MACCHIAVELLI, Alessandro
Nacque a Bologna il 26 ott. 1693 da Giovanni Antonio, di una famiglia del ceto civile di lontana ascendenza fiorentina, e da Laura Filippucci (o Filippuzzi).
Ebbe due fratelli, Carlo Antonio e Filippo Collatio, e due sorelle, Maria Elisabetta e Maria Laura, tutti coinvolti in qualche modo nella sua attività letteraria (v. Fantuzzi, sub voces).
Il M. si laureò in diritto civile e canonico presso lo Studio bolognese il 18 febbr. 1723. Nello stesso anno vi ottenne una lettura di diritto civile (che tenne fino al 1758, quando passò a una di canonico) e, ammesso al Collegio dei giudici e avvocati, iniziò la professione forense, che gli diede accesso a cariche importanti, da tribuno della plebe a consultore del S. Uffizio. Sempre nel 1723 diventò socio dell'Accademia annessa all'Istituto bolognese delle scienze.
Il M. vi lesse due dissertazioni su reperti naturali insoliti: un fungo e una melagrana di forma mostruosa (1728) e un "persico strano" (1731). Di entrambe abbiamo i titoli (Angelini, pp. 325, 327) e della prima anche una breve notizia nei Commentarii dell'Accademia curati da F.M. Zanotti, che sottolinea il carattere dilettantesco e casuale delle osservazioni naturalistiche in essa riferite (II [1745], 1, p. 89).
Nel 1723 il M. era già molto noto in città e godeva di un "grandissimo credito", per le riconosciute capacità intellettuali e professionali, la vasta erudizione e le già numerose pubblicazioni. Non era ancora oggetto del "discredito" che lo circondò in seguito, quando cominciò a essere messa in discussione l'attendibilità delle sue opere di storia bolognese, che per un malinteso amor di patria riempiva di autori, testi e documenti "nati soltanto nella sua immaginazione" (Fantuzzi, p. 96).
Tra le sue prime iniziative fu la fondazione, nella prima adolescenza (1707), dell'Accademia filosofica dei Sublimi, solita a riunirsi nella casa di famiglia. Solo nel 1718 ne vennero stampate le leggi, unitamente a un catalogo dei soci (tra i quali personaggi già allora importanti, o che lo divennero), pubblicato anche nei due anni successivi (Academiae philosophicae Bononiensis sublimium leges ac statuta, Bononiae [1718]; Bologna, Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Mss., B.1321: Monti, Notizie sulle Accademie bolognesi, cc. 750-755).
L'ispirazione platonica dell'Accademia e della sua simbologia è resa esplicita nel De ideis. Tractatus philosophicus (Bononiae 1716), un volumetto dedicato al Senato bolognese e illustrato (antiporta e due tavole ripiegate) da incisioni firmate Elisabeth Macchiavelli. È la prima opera del M. e raccoglie, a stare all'epistola al lettore, le dissertazioni da lui recitate ai Sublimi, il cui nome fa derivare direttamente da Platone, che nel Timeo aveva definito la filosofia "sublime, atque maximum dei munus" (ibid., pp. 3-12). Il M. continuò negli anni seguenti a denominarsi "filosofo platonico", titolo ricevuto a suo dire da Clemente XI, in opere a stampa, lapidi, medaglie commemorative e suppliche al Senato, ma nelle opere successive al De ideis non c'è quasi più traccia di problematiche logico-metafisiche e l'obiettivo si sposta a una ricostruzione di aspetti ed episodi della storia di Bologna. Egli passò a porre in evidenza l'appartenenza all'Accademia dei Filopatri, anch'essa con sede nella casa dei Macchiavelli, dalle cui stanze "non sortì mai" (Fantuzzi, p. 96) e che già dal nome appare più in sintonia con i nuovi interessi. Nel 1720 uscì una Collatii Macchiavelli abnepotis De Bononiensis Ecclesiae, atque urbis gubernio, in forma di epistola diretta a un fantomatico Johannes Ermet Deusset, "Bononiae in Picardia civis et philosophus", che tracciava una storia di Bologna dal periodo etrusco all'inizio del dominio pontificio. Vi sono già presenti topoi che torneranno in opere successive: l'antichità e importanza di Felsina, la Bologna etrusca; la fondazione dell'Università nel 423 d.C. da parte dell'imperatore Teodosio II; la tradizione tutta bolognese delle donne artiste, dotte e docenti; l'origine antica della nobiltà dottorale e il prestigioso ruolo svolto nella storia cittadina da membri della propria famiglia, come il Collatio di cui il M. si proclama abnepos, nipote del pronipote. Nonostante il vezzo del M. di usare i familiari come prestanome, quest'opera non è dunque attribuita al fratello Filippo Collatio, al tempo un bambino, come equivoca il Fantuzzi (p. 103).
A confutare chi dubitava dell'autenticità del privilegio di Teodosio, un falso costruito nel Duecento, ripetutamente utilizzato nell'età comunale in difesa dei diritti territoriali della città e riportato in auge nel 1491, in funzione antioligarchica e antibentivogliesca (De Benedictis), da un'edizione a stampa commentata da L. Bolognini (cfr. S. Caprioli, Bolognini, Ludovico, in Diz. biogr. degli Italiani, XI, Roma 1969, pp. 349 s.), il M. dedicò la Augustalis Theodosiani diplomati Apologia (Bologna 1726), basata su una bibliografia e una documentazione poco attendibili, ma accuratamente descritte in un Index rerum, del quale appaiono con lui autori i fratelli. Alle critiche all'Apologia rispose, prendendo (forse su sua richiesta) le difese del M., Giuseppe Pozzi con una lettera latina (Bologna 1727), in realtà una satira appena mascherata delle manie erudito-patriottiche dell'autore e della inconsistenza delle sue argomentazioni in difesa dell'autenticità del privilegio.
La nomea di scrittore poco scrupoloso nella scelta delle fonti e addirittura fertile inventore di autori e documenti inesistenti fu dovuta anche ad altre opere, come la De veteri bononeno( Dissertatio historico-legalis (Bologna 1721), in cui, ricostruendo (anche con il corredo di disegni della sorella) la storia del bolognino d'argento, descrisse "varie monete antiche, che mai non hanno avuto esistenza" (Fantuzzi, p. 97), approfittando dell'occasione per esaltare avi illustri realmente esistiti, come il beato Alessandro Macchiavelli, domenicano e lettore di teologia, morto nel 1441 (Mazzetti, p. 187), o altri non esistiti o storicamente meno consistenti.
Nel 1722 la passione del M. per la storia medievale di Bologna e la sua conoscenza delle cronache cittadine gli permisero di intervenire in un dibattito dagli echi europei sulla legittimità giuridica di titoli dottorali concessi a donne, suscitato dalla richiesta del conte A. Delfini Dosi di concedere una laurea in diritto alla figlia Maria Vittoria, che nello stesso anno aveva difeso tesi legali nel Collegio di Spagna. Contro il Collegio dei giuristi dello Studio, che negava la legittimità dell'ipotesi, il M. pubblicò a nome di Carlo Antonio una Bitisia Gozzadina seu De mulierum doctoratu apologetica legalis-historica dissertatio( (Bologna 1722), dedicata alla stessa Delfini Dosi, che non è che uno, l'unico a stampa, dei suoi numerosi contributi sull'argomento, firmati con il suo nome o fatti passare per opere della sorella o del fratello.
Dato l'accordo dei contemporanei (dal Fantuzzi al Tiraboschi) sull'attribuzione dell'opera al M., non è il caso di metterla in dubbio, anche se, a differenza di Elisabetta e Collatio, Carlo Antonio (Bologna, 1691-1761) aveva anch'egli le competenze per scriverla: laureato in utroque nel 1712, membro del Collegio dei giudici e avvocati e di quello di diritto canonico, socio e a lungo segretario dell'Accademia dei Gelati, intraprese la carriera ecclesiastica e animò e promosse varie confraternite e congregazioni, da quella dei confortatori a quella dei suffraganti (Fantuzzi, s.v.). Della scuola dei confortatori pubblicò documenti utilissimi per la storia criminale di Bologna (Catalogo degli autori e delle materie spettanti alla Conforteria, Bologna 1729), anche se, come il fratello, non rinunciò a mischiare le carte, per esempio falsificando un manoscritto quattrocentesco per attribuirlo a un suo immaginario antenato (Fanti, pp. 61-65; Prosperi, pp. 324 s.). Una lettera di complimenti del cardinale U. Gozzadini (Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 9.L.44), che, ricevuto in dono il libro, assicurò gratitudine a nome dell'intera famiglia, fa pensare che l'identità dell'autore non fosse così risaputa come si riterrà alcuni decenni dopo. Per quanto il richiamo a precedenti medievali di lauree e incarichi di docenza concessi a donne fosse fondato su tradizioni e antiche cronache di dubbia attendibilità o, come per il dottorato conseguito nel 1241 da Bitisia Gozzadini, su un falso antico calendario dello Studio (Bologna, Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Gozz., I.1) "immaginato ed esteso dall'avvocato Alessandro" (Fantuzzi, p. 102), il De mulierum doctoratu esercitò una notevole influenza sulle strategie messe in atto dalle autorità civili e religiose bolognesi dieci anni dopo quando a un'altra giovane donna, Laura Bassi, con cerimonie di grande solennità e risonanza, vennero concesse una laurea e una lettura di filosofia. Nei numerosi discorsi pronunciati nell'occasione il richiamo a Bitisia e alle altre donne laureate e docenti dello Studio bolognese nel Medioevo fu ricorrente (Cavazza, 1997, pp. 108-113). Alla Bassi la famiglia Macchiavelli, ma in realtà il solo M., dedicherà molta attenzione. La sua prima biografia, rimasta manoscritta, porta la firma di Elisabetta (Bologna, Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Mss., B.1330). Come provano se non altro i suoi disegni, quest'ultima era probabilmente meno incolta di quanto afferma il Fantuzzi, ma non è probabile che fosse autrice dei numerosi scritti latini usciti a suo nome o a lei attribuiti nelle opere dei fratelli (Fantuzzi, s.v.). È presumibile che il M. intendesse scrivere una storia delle donne dotte bolognesi, come dimostrano numerosi manoscritti a nome suo e di Carlo Antonio conservati in biblioteche di Bologna, con schede di personaggi femminili che vanno da Accorsa (secolo XI) alla Bassi e ad altre contemporanee, compresa la sorella (Bologna, Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Mss., B.1331).
Risonanza notevole ebbe un De origine s. patris Dominici Ord. praedicatorum institutoris (Ferrara 1735), dedicato al card. P. Lambertini, arcivescovo di Bologna e futuro papa Benedetto XIV, in cui, su richiesta dei padri bollandisti, ai quali era stato raccomandato per la sua erudizione, il M. intervenne nella controversia sull'origine di s. Domenico, sostenendo, con i soliti metodi disinvolti, la sua nascita bolognese e l'appartenenza alla città della famiglia Guzmán. Negli stessi anni fu coinvolto in un'altra polemica trascendente le mura cittadine. Nel tomo XIV della Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici di A. Calogerà (Venezia 1737) uscì un Votum datato 1347 e attribuito a un Galvanio Braggia Opella, con un ricco corredo di note di Elisabetta Macchiavelli, che tra l'altro conteneva un attacco alla potente famiglia Bolognini. Questa reagì duramente e il M. fu costretto a scusarsi con una lettera a stampa (Bologna 1737), in cui incolpò il Calogerà di aver cambiato il testo inviatogli. Il bibliofilo, cui la lettera era indirizzata ma che non la ricevette, ne venne in possesso e la pubblicò nel tomo XVI della sua Raccolta (Venezia 1739), con una risposta tagliente in cui protestava di non essere stato informato che Elisabetta non era l'autrice delle note, offriva prove di non aver modificato il testo originale e proclamava che mai più avrebbe pubblicato scritti del Macchiavelli. Nonostante questi infortuni, nei primi anni Trenta del secolo il M. doveva ancora godere di notevole prestigio quale erudito, come dimostra l'affidamento alle sue cure della Historia Bononiensis di C. Sigonio uscita nel 1733, secondo volume degli Opera omnia del grande storico pubblicati da F. Argelati (Milano 1732-37) in una "bella edizione [(] viziata dalle note del Macchiavelli" (Fantuzzi, p. 98).
Un evento del 1735 sancì in certo modo la rottura tra l'élite culturale della città e il M.; designato dall'Accademia degli Inestricati, egli tenne l'orazione per l'annua distribuzione dei premi dell'Accademia Clementina dei pittori, scultori e architetti, annessa all'Istituto delle scienze, della quale era da poco membro onorario: Origine e progressi in Bologna della pittura, scultura, e architettura, e de singolari vantaggi che le medesime tre belle arti hanno alla medesima città recato (Bologna 1736). Questo scritto è uno fra i pochi del M. recentemente studiati, per i suoi collegamenti con un aspetto della sua figura finora non ricordato: l'attività di collezionista.
Dal 1991, in occasione di una mostra sulle terrecotte bolognesi del Sei e Settecento, S. Tumidei ha attirato l'attenzione sul suo ruolo in questo ambito. Nel 1996 O. Bonfait ha esaminato sia la collezione del M., ricostruibile grazie a un inventario notarile (Arch. di Stato di Bologna, Fondo notarile, M. A., Notaio P. Gotti: 1767, 4 aprile), sia le idee sulle arti e la storia dell'arte nell'orazione del 1735, contribuendo a modificare il giudizio pesantemente negativo dei critici settecenteschi e a mettere in luce tratti di originalità e anche di indipendenza di gusto e pensiero del personaggio (cfr. Bonfait, 2001). Per un professionista borghese qual era, la collezione del M. era ingente (446 pezzi, tra quadri e sculture), anche se di valore complessivamente modesto. Era caratterizzata da un notevole numero di sculture in terracotta e di quadri di artisti contemporanei giovani e di secondo piano, spesso strettamente collegati con attività artigianali, e da numerose tavole di "primitivi". La preponderanza di tali opere era dovuta, oltre che allo scarso valore di mercato, a scelte di gusto (in particolare l'interesse per l'arte "antica", cioè medievale, e per quella "popolare", dalle immagini sacre agli addobbi) insolite ai suoi tempi e anticipatrici (Bonfait, 2001). Dall'idealismo platonico e dall'idea della supremazia del disegno delle sue prime opere, in linea con il classicismo dominante a Bologna, le concezioni del M. sull'arte andarono attribuendo una sempre maggiore importanza agli aspetti artigianali della produzione artistica; egli sostenne che il buon gusto era diffuso anche tra il popolo, in particolare a Bologna, dove le botteghe artigiane vantavano una lunga tradizione di stretto contatto con il lavoro degli artisti. L'idea della pari dignità tra artigiani e artisti non poteva piacere alla maggior parte degli accademici Clementini, che aspiravano a distaccare le nobili arti del disegno dalle più meccaniche attività di incisori e modellatori in creta o in cera, a dispetto degli orientamenti del fondatore dell'Accademia, L.F. Marsili, favorevole a una stretta collaborazione (Cavazza, 1979, pp. 51 s.; Bonfait, 2001, pp. 97-99). L'accoglienza dei Clementini fu più che fredda, tanto che l'oratore fu contestato mentre stava ancora parlando (Benassi), mentre negli anni successivi non mancarono altri segni dell'ostilità dell'Accademia. L'attenzione del M. maturo per il contributo popolare alla cultura è confermata dallo studio di uno scritto sfuggito anche al Fantuzzi, le note al poemetto dialettale di G.M. Buini L'dsgrazi d'Bertuldin dalla Zena (Bologna 1736), nel cui frontespizio il M. compare come "Conservatore della Società de' Signori Filopatrij di Bologna". Oltre alla consueta acritica dipendenza da fonti precedenti, è da rilevare in queste annotazioni un'attenzione, allora non diffusa, per espressioni attinte all'uso vivo della lingua, che le rendono interessanti "sia sotto il profilo del dialetto su cui la spiegazione si incentra, sia su quello dell'italiano che nella spiegazione si utilizza" (Badini, p. 473).
È probabile che ulteriori scavi sulle opere e sulle attività del M. scoprirebbero altri motivi d'interesse nella figura di questo avvocato erudito, che almeno nella seconda parte della sua vita fu progressivamente emarginato dalle istituzioni di cultura bolognesi. Il M. aveva ordinato la sua azione culturale "intorno a tre assi: la famiglia Macchiavelli, Felsina e la religione" (Bonfait, 2001, p. 86); dei primi due si è parlato; il terzo, che condivideva con Carlo Antonio, si tradusse in scritti (vite di santi, storie di edifici di culto), in stretti legami con ordini religiosi e in un'intensa partecipazione a pratiche devozionali e di assistenza spirituale di diverse confraternite e congregazioni, certo poco in sintonia con il clima intellettuale di metà Settecento. Era un isolato, ma non certo per volontà sua, come mostrano il suo vantare appartenenze accademiche non sempre autentiche, la lapide autoelogiativa fatta murare ancora vivente in S. Domenico, le dediche a istituzioni e pubblici personaggi di molte sue opere, le biografie encomiastiche e gli elogi di contemporanei, ultimo quello del presidente dell'Istituto, I.B. Beccari (Bologna 1766). Il canonico G.L. Amadesi, in sue Aggiunte all'Orlandi (Bologna, Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Mss., B.2715, c. 33), così lo dipinse: "benche onestissimo di costumi, e modestissimo nel suo tratto, pure ebbe un'estrema, e ridicola vanità di passare per letterato, quando era di un mediocre talento, benche affaticatore instancabilissimo come si rileva dagl'infiniti scritti lasciatici. Quali per essere cose indigeste, raccolte senza criterio e ammassate senza ordine forse periranno non essendosi dopo la sua morte trovato chi ne voglia far acquisto".
Il riferimento era probabilmente alla proposta, avanzata dal M. in prossimità della morte all'assunteria d'Istituto, di lasciare alla biblioteca dello stesso i suoi manoscritti, in particolare il Lexicon Bononiense, non accettata per le condizioni che poneva, tra cui l'essere nominato lettore emerito (avendo superato i 40 anni di servizio), essere sepolto con un funerale solenne a spese del Senato e altre relative alla sistemazione e alle modalità di accesso alla collezione da lui donata. La supplica, datata "di casa, il martedì di Pasqua, 1° di Aprile 1766", ai senatori assunti dovette apparire irritante e patetica, espressione da un lato dell'alta considerazione del proprio valore e dei propri meriti del M., che vantava il numero e le prestigiose carriere dei suoi scolari, dall'altro della sua profonda amarezza per il mancato riconoscimento degli stessi da parte delle autorità cittadine, che gli faceva dire che non gli restava che "aspettarsi dalla giustizia di Dio quella sicura retribuzione e mercede, che dal Mondo posto in Maligno e dalla spassionata giustizia degli uomini, viene d'ordinario denegata" (Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 1129, b.II.4).
Il M. morì a Bologna il 23 ott. 1766 e fu sepolto nella chiesa parrocchiale dei Ss. Vitale e Agricola, come già Carlo Antonio, morto il 3 genn. 1761.
Fonti e Bibl.: I manoscritti di e sul M., il fratello Carlo Antonio e la sorella Maria Elisabetta, conservati a Bologna nella Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, in particolare nel fondo Gozzadini, e nella Biblioteca universitaria, sono numerosissimi: originali di opere poi stampate o rimaste inedite, raccolte di documenti in vista di altre opere, notizie sulla famiglia Macchiavelli, pochissime lettere. Le due biblioteche conservano, inoltre, molte opere a stampa uscite col nome del M. o con quello dei fratelli e altre di Carlo Antonio, anche molto rare. Questi scritti sono tuttavia solo una parte di quelli citati negli elenchi bibliografici ragionati che chiudono le biografie del M. e degli altri componenti della famiglia in Fantuzzi, ad voces.
De Bononiensis Instituti atque Academia Commentarii, II (1745), 1, p. 89; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, V, Bologna 1786, pp. 95-103; 107 s. (per Carlo Antonio ed Elisabetta); G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Modena 1788, p. 291; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori antichi e moderni della famosa Università e dello Studio di Bologna e del celebre Istituto delle scienze di Bologna, Bologna 1848, ad voces M. beato Alessandro e M. Alessandro; M. Fanti, La Confraternita di S. Maria della Morte e la Conforteria dei condannati a Bologna nei secoli XIV e XV, in Quaderni del Centro di ricerca sul movimento dei disciplinati (Perugia), 1978, n. 20, pp. 61-65; M. Cavazza, La "Casa di Salomone" realizzata?, in I materiali dell'Istituto delle scienze, Bologna 1979, pp. 42-54; A. De Benedictis, Luoghi del potere e Studio tra Quattrocento e Cinquecento, in L'Università a Bologna. Personaggi, momenti e luoghi dalle origini al XVI secolo, a cura di O. Capitani, Bologna 1988, pp. 205-227; S. Tumidei, Terrecotte bolognesi di Sei e Settecento: collezionismo, produzione artistica, consumo devozionale, in Presepi e terrecotte nei Musei civici di Bologna, a cura di R. Grandi et al., Bologna 1991, pp. 21-51; Anatomie accademiche, III, L'Istituto delle scienze e l'Accademia, a cura di A. Angelini, Bologna 1993, pp. 325, 327, 450; M. Cavazza, "Dottrici" e lettrici dell'Università di Bologna nel Settecento, in Annali di storia delle Università italiane, I (1997), pp. 109-126; O. Bonfait, Les tableaux et les pinceaux. La naissance de l'école bolonaise (1680-1730), Roma 2000, pp. 102, 215, 218-220, 387 s., 410; Id., Le collectionneur dans la cité: A. M. à Bologne au XVIIIe siècle, in Geografia del collezionismo. Italia e Francia tra il XVI e il XVIII secolo. Atti delle Giornate di studio,( 1996, a cura di O. Bonfait et al., Roma 2001, pp. 83-91; S. Benassi, L'Accademia Clementina. La funzione pubblica, l'ideologia estetica, Bologna 2004, p. 313; B. Badini, Le "annotazioni" al bolognese letterario del Sei-Settecento, in Da Dante a Montale. Studi di filologia e critica letteraria in onore di Emilio Pasquini, a cura di G.M. Anselmi et al., Bologna 2005, pp. 461-473; A. Prosperi, Dare l'anima. Storia di un infanticidio, Torino 2005, pp. 306, 324 s.