosa la trasformazione che ha subito il cocchio, divenuto simile a una campana rovesciata e in cui le ruote sono state trasformate in un fiore. È stato supposto (L'Orange) che l'iconografia del viaggio celeste di A. sia di data piuttosto recente, e che sia sorta in seguito all'enorme impressione suscitata in Occidente e nel mondo bizantino dalla caduta dell'Impero sassanide (640 d. C.), per cui alle menti si presentò in tutta la sua evidenza il tragico parallelo tra A. e Cosroe, che, entrambi, si eran voluti innalzare al cielo come dio e che dalla divinità erano stati puniti. Tale è infatti il significato morale della raffigurazione di A. nella maggior parte dei monumenti medioevali, e tale significato il L'Orange pensa si possa riconoscere anche in una lastra del museo di Tebe ed in altra del Museo di Castel Sant'Angelo a Roma, entrambe databili tra il VII e l'VIII sec. d. C. Della prima è conservato soltanto un frammento della parte superiore, con una testa di grifone e la testa di A.; della seconda è conservata una zona più ampia, con A., barbato e con baffi, che guida con le aste cui sono infilzate le vivande i due grifoni, mentre ai lati si vedono due figure umane in mezzo a racemi.
Questa catechesi è contraddetta, nota il L'Orange, da una nota placca d'avorio di Darmstadt, variamente datata (XI sec.?), in cui è raffigurato A. in tutto lo splendore della sua gloria, non, cioè, come personificazione dell'orgoglio temerario. Egli è assimilato al Basilèus bizantino, di cui indossa gli stessi abiti, e siede solennemente sul cocchio tenendo nella sinistra, come uno scettro, il bastone con una testa di animale come pasto per i grifoni, e nella destra una corona o, più probabilmente, il serpente dell'Oceano attorcigliato intorno all'aia della terra (egli è, cioè, il κοσμοκράτωρ). Ai lati del cocchio si levano i due grifoni, come in San Marco, soltanto che essi non volgon la testa indietro. In alto volano due esseri alati che presentano corone (confronta la scena della Ascensione di Cristo sul codice di Rabūla, opera siriaca datata al 586 d. C., nella Biblioteca Laurenziana di Firenze); in basso si vedono alcune piante e, a sinistra, un uomo arrampicato su un albero che ammira il volo portentoso; a destra un uomo che cammina con una gerla sulle spalle e che si volta indietro repentinamente per ammirare l'apparizione inconsueta. Il paesaggio è completato, a destra, da una roccia. La scena si svolge al di sotto di una serie di tre archi, di difficile interpretazione (hanno significato astronomico? rappresentano l'arco che A. eresse laddove la terra e il cielo si congiungono?), sui peducci dei quali si affacciano quattro busti (i venti? i pianeti? i beati?).
Per quanto a prima vista tale composizione possa sembrare invenzione del tutto medioevale, essa in realtà non lo è. Gli accenni di paesaggio, la figura che si volta sorpresa dal prodigio rimandano a monumenti più antichi (porta di S. Sabina, raffigurazioni del volo di Icaro) e, se non altro, ci permettono di spiegarci meglio la funzione delle figurette umane nella lastra di Castel Sant'Angelo. Ma evidentemente queste, se, come risulta da questo confronto, non sono puramente decorative, ma assolvono a una funzione, per così dire, paesistica e hanno connessioni con scene così elaborate come quella di Darmstadt, non possono essere invenzione del VII secolo.
Il problema è risolto dall'esistenza di un'altra rappresentazione del viaggio di A. in cui gli elementi compositivi notati sono più chiaramente definiti dal punto di vista stilistico. Si tratta di una miniatura in un codice della Biblioteca Nazionale di Vienna (Histoire universelle, cod. prof. 257) con l'ascensione di Alessandro. Il codice è stato miniato nel sec. XIV nell'Italia settentrionale, ma il miniatore attinse largamente a modelli remoti: l'intera parte della Genesi deriva infatti dalla famiglia di illustrazioni che fanno capo alla Genesi Cotton del British Museum (Alessandria, sec. V-VI d. C.). Anche la miniatura dell'ascensione di A. deriva, evidentemente, da un modello assai antico: vi compare una folla di personaggi in uno scorcio arditissimo, che ha riscontro solamente in alcune figure della Genesi di Vienna (apparizione dell'arcobaleno del sec. VI d. C. (Siria). Ma, come è noto, le illustrazioni della Genesi di Vienna non sono neanch'esse una creazione autonoma del VI sec., e derivano da un prototipo più antico. Le stesse considerazioni debbono valere per la miniatura di A. nella Histoire universelle di Vienna, e quindi sussiste qualche probabilità che questa miniatura e i monumenti che, come abbiamo visto, sono ad essa collegati, ci mantengano qualche eco delle antiche illustrazioni del romanzo falsamente attribuito a Callistene.
Monumenti considerati. - Stoffa di Montpezat: Bull. archéol., 1902, tav. 40; Ch. Picard, in Cahiers Archéol., vii, 1954, p. 14 ss. Coppa di Innsbruck: O. U. Falke, in Monatshefte f. Kw., ii, 1905, p. 234 ss. Stoffa di Münsterbilsen: E. Riefstahl, in Coptic Studies in Memory of E. Crum, Boston 1950. Rilievo del museo di Tebe: P. H. L'Orange, Iconography of Cosmic Kingship, Oslo 1953, p. 19. Rilievo del Castel Sant'Angelo: ibidem. Rilievo di S. Marco: L. Bréhier, La sculpture et les arts mineurs byzantins, Parigi 1936, tav. xii e pp. 64-65. Avorio di Darmstadt: ibidem, pp. 29, 79 (datazione: XII-XIII sec.). Cod. 257 di Vienna: J. Hermann, Beschreibendes Verzeichnis der illuminierten Handss. in Österreich., vii, 2, Vienna 1536, p. 168, x; (i caratteri italiani delle miniature e la loro origine antica sono stati riconosciuti da O. Pächt, in Journal of the Warburg a. Courtauld Institutes, vi, 1943).
A. Pokrovskij, Décoration des plafonds de la Chapelle Palatine, in Byzantinische Zeitschrzft, ii, 1893, pp. 394-400, e O. Wulff e W. J. Volbach, Spätantike und koptische Stoffe, Berlino 1926, hanno creduto di identificare l'ascesa di A. in una pittura della Cappella Palatina a Palermo, ma v. contro, U. Monneret de Villard, Le pitture musulmane al soffitto della Cappella Palatina, Roma 1950, p. 71, nota 251.
Bibl: V. ampia bibl. raccolta da G. Radet, Alexandre le Grand, Parigi 1951, pp. 435-436 (cap. XXX); W. Stammler, in Reallexikon zur deutschen Kunstgeschichte, I, s. v. Alexander d. Gr.; H. E. Stier, in Reallexikon für Antike u. Christentum, I, c. 261 ss., s. v. Alexander (III) der Grosse; J. Durand, in Annales Archéologiques, XXV, 1865; J. Zacher, Pseudokallisthenes, Halle 1867, p. 7 ss. (sui mss.); W. Kroll, Zur griech. Alexanderroman, in Hermes, XXX, 1895, p. 462 ss.; A. Ausfeld, Der griech. Alexanderroman, 1907; W. Hoffmann, Das literarische Porträt Alexander des Grossen in griechischen und römischen Altertum, 1907; F. Weber, Alexander der Grosse im Urteil der Griechen uy. Römer bis an die Konstantinische Zeit, Dissert., Giessen 1909, p. 84 ss.; J. Strzygowski, Amida, 1910, pp. 348-354; E. Herzfeld, Der Thron des Khosrô, in Jahrb. der preuss. Kunstsammlungen, XLI, 1920, pp. 1-24, 103-147; G. Millet, in Syria, IV, 1923, p. 85 ss.; U. Wiecken, Alexander der Grosse u. die indischen Gymnosophisten, 1923, pp. 150-183 (e cfr., dello stesso, Alexander der Grosse, 1931); H. Schrade, in Vorträge der Bibliothek Warburg, Warbuärg, VIII, 1928-1929, specialmente p. 151 s.; E. Mederer, Die Alexanderlegende bei den ältesten Alexanderhistoriker, 1936; A. Grabar, L'Empereur, Parigi 1936; A. Schenk Graf von Stauffenberg, Der Reichsgedanke Konstantins: Das Reich, in Haller Festschrift, 1940, p. 80 s.; Ch. Picard, in Revue Archéol., 1944, I, pp. 175-176; H. P. L'Orange, Iconography of Cosmic Kingship in the Ancient World, Oslo 1953, p. 118 ss.; R. Merklbach, Die Quellen des griechischen Alexanderromans, 1954; Ch. Picard, Le trône vide d'Alexandre et le culte du trône vide, in Cahiers Archéol., VII, 1954, p. i ss.; A. Abel, Le roman d'Alexandre, 1955; H. G. Beck, in E. Kutsch, Die Religion in Geschichte und Gegenwalt (RGG), I, 1956, cc. 231-232, s. v. Alexanderroman; G. Cary, The Medieval Alexander, 1956; F. Pfister, Alexander d. Gr. in den Offenbarungen der Griechen, etc., 1956.
(C. Bertelli)