Alessandro III figlio di Filippo: una successione complicata
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La vita del giovane Alessandro alla corte macedone, tra educatori prestigiosi come Aristotele, prime responsabilità di governo, ma anche primi scontri con Filippo II, subisce una brusca accelerazione alla morte del padre, assassinato nell’estate del 336 a.C. Alessandro viene chiamato a gestire il regno in condizioni estremamente difficili, ma riesce a imporsi sui rivali al trono, ricompattare il regno e confermare le posizioni politiche ottenute dal padre, pronto a ereditare anche il progetto più ambizioso, l’attacco all’Impero persiano.
Il sesto giorno del mese che i Macedoni chiamavano Loo, corrispondente all’attico Ecatombeone, tra luglio e agosto, nell’anno 356 a.C., nasce a Pella Alessandro, figlio di Filippo II e di Olimpiade. Una figura destinata a stravolgere, nel breve arco della sua esistenza, equilibri consolidati nel regno macedone, nella vita politica greca, nel rapporto tra Europa e Asia e a rivoluzionare con le sue conquiste l’organizzazione politica, gli assetti territoriali, il sistema di riferimenti culturali, l’appartenenza e il concetto stesso di identità nel mondo antico. Non tutti i mutamenti avviati dalla sua straordinaria vicenda si concretizzano nella direzione da lui prefigurata, per la troppo breve durata della sua esistenza, per la resistenza di molti membri della sua corte, per l’oggettiva difficoltà di portare a termine cambiamenti tanto ambiziosi. Nonostante questo, Alessandro ridisegna in maniera decisiva il profilo della storia del suo tempo e dei secoli a venire, in una manciata di anni e con un esercito di meno di 50 mila uomini.
Un simile personaggio è inevitabilmente circondato da un’aura speciale. Nella narrazione delle sue conquiste si insinua una serie di aneddoti fantastici, imprese leggendarie, avventure mirabolanti, allontanando Alessandro dalla sua dimensione storica e umana per avvicinarlo a quella mitica e divina. Non solo: la sua figura è stata spesso utilizzata dalla tradizione storiografica e filosofica per costruire un modello di sovrano, quasi ne potesse diventare l’incarnazione paradigmatica. È rappresentato come re soldato e grande conquistatore, signore di un impero universale e addirittura del cosmo; re filosofo, capace di tradurre in pratica le virtù delle teorie filosofiche apprese da Aristotele; tiranno che pone fine alla libertà greca e inaugura una nuova forma monocratica di potere; campione della grecità, la cui cultura impone nelle terre vinte; traditore del mondo ellenico, le cui tradizioni politiche, culturali, addirittura cultuali mischia con pratiche e usi orientali. Si potrebbe continuare a lungo in un gioco di contrapposizioni che attribuiscono immagini sempre diverse a questo protagonista certo unico, ma anche estremamente ingombrante della storia del IV secolo a.C., costretto in una serie complessa e spesso contraddittoria di modelli interpretativi.
Per lo storico moderno distinguere i dati storici dalle costruzioni successive, esercizio sempre complicato nella storia antica, diventa particolarmente delicato nel caso della vita di Alessandro, aggravato dalla scomparsa, per un singolare destino comune, dell’intera e corposa produzione storiografica contemporanea al re macedone, della quale sopravvivono solo nomi e pochi frammenti. Restano dunque narrazioni più tarde, di autori che hanno riutilizzato le fonti precedenti con prospettive, sensibilità, motivazioni diverse, quando ormai intorno ad Alessandro aleggiava la costruzione di un mito.
Alessandro nasce mentre il padre Filippo costruisce un nuovo ruolo politico per la Macedonia nello scacchiere politico greco. Negli anni della sua infanzia e giovinezza, tra il 356 e il 338 a.C., il padre guadagna crescenti spazi di influenza, grazie alle vittorie militari, alla scaltra politica diplomatica, alla lungimirante strategia di alleanze e scontri con le diverse realtà del mondo ellenico. Una traiettoria culminata con la vittoria di Cheronea del 338 a.C., che consegna in mano ai Macedoni l’egemonia e il controllo politico sulla Grecia.
La madre di Alessandro, Olimpiade, appartiene alla famiglia dei Molossi, regnanti d’Epiro: l’unione con Filippo crea un’alleanza tra i due grandi regni della Grecia settentrionale che si concretizzerà nella salita al trono epirota, nel 342 a.C., del fratello di Olimpiade, Alessandro, predisposta proprio da Filippo. C’è nell’unione dei genitori una stringente logica politica, ma anche un richiamo a origini nobili negli ascendenti delle due famiglie, eraclide quella paterna, eacide (e quindi legata ad Achille) la materna. Eracle e Achille formano il primo modello di riferimento per Alessandro, che, una volta divenuto re, non mancherà di richiamare, con gesti e rappresentazioni esplicite, l’identificazione con i due eroi, in certo senso rivendicando la compresenza delle due tradizioni familiari nella formazione della sua identità personale e politica.
L’educazione di Alessandro è accurata, sotto la severa guida di un parente della madre, Leonida, affiancato da un team specificamente nominato per seguirne la formazione.
A portare a termine il compito viene chiamato il più insigne tra i possibili maestri, Aristotele, figlio di un medico che aveva prestato servizio presso la corte macedone. Filippo lo ingaggia in cambio di un ricco compenso; il filosofo per alcuni anni si dedica esclusivamente a trasmettere ad Alessandro e a un piccolo e scelto gruppo di coetanei il livello più esclusivo della raffinata cultura greca, nella filosofia e nella politica, nella letteratura e in ogni campo della conoscenza, dalla geografia alla medicina, dall’etnografia alla zoologia, che il dottissimo educatore domina come nessuno ha mai fatto prima.
Il rapporto tra Alessandro e Aristotele è divenuto, anch’esso, un paradigma, né poteva mancare di suscitare un inesauribile interesse, per l’unione del più folgorante e precoce dei conquistatori con il più importante e celebrato dei filosofi. Aristotele calibra il suo insegnamento in funzione delle necessità future dell’allievo, mirando alla costruzione di un modello ideale di sovrano, campione di moderazione che sappia trasformare la conoscenza teorica del sapere e delle virtù in agire pratico, che faccia risplendere la politica nella luce della consapevolezza derivata dalla più alta delle discipline, la filosofia. Un’attenzione ripagata da Alessandro, che secondo Plutarco, paragonando il maestro al padre Filippo, afferma che questi gli ha dato la vita, ma Aristotele gli ha insegnato a vivere bene. La cultura che Aristotele trasmette al giovane allievo è squisitamente greca, richiamando alcuni dei capisaldi della sua visione politica ed etnografica, tra i quali la superiorità dei Greci sui barbari e sul popolo barbaro per eccellenza, i Persiani. Il riferimento letterario che più di ogni altro racchiude i canoni di quella cultura è Omero, soprattutto l’Omero dell’Iliade, che Alessandro porta sempre con sé, in un’edizione nota come “l’Iliade della cassetta”. Nel dorato ritiro di Mieza, vicino Pella, in una delle proprietà della famiglia, Alessandro studia da re, alla greca: un’educazione esclusiva di cui andrà sempre molto fiero, per quanto i rapporti con il maestro si mostreranno nel tempo assai tormentati. L’illusione del re filosofo (modello che ancora Plutarco utilizza a caratterizzare Alessandro) si spegnerà infatti progressivamente di fronte all’incalzare delle conquiste, che spalancano al giovane sovrano urgenze e opzioni nuove, allontanandolo dal progetto che ne aveva guidato la formazione.
Uscito dall’adolescenza Alessandro inizia a essere coinvolto dal padre nelle prime responsabilità politiche: a 16 anni, mentre Filippo assedia Bisanzio, il giovane figlio è nominato reggente e custode del sigillo reale, distinguendosi nella lotta contro la tribù tracia dei Maidi. Due anni più tardi, nel 338 a.C., guida l’ala sinistra nella battaglia campale di Cheronea, decisiva per i destini futuri della Grecia e dei Macedoni, sbaragliando il celebre battaglione sacro dei Tebani.
Il progressivo coinvolgimento con le attività del padre subisce un colpo durissimo nel 337 a.C., quando Filippo sposa Euridice, rampolla di una delle più nobili famiglie macedoni. È la settima sposa del re, la terza a fregiarsi del titolo di regina, dopo Fila (che non gli aveva dato figli) e Olimpiade. Appare subito chiaro il rischio di una concorrenza al trono che un eventuale figlio della nuova coppia rappresenterebbe per Alessandro, rischio reso manifesto la sera stessa delle nozze, quando lo zio della donna, Attalo, augura agli sposi di procreare un successore legittimo per la guida del regno, guadagnandosi la reazione irritata di Alessandro oltre al suo eterno rancore. Anche Alessandro naturalmente è figlio pienamente legittimo di Filippo, ma la nuova situazione lo pone in una posizione delicata: Filippo pare molto legato alla nuova sposa, che è macedone, al contrario di Olimpiade, perciò ben vista da una parte della corte. La successione al trono, fino a quel momento mai messa in discussione, diviene improvvisamente incerta.
La prima reazione è drastica: Olimpiade si ritira in Epiro, Alessandro in Illiria, creando una diaspora familiare, ma anche una frattura politica proprio nel momento in cui Filippo può celebrare i suoi successi, con la nomina a hegemon della Grecia ricevuta dal congresso di Corinto (337 a.C.). Poco dopo Alessandro è richiamato dal padre, ma i rapporti sono ormai incrinati, resi più tesi dal fatto che Euridice ha nel frattempo dato un figlio al re.
Un secondo motivo di contesa con il padre si apre quando Filippo II tenta di legarsi con il satrapo di Caria, Pissodaro, che offre una sua figlia in sposa a un altro figlio del re, Filippo Arrideo, avuto dalla tessala Larissa e affetto da demenza. In questo caso Alessandro, muovendosi d’anticipo e con notevole autonomia rispetto al padre, si propone come interlocutore del satrapo escludendo il fratellastro e, di fatto, bloccando ogni accordo.
Alessandro mostra di saper navigare con abilità nella complicata vita di corte, anche quando la sua posizione pare minacciata.
Non è isolato in questa lotta: oltre alla madre Olimpiade, sempre al suo fianco e determinata a farne rispettare il diritto di successione, negli scontri con Filippo gli restano accanto un certo numero di hetairoi (letteralmente “compagni”), membri dell’aristocrazia macedone a lui coetanei, uniti da un rapporto di speciale solidarietà e amicizia fin dall’infanzia. Vi figurano, già a quest’epoca, alcuni dei protagonisti delle vicende future: Tolemeo, Arpalo, Nearco. La lealtà verso Alessandro costa loro un esilio che termina solo alla morte di Filippo, ma vale, al rientro, la generosa gratitudine del nuovo sovrano.
Nell’estate del 336 a.C., mentre si prepara a invadere l’Asia, dove ha da poco mandato in avanscoperta un primo gruppo di soldati guidati da Parmenione e Attalo, Filippo II viene ucciso nel teatro di Ege durante la fastosa celebrazione delle nozze tra la figlia Cleopatra e il cognato Alessandro il Molosso. La mano che lo uccide è quella di Pausania, una delle sue guardie del corpo (somatophylax); sui possibili mandanti si possono fare solo ipotesi o illazioni. Già le fonti antiche tuttavia registrano i sospetti, indimostrati, che vi siano implicati lo stesso Alessandro e soprattutto sua madre Olimpiade. L’assassinio del re macedone che ha fatto grande il suo regno trasformandolo nella massima potenza greca è un evento traumatico: la Macedonia piomba in uno stato di confusione, come avveniva regolarmente a ogni cambio di re; inoltre la morte del grande Filippo riaccende speranze di indipendenza nelle località greche meno disposte ad accettare passivamente il ruolo della Macedonia, in particolare Atene, Tebe e le città peloponnesiache; i popoli confinanti con il regno, le tribù della Tracia a est, gli Illiri a nord, approfittano della situazione per minacciare i territori di confine. La salita al trono di Alessandro avviene così nelle condizioni più difficili, con una gran quantità di nemici interni ed esterni e la necessità di agire in modo rapido ed efficace, per rendere solido il suo comando e non cedere le posizioni conquistate dal padre.
Alessandro, appena ventenne, si mostra all’altezza della situazione. Sul fronte interno ottiene l’acclamazione a nuovo sovrano dall’élite aristocratica e dall’assemblea, forte del sostegno degli hetairoi e dell’appoggio dell’esercito, e liquida i possibili rivali alla successione.
In Grecia, alla morte di Filippo, è riemerso un sentimento antimacedone alimentato dalla speranza che il successore non abbia le qualità del padre. Alessandro si muove con decisione: sceso in Grecia a ribadire l’egemonia macedone e la posizione conquistata da Filippo, ottiene dalla confederazione tessala il rinnovo della tagìa e dall’anfizionia delfica la conferma del ruolo di hegemon della Grecia, titolo ribadito successivamente dal congresso di Corinto insieme a quello di comandante militare supremo. In tal modo Alessandro si muove nella scia della politica di Filippo: è il segno della condivisione profonda della strategia adottata dal padre e della volontà di riprenderne il percorso e raccoglierne per intero l’eredità politica.
Riaffermata la sua posizione in Grecia, Alessandro si concentra sui confini del regno. Contro le tribù tracie dei Triballi e dei Geti, i Peoni, gli Illiri e i Taulanti, Alessandro guida nella primavera del 335 a.C. una spedizione che impegna duramente il suo esercito, ma nella quale mostra il suo valore come soldato e comandante militare. Durante la sua assenza, si diffonde in Grecia la notizia, del tutto infondata, di una sconfitta macedone e addirittura della morte del sovrano, alimentando un vento di rivolta che viene sostenuto dall’azione persiana, tendente, secondo una strategia consolidata, ad alimentare le divisioni interne del mondo ellenico. Tebe capeggia la ribellione: dalla Cadmea viene cacciata la guarnigione macedone con un gesto di sfida esplicita al re. Atene, Argo, l’Elide si uniscono alla rivolta. Di nuovo, Alessandro risponde con prontezza: informato dei fatti, giunge con velocità sorprendente in Beozia e dopo un duro assedio prende la città. I Tebani hanno sperato nel supporto di altre poleis greche, ma nessuna si è unita alla loro difesa. La punizione per Tebe è durissima: gli uomini deportati o venduti in schiavitù, gran parte della città distrutta, l’identità della polis cancellata. Alessandro ha tuttavia l’accortezza di far deliberare la sanzione dai membri del consiglio federale che lo hanno sostenuto (in particolare Beoti e Focesi), puntando sul risentimento contro Tebe delle città rivali, che quindi si assumono la responsabilità della punizione. La sorte di Tebe ha un impatto fortissimo sui Greci, che Alessandro utilizza per tacitare gli altri germi di ribellione, potendo anzi mostrare una certa clemenza, in particolare verso Atene. Ormai nessuno osa mettere in discussione il dominio macedone e Alessandro può così concentrarsi per dar seguito al progetto che ha impegnato gli ultimi anni di Filippo: l’attacco all’impero persiano.