KNIPS MACOPPE, Alessandro
Nacque a Padova il 10 dic. 1662 dal medico Giovanni Francesco e da Orsola Mensi. Il nonno, Giovanni Knips, originario di Colonia, si era trasferito a Padova, dove nel 1632 aveva sposato Anna Macop, la cui famiglia aveva origine tedesca o più probabilmente fiamminga, aggiungendo il cognome della sposa (poi italianizzato in Macoppe) al proprio. A Giovanni, farmacista nella contrada di Pontecorvo, nel 1635 era stata concessa l'immatricolazione nella Natio Germanica artistarum dello Studio di Padova, "ut scholari, non mercatori".
Nonostante il K. fosse padovano di nascita, l'ascendenza tedesca gli permise di ottenere nello Studio una cattedra primaria, da cui erano esclusi i cittadini padovani. Pertanto, negli atti universitari e dagli storici dello Studio è sempre indicato come tedesco e nativo di Colonia.
Il 15 dic. 1678 il K. si iscrisse alla Natio Germanica artistarum dello Studio di Padova, dove fu accolto il 31 di quel mese, in quanto "Italus, parentibus tamen Germanis natus". Nel 1679-80 fu eletto consigliere dell'Universitasartistarum e tenne l'orazione inaugurale per l'annuale apertura degli studi (De sapientiae praestantia, Patavii 1679); conseguì il dottorato in filosofia e medicina il 22 dic. 1681. Il 31 ott. 1682 fu eletto assessore della Natio Germanica, ma in seguito si stabilì a Venezia dove diventò medico personale di Alessandro Farnese, seguendolo quando questi fu nominato (21 dic. 1682) comandante della fanteria veneziana nella guerra per la riconquista della Morea. Quando Farnese prese congedo da Venezia (1687), si recò con lui a Madrid. Dopo la sua morte (1689) viaggiò dapprima nelle Fiandre e poi in Francia, approfondendo le proprie conoscenze sulla cura della sifilide e dello scorbuto; si fermò infine per un biennio a Montpellier, dove si dedicò soprattutto allo studio della chimica. Ritornato a Padova, nel 1693 suscitò molto scalpore per avere diagnosticato clinicamente come un "polipo dell'aorta" la malattia mortale di C. Patin, professore di medicina pratica straordinaria in primo luogo, come fu confermato dall'autopsia.
Il K. si affrettò a pubblicare la lettera da lui inviata a Patin mentre era in vita insieme con la relazione necroscopica, in cui è raffigurato il "polipo" formatosi all'interno di un aneurisma dell'arco aortico: De aortae polypo epistola medica… Carolo Patino… qua eiusdem abditissimum morbum a polypo arteriam magnam insidente dependere demonstratur, ac de eius natura, dignotione, et curatione disseritur, cum eiusdem cadaveris historia anatomica eventum comprobante (Lugduni, Cadorini, 1693; ma Padova, come confermato dal cognome dell'editore padovano Cadorin). I cosiddetti "polipi del cuore" in realtà erano coaguli sanguigni, lardacei o cruorosi, reperibili nelle cavità cardiache e nei grossi vasi del cadavere, ai quali si attribuiva l'insorgenza di gravi sindromi di tipo asmatico-anginoso: tali "polipi", in genere interpretati secondo la tradizionale dottrina umorale quali depositi di materia peccans, a tal punto soggiogavano l'osservatore da adombrare lesioni evidenti e ricche di significato patologico, come gli aneurismi arteriosi che potevano contenerli. Il falso luogo "Lugduni" (comunque Lione, non Leida) ha fatto immaginare a taluno che il K. avesse conseguito la laurea a Leida nel 1692 e che l'opuscolo fosse la sua dissertazione.
L'anno successivo, il trattato De aortae polypo fu inserito nella Appendix ad annum primum decuriae III. Ephemeridum medico-physicarum naturae curiosorum in Germania (Norimbergae 1694, pp. 85-123), luogo dove era stato inviato dalla figlia di Patin, Carla Caterina; da qui fu ripreso da J.J. Manget - Bibliotheca scriptorum medicorum, veterum et recentiorum, II, 1, Genevae 1731, pp. 452-465 - e nello stesso anno venne ristampato (Brixiae 1731); infine fu ripubblicato nel Dizionario classico di medicina interna ed esterna (XXXV, Venezia 1837, pp. 279-306).
Per quanto J.-B. Sénac avesse accennato all'osservazione del K. nel suo rinomato Traité de la structure du coeur (II, Paris 1749, p. 475), G.B. Morgagni si guardò bene dal citarlo nel De sedibus, passando in rassegna gli autori che trattarono del "polipo del cuore". Le conclusioni del K. furono contestate da A. Pasta (Epistola de cordis polypo in dubium revocato, Bergomi 1737, pp. 21-24), secondo il quale i "polipi" erano un fenomeno post mortem e la sintomatologia accusata da Patin era da ascrivere all'aneurisma dell'aorta.
Non fu grazie a quest'opera che dieci anni più tardi gli fu affidata la cattedra della lettura dei semplici nello Studio di Padova, bensì - come scrive la ducale di nomina (29 ag. 1703) - per aver dato "nello Studio piene prove dell'abilità sua nell'ostensioni, e spiegationi anatomiche". Non resta alcuna traccia di questa attività di incisore anatomico che avrebbe svolto negli anni precedenti, anche se nel 1680 e nel 1681, presso la Natio Germanica, invano aveva cercato di essere nominato consigliere anatomico. Nel maggio 1707 Morgagni, in visita a Padova, seguì le lezioni de venenis, annotando nel suo diario che il K. "adducebat multa apud auctores scripta […] absque selectu et iudicio. Prolixus in his erat, et pauci fructus". È comunque verosimile che nel suo insegnamento impartisse anche nozioni di chimica per saggiare i semplici e isolare, mediante operazioni chimiche, i principî attivi in essi contenuti. In occasione della ricondotta (8 ott. 1711) gli fu concessa l'ammissione al Collegio dei filosofi e medici.
Il 7 maggio 1716 il K. succedette a Morgagni nel secondo luogo di medicina teorica ordinaria, inaugurando il suo nuovo insegnamento il 28 nov. 1716 con una prelezione Pro empirica secta adversus theoriam medicam (Patavii 1717), che intenzionalmente si contrapponeva a quella Pro theoria medica adversus empiricam sectam (Venetiis 1702), tenuta da D. Guglielmini nel 1702.
Con essa il K. si schierava decisamente a favore dell'empirismo medico nella polemica tra la medicina empirica e quella razionale. Nel novembre 1727 fu trasferito alla prima cattedra di medicina pratica ordinaria, che occupò fino alla morte. Dal 1730 al 1731 e dal 1738 al 1741 tenne anche la supplenza dell'insegnamento de pulsibus et urinis presso l'ospedale di S. Francesco, ma non risulta che abbia mai svolto lezioni o dimostrazioni di alcun genere all'ospedale, oltre al corso di medicina pratica ordinaria tenuto nella sede dell'università (A. Comparetti). In realtà, l'insegnamento de pulsibus et urinis, che dal 1690 consisteva in dimostrazioni limitate a tre soli giorni all'anno (i primi tre giorni della settimana santa), si collocava, a giudizio di G. Montesanto, "nell'angusta ed illusoria sfera della sfigmica e della uromanzia". Pertanto, il K. non ha mai svolto alcun insegnamento clinico al letto dell'ammalato, e nemmeno di semeiotica medica ante litteram, come taluno ha immaginato.
Il K. morì di polmonite a Padova il 10 ag. 1744, lasciando un ricco patrimonio ai quattro figli avuti dal matrimonio con Anna Maria Fabris.
Di lui scriveva G. Gennari: "così morì come era sempre vissuto, cioè coi motti e coi riboboli in bocca […]. Si racconta che morendo lasciasse, come per una carità, alla sua serva un libro sigillato, in cui altro non erano scritte che queste parole: Acqua, dieta, serviziale guarisce da ogni male. Una tale sentenza seguì egli nel corso del viver suo, mentre non fece mai uso di medicamenti, e nelle stesse sue malattie d'altro non si prevalse mai, che dell'acqua e della dieta".
Pratico rinomato, ma alquanto inviso ai colleghi, "pei motti pungenti, e col non lodare chicchessia", il K. fu sostenitore di un metodo curativo semplice, fondato più sulle regole dietetiche che sull'uso dei farmaci; utilizzò il mercurio nella cura della sifilide e propugnò l'impiego terapeutico delle acque termali euganee. Per lui la medicina non era altro che una certa sagace abilità di indovinare il futuro. Anche se in vita fu apprezzato come medico pratico, sembra esagerato considerarlo "ottimo diagnosta per i suoi tempi, buon terapeutista, ottimo insegnante" (F. Pellegrini).
Nel 1734 fu consultato anche per G. Casanova fanciullo, per il quale rilasciò il suo parere per iscritto. Alcuni consulti medici furono pubblicati da F. Roncalli Parolini (Historiae morborum observationibus auctae ex clarissimorum virorum consultationibus atque epistolis illustratae, Brixiae 1741, pp. 79, 90 s., 109 s., 168-170). Altri riferimenti alla sua attività professionale si trovano in consulti e lettere di Morgagni e A.Vallisnieri.
Grande fama, anche se postuma, gli procurarono gli aforismi rimasti inediti alla sua morte. Su richiesta di G.B. Pratolongo, professore di botanica e storia naturale a Genova, L. Spallanzani si era rivolto a L.M.A. Caldani perché rintracciasse tali aforismi. Questi ne ritrovò due esemplari manoscritti e affidò al nipote Floriano l'incarico di curarne l'edizione (Aphorismi medico-politici centum… edidit nunc primum et praefatus est Florianus Caldanius, Venetiis 1795). Gli aforismi, che vorrebbero essere un codice di comportamento per il giovane medico, allo scopo di fargli raggiungere il successo professionale nel rispetto dei principî dell'etica medica, in realtà si presentano, a giudizio di T. Berti, come "un complesso miscuglio di saggezza, furberia, spregiudicatezza fino al cinismo", ciò che può spiegare lo straordinario successo incontrato, comunque sproporzionato al loro effettivo valore. Ben presto ristampati (Taurini 1805), furono tradotti in italiano da G.L. Zaccarelli (Pavia 1813), G.A. Del Chiappa (Pavia 1822; Cremona 1850), F. Nobili (Macerata 1825), I. Lomeni (Milano 1826); da A. Manzolini furono persino tradotti in sestine in dialetto milanese (Milano 1857). Non mancarono neanche le polemiche tra i traduttori (cfr. Zaccarelli). A Berti si deve la traduzione italiana più recente (Patavii 1991).
Oltre alle opere già citate, si conserva a stampa una Lettera… toccante il punto del vas breve: se si scarichi dallo stomaco nella milza (in S. Rotario, Il dardo rintuzzato divenuto asta d'Achille… Lettera seconda al sig. dottor N. N., Verona 1712, pp. 22 s.), datata da Padova il 29 nov. 1711, sollecitatagli dal medico veronese Rotario, in seguito a un caso clinico contestato; in essa il K. confuta l'esistenza del cosiddetto "vaso breve" (vas breve), attraverso il quale, secondo il sistema anatomo-fisiologico di Galeno, avviene un trasporto di bile nera, o atrabile, dalla milza nello stomaco.
Restano manoscritti due pareri richiestigli dai Riformatori dello Studio di Padova: in uno (13 febbr. 1727), consultato sul metodo da seguire nella nuova cattedra di medicina chimica sperimentale, deliberata ma ancora non attivata, rifacendosi anche all'esperienza acquisita nel suo soggiorno a Montpellier, proponeva di dividerla in tre parti (strumenti chimici, operazioni chimiche e risoluzione e composizione chimica dei medicamenti semplici, "ch'è il fine principale della chimica sperimentale, in ordine alla medicina"); nell'altro (13 apr. 1732) sosteneva l'importanza dell'insegnamento della chimica, non soltanto "speculativa in cathedra", ma anche "con l'operazioni annesse prattiche nel laboratorio".
I suo nome figura tra i firmatari di un "Responsum pro veritate", esteso da Morgagni (Responsa pro veritate… super iudicio obstetricum de mulieris virginitate, Romae 1739), e di altri tre pareri, richiesti tra il 1736 e il 1737 dal magistrato della Sanità di Venezia al Collegio dei filosofi e medici di Padova su questioni di igiene e salute pubblica, due dei quali redatti da Morgagni. Infine, con altri professori dello Studio, tra cui Morgagni, fu tra gli estensori di una relazione ai Riformatori dello Studio di Padova (18 luglio 1741), relativa alla decadenza di questa istituzione e ai rimedi da adottare.
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