MARCHESINI, Alessandro
Figlio di Francesco e di Elisabetta Bottacin, nacque a Verona il 30 apr. 1663 nella contrada di S. Michele alla Porta, e fu battezzato il 6 maggio nella chiesa dei Ss. Apostoli come "Alexander Jacobus" (Rognini, 1978). La breve nota biografica di Dal Pozzo (1718), redatta quando il M. era ancora in vita, posticipava la data di nascita al 1664; mentre l'errata lettura di tale dato da parte di Zannandreis (1644 anziché 1664), acriticamente accolta in tempi più recenti anche da Brenzoni, consegnava alla storiografia una figura di incongruente e improbabile longevità. La composizione del nucleo familiare di provenienza del M., che nel 1666 risulta essersi trasferito nella contrada di S. Eufemia, si ricava da un'anagrafe del 1681 (Rognini, 1978), nella quale si attestano la vedovanza del fratello primogenito Marco, trentaduenne, e la presenza di tre fratelli minori (Antonio di anni ventiquattro, Paola di anni diciotto e Anna di anni undici), e dall'anagrafe di S. Eufemia del 1666 in cui è documentato anche un fratello dodicenne, Domenico (Guzzo). Tali indicazioni anagrafiche andrebbero più cautamente riconsiderate alla luce del fatto che nell'anagrafe del 1681 il M. risulterebbe avere venti anni, dato non conciliabile con quanto attestato nel dirimente atto battesimale.
Il padre, Francesco, scultore e architetto, nacque verosimilmente intorno al 1618 da Marco, lapicida. La documentazione disponibile consente la ricostruzione di un profilo professionale improntato a una certa versatilità agli esordi, quando fu attivo prevalentemente nel Veronese, prima di specializzarsi nel ruolo di "altarista" e superare i confini della stretta cittadinanza: nell'anagrafe del 1681 è ancora menzionato come "taglia pietra". Negli anni Quaranta e Cinquanta fu particolarmente attivo presso il monastero di S. Michele in Campagna, nel Veronese, di cui progettò il coro ligneo ed eseguì un tabernacolo, oltre a realizzare un ponte nelle vicinanze. Dal 1660 curò il restauro della Domus Nova in piazza dei Signori a Verona e nel 1663 ebbe l'incarico per la realizzazione dell'altare maggiore in S. Bernardino (perduto nella seconda guerra mondiale). La documentazione attesta la presenza di Francesco ad Ala, nel Principato di Trento, nel 1664, per la costruzione dell'altare maggiore del santuario di S. Valentino; dagli anni Settanta risulta attivo per un lungo periodo nel Modenese, insieme con il figlio Marco, al servizio del duca Alessandro (II) Pico della Mirandola, per incarico del quale realizzò l'altare della Madonna di Reggio in S. Francesco a Mirandola nel 1674. Dopo aver presentato il progetto per il ricco ciborio della chiesa dell'Inviolata a Riva del Garda nel 1675, fece ritorno a Verona, dove lavorò ancora come altarista per la chiesa di S. Nicolò e per la Confraternita delle Quarantore di S. Luca, della quale venne designato "proto". Nel 1693 (terminus post quem per la sua morte) lavorò alla risistemazione del presbiterio e della facciata della chiesa di S. Caterina (Rognini, 1988). Alcuni atti di pagamento rinvenuti da Guzzo testimoniano dell'attività scultorea di Francesco, volta in prevalenza all'esecuzione di "memorie" celebrative di autorità veronesi. Comune alla maggior parte delle sue realizzazioni è l'utilizzo di un linguaggio prevalentemente improntato a un'esuberanza coloristica e materica, declinazione provinciale di un gusto tardobarocco persistente e vivace, ma anche capace di adattarsi alle modalità stilistiche funzionali alla diversificazione delle richieste della committenza.
Marco, primogenito di Francesco, è ricordato dalle fonti più antiche come notevole disegnatore e scultore di feconda inventiva e di originale bizzarria (Dal Pozzo). Dalla generale scarsità di documentazione emergono alcuni episodi significativi che mostrerebbero un certo grado di inserimento nel circuito della committenza pubblica veronese: la realizzazione del busto di Pietro Gradenigo, capitano di Verona nell'anno 1672, sostenuto da due mori e recante trofei militari, e la statua della Fama trionfante, posta in origine nella casa dei Mercanti in piazza delle Erbe, e l'esecuzione di monumenti celebrativi di ex rettori, tutte opere oggi non rintracciabili. Dalla documentazione risulterebbe anche la sua partecipazione al concorso per la realizzazione di quattro angeli per l'altare del Ss. Rosario in S. Anastasia, opera poi definitivamente affidata allo scultore G. Brunelli (Zannandreis; Tomezzoli). Morì "nel fiore de gli anni, e su il più bello del suo operare" (Dal Pozzo, p. 207) dopo il 1681.
La formazione del M. dovette svolgersi verosimilmente sotto la guida del fratello Marco e presso la bottega del pittore B. Falcieri; è lo stesso M., in una lettera autobiografica datata al 1° dic. 1703 e indirizzata a P. Orlandi (Zava Boccazzi, 1990), a specificare le modalità di tale apprendistato: sarebbe stato il padre Francesco a indirizzarlo all'età di dodici anni presso Falcieri, vista la precoce propensione del giovane per il disegno - copiava dal taccuino del fratello Marco, piuttosto che attendere alla lezione del maestro della scuola di lettere - e per la pittura. Tale attività dovette protrarsi fino all'età di sedici anni, allorché il pittore A. Calza, notatone il talento, lo condusse a Bologna alla scuola di C. Cignani, dove rimase fino al 1686 (Marinelli, 1994) sotto la protezione di G.F. Isolani (che fu anche committente di Falcieri) per il quale realizzò diverse copie da Cignani stesso.
In questi anni il M. si appropriò di modalità espressive legate alle correnti più mature del classicismo accademico emiliano, memori del linguaggio di G. Reni, del Guercino (G.F. Barbieri) e dei Carracci. Gli affreschi con le Storie dei ss. Domenico e Caterina nella volta e nelle pareti della chiesa di S. Domenico a Verona, completati verso il 1687 (Flores D'Arcais, 1982) e realizzati in collaborazione con il quadraturista C. Sferini (ma Marinelli, 1978 e 1994, propone di attribuire il fregio con le Storie di s. Caterina a O. Perini), mostrano un'interpretazione del recente insegnamento bolognese informata a una generosa monumentalità, che evidenzia ancora, peraltro, la riproduzione di tipologie proprie di Falcieri, oltre a denotare una certa vicinanza - sintomo di pronto aggiornamento e di efficace mimetismo linguistico - ai modi del francese L. Dorigny (Marinelli, 1994), molto attivo e ben inserito nel contesto di riferimento, con cui il M. avrà rapporti anche in seguito. Presumibilmente intorno al 1690-91, sulla base di una declinazione più dinamica delle stesse modalità espressive, il M. dipinse l'imponente Giona di S. Nicolò, in cui la lezione del classicismo conduce il pittore verso esiti di grandiosa ma più razionale monumentalità, i due ovali con Eolo e Giunone e Venere e Adone, di incerta provenienza (oggi in collezione privata) e significativamente congrui con la Betsabea di Dorigny (Marinelli, 2002) e la Strage degli innocenti (individuata da Marinelli, 1994, in collezione privata e proveniente dall'eredità Ravignani), pregevole composizione contrassegnata da un'equilibrata dialettica delle figure in relazione al possente (e inconsueto per il M.) impianto architettonico. Degli stessi anni è anche l'Assunta oggi frammentaria nella parrocchiale di S. Marziale a Breonio. Firmata e datata al 1692 è la Flora, di ascendenza e spirito più delicatamente arcadici, destinata in origine alla galleria di palazzo Leoni Montanari a Vicenza (Rigoni) e facente parte di un ciclo mitologico a cui lavorarono anche Dorigny, S. Brentana, G. Lonardi, P. Pagani e A. Bellucci. Verso il 1696 eseguì una serie di lunette per la Confraternita di S. Biagio, di cui era membro, aventi come soggetto i Miracoli del santo; l'anno successivo il M. fornì i disegni per due incisioni, l'Apparizione della Vergine Addolorata e la Deposizione, realizzate da A. Taddei e presenti nel testo La Madre Addolorata di M.A. Rimena, pubblicato a Verona nel 1697. Del 1698 è l'Allegoria della Giustizia in palazzo Mercantile a Bolzano, in cui il M. dà prova di abile versatilità nel coniugare le esigenze rappresentative della corporazione con un gusto scenografico memore della cultura figurativa di Cignani (Botteri Ottaviani); l'anno seguente licenziò la Natività per la cappella dei Notai a Verona, compensata con 50 ducati, ed eseguì l'Annunciazione oggi al Museo di Castelvecchio. Fra le opere ricordate dal M. stesso nello scritto autobiografico del 1703, vi è anche l'esecuzione di affreschi nel palazzo Muselli a Verona la cui facciata era interamente affrescata da O. Perini.
Gli anni intorno al volgere del secolo costituirono, come riconosciuto dalla critica, un importante spartiacque nel percorso professionale del M., che, da tale momento in poi, operò una riconsiderazione del proprio ruolo in funzione delle richieste del mercato, intuendone potenzialità e sviluppi. Al netto delle finalità aneddotiche l'episodio riportato da Zannandreis (tratto da fonte più antica), secondo cui il M. avrebbe preso la decisione di lasciare la città natale per trasferirsi a Venezia con la famiglia sdegnata per alcune critiche malevole a una sua Galatea (pare venisse definito da un certo critico "pittor da femmine"), lascia trasparire la sua volontà di dare sostanza a felici intuizioni culturali e fare spazio a una crescente vocazione commerciale, al di là della ristrettezza della cerchia cittadina. È lo stesso M., nella lettera autobiografica, a sottolineare la considerazione derivatagli dalle commissioni dei Notai e dei Mercanti e il successo di numerose opere di piccolo formato spedite in quegli anni in Germania. Con il trasferimento a Venezia, dove abitava in contrada S. Silvestro, da collocarsi intorno al 1700, il M. entrò in contatto con una committenza vivace e composita, rivolta in prevalenza verso forme di collezionismo di soggetti mitologici di piccolo formato, che avrebbe influenzato il pittore modificandone piuttosto rapidamente gli orientamenti formali. Sul piano professionale, l'evento che assunse maggiore rilevanza in quel periodo cruciale, fu l'incontro con il collezionista lucchese Stefano Conti, avvenuto intorno al 1705 o poco prima, per il quale il M. dipinse numerose opere ma, soprattutto, si adoperò nell'attività di mediatore e agente.
Tale rapporto generò una copiosissima produzione epistolare (Haskell, 1956; Zava Boccazzi, 1990) dalla quale si possono evincere con chiarezza di dettaglio mansioni e competenze del M. nell'ambito di tale attività (Haskell, 1966); il pittore, per la sua formazione veneto-bolognese - in evidente affinità di gusto con il committente - e per la fitta trama di relazioni artistiche costruita negli anni, si ritagliò un singolare ruolo di intermediazione culturale che prevedeva interventi di ampio respiro nella scelta degli artisti da consigliare a Conti (cosa che implicava una costante frequentazione di botteghe nel territorio), nella selezione dei soggetti e dei formati e finanche nel disbrigo delle formalità contrattuali ed economiche. Intorno al 1707 la galleria di Conti contava ben undici tele del M. e numerose altre opere di artisti di ascendenza accademizzante, rappresentando un panorama pressoché esaustivo dell'aggraziato tradizionalismo di matrice bolognese e veneziana in voga all'epoca. Le tele prodotte dal M. (una serie di Quattro Elementi, un Fetonte, Diana e le ninfe, il Giudizio di Paride, Atalanta e Ippomene e tre soggetti sacri: la Morte di s. Giuseppe, una Deposizione e un Noli me tangere) oggi non reperibili o, in qualche caso, occasionalmente emergenti dal mercato antiquario e dal collezionismo privato (Betti), costituiscono un sintomatico elemento di discontinuità con la sua produzione veronese e furono eseguite in un momento di intensa e febbrile attività. Fra l'altro, risale al 1708 anche l'importante Enea e Didone oggi nel castello Weissenstein di Pommersfelden, eseguito per la committenza del mecenate Lotario Francesco di Schönborn principe elettore di Magonza e arcivescovo di Bamberga (Zava Boccazzi, 1986): la tela, recante un'iscrizione che rimanda al brano dell'Eneide cui il soggetto fa riferimento, è concepita su un formato verticale che consente al pittore di elaborare un'articolata composizione in cui la disposizione delle numerose figure risulta costruita su più livelli e strutturata sulle diagonali. Per le somiglianze rilevate con quest'opera, sono stati riferiti al primo decennio del secolo anche le quattro telette del Museo civico di Padova con Palamede svela la finta pazzia di Ulisse, Ulisse scopre Achille in vesti femminili a Sciro, Latona trasforma i contadini in rane e Venere e Adone (ma Flores D'Arcais, 1997, assegna le ultime due a un pittore vicino ad A. Balestra) e i due pendants in collezione Molinari Pradelli a Bologna con soggetti tratti dal Nuovo Testamento (generalmente conosciuti come Gesù e i fanciulli), firmati e datati al 1708 (Miller) che, insieme con una replica dell'Enea e Didone, furono offerti dal M. stesso a Conti nel 1709, e da questo acquistati l'anno seguente. Negli stessi anni il M. eseguì e inviò a Verona una pala - oggi perduta ma riprodotta in un'incisione da G. Zancon - destinata alla chiesa di S. Stefano, su commissione della famiglia Bonduri, con cui il M. ebbe contatti fin dall'epoca della commissione dei Mercanti di Bolzano.
Il catalogo del M. risulta più disomogeneo e di problematica ricostruzione nell'ultima fase della sua carriera.
Emergono, in questo contesto, il Trionfo di Apollo del castello di Pommersfelden, successivo al 1720, ulteriore e significativa risultanza della prestigiosa committenza tedesca, che proietta il M. verso esiti più vicini al rococò internazionale (Marinelli, 1978), le due tele della parrocchiale di Perarolo di Cadore raffiguranti Le pie donne al sepolcro (firmata e datata 1728) e il Noli me tangere, destinate in origine alla chiesa di S. Silvestro a Venezia (Lucco), e diverse altre opere, non solo di soggetto mitologico, che risultano tuttora in attesa di una convincente collocazione cronologica o contestuale: in primo luogo le due pale con i Ss. Pietro e Antonio nella chiesa di S. Pietro a Marcellise, assegnate da Marinelli (1978) al periodo tardo e poi fatte risalire dallo stesso (2000) a un'epoca intorno al 1687. Altri significativi numeri del catalogo del M. sono la Vergine con i ss. Antonio, Giuseppe, Carlo Borromeo, Filippo Neri, Francesco e Giovanni Battista, in collezione privata (Marinelli, 1994), il Sacrificio di una vestale e il Trionfo di Bacco dell'Ermitage di San Pietroburgo, una coppia di dipinti firmati con Trionfi di divinità femminili emersi nel 1998 dal mercato antiquario (Id., 2002), e alcune opere presumibilmente pertinenti alla galleria di S. Conti, oggi in collezione privata a Vicopelago, passate in rassegna da P. Betti. Si devono a Marinelli anche gli unici tentativi di ricognizione, almeno parziale, della produzione grafica del M., di cui sono conservati diversi esemplari, anche acquerellati, presso il museo veronese di Castelvecchio; alla Graphische Sammlung di Monaco è conservato inoltre un interessante foglio, disegnato sul recto e sul verso, recante la firma del M. (Id., 1990).
Nel 1725 Conti riprese i contatti epistolari, da tempo interrotti, con il M., spinto dalla volontà di integrare e aggiornare la sua galleria con dipinti ispirati a tendenze più moderne, chiedendo espressamente al pittore di intercedere per il reperimento di due vedute di L. Carlevariis e un paesaggio di F.M. Bassi: in tale occasione il M. ebbe modo di far valere nuovamente la sua articolata e aggiornata competenza optando per un compito non meramente esecutivo e consigliò al collezionista lucchese di avvalersi - in luogo dei due anziani e ormai inabili artisti da lui richiesti - delle prestazioni di due pittori già discretamente affermati ed emergenti nel panorama culturale dell'epoca, G.A. Canal detto il Canaletto (per i dipinti del quale coniò la celebre definizione "vi si vede luzer dentro il sole": Zava Boccazzi, 1990, p. 130) e M. Ricci, dei quali il M. aveva intuito il valore artistico e le potenzialità di mercato. La documentazione attesta che nel 1730 il M. si era iscritto alla fraglia dei pittori veneziani; in uno stato d'anime del 1737 il pittore, tornato a Verona, risulta alloggiare con la moglie Cecilia, sessantenne, presso l'abitazione del pittore Perini, rinnovando in questa fase estrema un'antica frequentazione.
Il M. morì a Verona il 27 genn. 1738.
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