MARCHETTI, Alessandro
Nacque a Pontormo (ora Pontorme, frazione di Empoli), il 17 marzo 1633 da Angelo e da Luisa Buonaventuri. Terzo di cinque figli, non ancora adolescente rimase orfano di entrambi i genitori e fu condotto dal fratello maggiore, Antonio, a Firenze, dove questi esercitava la professione di legale.
Molto precoce fu la manifestazione della sua vena poetica, ma dal fratello gli furono imposti gli studi giuridici, che avviò in Firenze sotto la guida di Lorenzo Libri. Le fonti sono concordi nell'affermare che il suo destino fu segnato dall'incontro con il principe Leopoldo de' Medici, il quale, colpito dal suo talento poetico, lo aiutò a passare allo Studio pisano, dove il M. divenne matricola dei corsi della facoltà artistica. Ebbe così modo di frequentare le lezioni pubbliche di matematica e le attività sperimentali private di G.A. Borelli, da allora eletto a maestro e guida nella conoscenza della metodologia scientifica galileiana, e di stringere amicizia col nugolo di giovani ingegni che frequentavano Borelli, tra i quali erano L. Magalotti e M. Malpigli.
Il M. guadagnò i gradi accademici, discutendo sessanta conclusioni di filosofia (poi stampate, ma che oggi risultano perdute), nel 1659, anno in cui, per interessamento di Borelli, ebbe nello Studio una lettura straordinaria di logica. Sembra inoltre che Borelli, anche per fornirgli un'ulteriore sostegno economico, abbia favorito un suo insegnamento privato di elementi di geometria, indirizzandovi neofiti dei suoi corsi. Nel 1660 ottenne una lettura di filosofia naturale (dal 1667 come lettore ordinario), insegnamento che conservò fino al 1677. I suoi primi corsi furono orientati a esplorare la filosofia dei prisci filosofi e a confrontarla con Aristotele, stratagemma attraverso il quale, pur leggendo di meteore, del senso e del sensibile e de rerum ortu et interitu (argomenti delle lezioni dei primi tre anni di insegnamento filosofico), riuscì a trattare di galileismo e cartesianesimo. Dopo il 1667 affrontò argomenti centrali della riflessione dei recentiores, come l'origine del moto, che lo portarono a insegnare una filosofia di stampo schiettamente atomistico-gassendiana. D'altronde, gli orientamenti culturali e le propensioni ideologiche del M. trovarono, nello stesso giro d'anni, un definitivo assestamento in senso atomistico, favorito anche dalla traduzione del De rerum natura di Tito Lucrezio Caro, la prima in italiano, alla quale resta tuttora legata la sua fama.
L'opera, avviata nel 1664, fu completata intorno al 1668. A essa, oltre ai contenuti filosofici e scientifici centrali per la riflessione del tempo, è riconosciuto anche un alto valore poetico ed è considerata dai critici, a partire almeno dal Carducci, uno dei punti più alti della poesia italiana del tempo. Della traduzione esistono varie redazioni. Le prime, meno fedeli e letterali, risultano arricchite da aggiunte modernizzanti, quali gli elogi di Borelli e di Gassendi, che svelano il significato profondo che il M. attribuiva all'opera: manifesto di una sintesi culturale rivoluzionaria, in grado di collegare la nuova scienza dei moderni con la tradizione materialistica antica. L'accoglienza fu, nel complesso, piuttosto fredda. Alla ferma opposizione degli ambienti tradizionalisti toscani, fece riscontro l'entusiastica adesione del gruppo dei cosiddetti galileiani "borelliani" dello Studio pisano, propensi a considerare l'atomismo come la metafisica del galileismo. L'atteggiamento prevalente fu però improntato alla cautela, per impedire la rottura dei delicati equilibri del sistema politico-culturale toscano, in cui prevaleva la posizione di quanti, come Francesco Redi e Vincenzo Viviani, ritenevano sufficiente adottare un'interpretazione puramente metodologica del galileismo, avulsa da espliciti fondamenti metafisici. Tale circostanza non impedì un'ampia circolazione manoscritta della traduzione, anche se l'edizione a stampa fu bloccata dall'opposizione delle autorità toscane (divenuta definitiva negli anni Ottanta del secolo). L'opera fu pubblicata postuma solo nel 1717, a cura di P. Rolli a Londra, anche se è possibile che tale indicazione di luogo sia falsa e nasconda la tipografia napoletana di Lorenzo Ciccarelli. La vicenda della mancata stampa assume un significato emblematico, in quanto segnò la sconfitta personale del M. e quella politica del suo gruppo a favore non dei tradizionalisti aristotelici, ma piuttosto dei "rediani", che da allora diventarono il gruppo egemone della comunità scientifica toscana.
Fu, probabilmente, la delusione derivante dalle difficoltà incontrate per la pubblicazione del poema che indusse il M. a ripiegare su tematiche più circoscritte, dando alle stampe due volumi, pronti già da qualche tempo, le Exercitationes mechanicae (Pisa 1669) e il De resistentia solidorum (Firenze 1669), quest'ultimo di maggior interesse.
Il saggio si colloca nell'ampio dibattito iniziato dopo la pubblicazione dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (Leida 1638) di Galilei, opera che contiene una trattazione della valutazione del momento della caduta dei gravi affrontato attraverso l'enunciazione di un postulato mancante di una vera e propria dimostrazione. Su tale argomento si espresse anche il M., che rivendicando la giustezza del postulato galileiano e trattando del problema dei solidi di uniforme resistenza pose come fondamento della propria ricerca un principio che riguarda la scomposizione dei momenti-forze nella discesa dei gravi su piano inclinato (p. XI), tentando di dare così una prima coerente sistemazione a tutta la statica galileiana del piano inclinato. Nell'opera il M. non risparmiava critiche a E. Torricelli, che aveva affrontato la questione, come pure allo stesso Galilei su punti specifici, evidenziando così la scarsa compattezza del fronte galileiano.
Il volume, inoltre, diede luogo a un'aspra disputa con Viviani, che preparava un saggio sullo stesso argomento. Allorché seppe del lavoro del M., Viviani gli chiese di ritardarne la pubblicazione per far comparire i due libri insieme. Il M. acconsentì, ma allo scadere del tempo concordato Viviani, che a causa dei molteplici impegni derivanti dal ruolo ricoperto presso la corte medicea non era riuscito a redigere il proprio scritto, sigillò i propri appunti e rinunciò al progetto. Il M., sospettando che il lavoro non fosse stato neanche impostato, imputò a Viviani di avergli volutamente fatto perdere il primato della segnalazione di un'aporia di Galilei a favore di François Blondel. La disputa si trascinò, assumendo toni molto accesi che spinsero addirittura Viviani a formulare accuse di plagio nei confronti del Marchetti. Non placata la disputa, le polemiche tra tradizionalisti e atomisti a Pisa divamparono nuovamente anche in seguito a una relazione ufficiosa inviata da un esponente del gruppo degli aristotelici, Giovanni Maffei, alle autorità granducali. Nello scritto era sollevata la questione dell'insegnamento dell'atomismo, dottrina accusata di irreligiosità. A quel punto il M. ritenne fosse giunto il momento di far sentire la propria voce e nell'ottobre 1670 fece pervenire al principe Leopoldo de' Medici un suo scritto, le Risposte de' filosofi ingenui e spassionati falsamente detti democritici alle obiezioni e calunnie de' peripatetici (poi pubblicato in F. Marchetti, Risposta apologetica… nella quale si confuta il saggio dell'istoria del secolo decimosettimo scritto in varie lettere dal sig. Gio. Battista Clemente Nelli, Lucca 1762, pp. 19-34), con il quale non solo ribadiva la sua convinzione intorno alla necessità di un legame tra atomismo e galileismo, ma sosteneva anche la piena ortodossia teologica della scienza galileiana, nonché la superiorità della filosofia atomista rispetto a quella aristotelica e alle sue vistose implicazioni anticristiane. La mossa non raggiunse però l'esito sperato e anzi assicurò un ulteriore vantaggio a Redi e al suo gruppo, in quanto pare che proprio a quest'ultimo si rivolsero le autorità, affidandogli il compito di sopire le polemiche e favorire un compromesso tra le parti.
Se, dunque, professionalmente il primo scorcio degli anni Settanta non fu particolarmente fortunato per il M., non altrettanto si può affermare a proposito della vita privata. Nel 1672 sposò Lucrezia de' Cancellieri, la quale due anni dopo gli diede un figlio, Angelo, poi anche lui docente a Pisa, e in seguito un altro figlio, Francesco. Forse rinfrancato da tali eventi il M. si risolse a dare alle stampe un nuovo volumetto, Fundamenta universae scientiae de motu uniformiter accelerato (Pisa 1674), con il quale, proponendosi come principale continuatore dell'opera di Galilei e di Torricelli nel campo della scienza del movimento dei gravi, riprese le tematiche affrontate nel De resistentia solidorum. Puntuale, il lavoro provocò il rinnovarsi delle polemiche con Viviani, che non esitò ad accusare nuovamente il M. di plagio, in quanto ritenne di rinvenire nell'opera un'evidente impronta di Torricelli e in particolare delle proposizioni e delle dimostrazioni da costui presentate nel De motu gravium naturaliter discendentium… (in Opera geometrica, Florentiae 1644). Anche questa volta Redi cercò di mediare tra i due, pur se i malumori si trascinarono a lungo: ancora nel marzo del 1677 le dispute non si erano sopite e gli animi non si erano placati. Forse anche l'aspirazione a ottenere la cattedra di matematica dello Studio pisano, manifestata con evidenza in quegli anni dal M. attraverso la pubblicazione di un paio di volumi di argomento geometrico e trigonometrico (Problemata sex a Leidensi quodam geometra Christophoro Sadlerio missa ab hoc vero Germanis Italisque mathematicis proposita resoluta autem ab Alexandro Marchetti, Pisa 1675; Septem problematum geometrica ac trigonometrica resolutio…, ibid. 1675), contribuì a inasprire Viviani, che delle competenze matematiche del M. non ebbe mai grande stima. Il M. raggiunse l'agognata cattedra proprio nel 1677 (anno in cui pubblicò una Lettera nella quale si ricerca donde avvenga che alcune perette di vetro rompendosi il loro gambo tutte si stritolino, Firenze 1677, nella quale si asseriva esplicitamente l'esistenza del vuoto), che mantenne fino alla morte.
In quella fase la vicinanza al suo ex allievo Giuseppe Del Papa, lettore di filosofia nello Studio, fece risorgere nel M. l'interesse per l'astronomia, concretizzatosi nelle osservazioni sulla cometa del 1680, che i due compirono insieme e poi pubblicarono nelle rispettive opere, Del Papa inserendole nei Trattati vari (Firenze 1734), il M. nel Della natura delle comete (Firenze 1684), che raccoglie anche dati ricavati dalle osservazioni delle comete del 1681 e del 1682.
A quanto sembra, già in una delle conclusiones da lui discusse e pubblicate nel 1659, il M. aveva affrontato il tema della natura delle comete, aderendo alla visione proposta da Galilei e contrastando quella tolemaico-aristotelica. Nel dicembre 1661, aveva sostenuto sull'argomento a Pisa, nello Studio, una disputatio circularis contro un altro lettore straordinario di filosofia naturale, Alessandro Marsili, ribadendo il medesimo punto di vista. Infine, anche a causa del rinnovato vigore assunto dal dibattito sul tema della natura e del moto delle comete, in seguito alla comparsa di una di esse tra la fine del 1664 e l'inizio del nuovo anno, il M. tenne nel 1665 due lezioni a Firenze, presso l'Accademia degli Apatisti, nella quale ricopriva il ruolo di console, riferendo i dati delle osservazioni. Di tali lezioni resta testimonianza negli appunti preparatori conservati tra le sue carte, nonché in una lunga composizione poetica latina di un suo sodale apatista, P.A. van den Broecke, Carmen de natura cometarum (Lucca 1668). Pare che fin dal 1665 il M. avesse concepito l'idea di utilizzare tutto il materiale raccolto per dare alle stampe un libro sulle comete, progetto a cui però in quel momento rinunciò. Lo riprese una ventina d'anni dopo, utilizzando i nuovi dati raccolti con Del Papa e con Sigismondo Bernotti grazie a un "ottimo cannocchiale con somma industria, e accuratezza fabbricato dal famosissimo Evangelista Torricelli" (Della natura delle comete, p. 28). L'opera che ne risultò, oltre che antitolemaica, era polemica verso l'astronomia cartesiana dei vortici e, anzi, il M. ritenne di avere inequivocabilmente dimostrato la verità scientifica della posizione galileiana contro quella, giudicata immaginaria e fantastica, di Descartes e della sua scuola, in virtù di un serrato confronto tra i propri dati e quelli raccolti a Parigi da Giovanni Domenico Cassini e ad Avignone da Giovanni Carlo Galletti.
Probabilmente fu proprio il successo del libro negli ambienti scientifici che suscitò un ulteriore attacco dei tradizionalisti verso il galileismo atomista del Marchetti. A muoversi fu un gesuita toscano, Giovanni Francesco Vanni, già lettore di filosofia nel collegio fiorentino, prefetto della Biblioteca del Collegio romano, non nuovo a questo tipo di polemiche. Qualche anno prima il padre Vanni, forse anche per provocare un intervento del S. Uffizio romano contro gli atomisti pisani, nelle sue Exercitationes physicae (Firenze 1678) aveva preso di mira l'atomismo di Del Papa, non osando attaccare direttamente il Marchetti. Vista la scarsa risonanza del volume, nell'autunno del 1684 diede alle stampe un breve scritto, lo Specimen libri de momentis gravium autore I.F.V. Lucensi (in Acta eruditorum, novembre 1684, pp. 511-514), nel quale, presentando una sua opera, maliziosamente richiamava il M. e il principio presentato nei suoi Fundamenta universae scientiae de motu uniformiter accelerato al fine di negare la validità al postulato galileiano del moto dei gravi sul piano inclinato e, allargando il discorso, a tutta la statica di Galilei. Ciò anche con l'intento di dividere il gruppo degli avversari e rafforzare l'isolamento del Marchetti. La dimostrazione del padre Vanni, pur se argomentata con una logica stringente e non priva di fascino, era però viziata da alcuni errori, cosicché il M. ebbe facile gioco nel contrastarla, per prendere le distanze dallo scomodo ruolo di allievo-traditore del maestro, prima facendo pubblicare a un suo discepolo, omonimo del gesuita, il fiorentino Giuseppe Vanni De' momenti de' gravi sopra a' piani. Esercitazione meccanica (Firenze 1688, ma in realtà febbraio 1687), poi dando alle stampe, col nome del figlio Angelo, le Conclusioni intorno a' momenti de' gravi sopra i piani declivi… (Firenze 1687) e le relative Prove delle conclusioni… proposte per difendersi contro a qualunque oppugnatore (Firenze 1688). A esse il gesuita diede ulteriore risposta, ma il M. preferì non ribattere, lasciando ad altri il compito di condurre una polemica che si protrasse almeno fino al 1704. Nella decisione di non continuare la disputa, oltre alla convinzione di aver detto tutto quello che c'era da dire, operò anche altro.
Nella politica culturale del Granducato toscano era in atto un mutamento, che da lì a poco ebbe il suo momento apicale con la pubblicazione, nel 1691, di un decreto del segretario di Stato del granduca Cosimo III che intimava a tutti i lettori dello Studio pisano, pena l'immediato licenziamento, di non insegnare "pubblicamente né privatamente in scritto o in voce, la filosofia democratica ovvero degli atomi, ma solo l'aristotelica" (R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana…, IV, Firenze 1781, p. 409).
Il M., prudentemente, si conformò al volere del sovrano, tacendo e rifugiandosi in una routine didattica movimentata solo dalla sua antica passione poetica. Raccolse i versi pubblicati negli anni precedenti da più parti, la maggior parte su fogli sparsi, e con l'aggiunta di altri li stampò nel Saggio di rime eroiche, morali e sacre (Firenze 1704); tentò una traduzione italiana dell'Eneide di Virgilio, ma non andò oltre il quarto libro e la lasciò manoscritta; pubblicò una traduzione di rime di Anacreonte (Anacreonte tradotto dal testo greco in rime toscane, Lucca 1707) che, messa all'Indice con decreto del 22 giugno 1712, divenne molto rara e ricercata, tanto da essere ripubblicata, postuma, in una raccolta (Anacreonte tradotto in versi italiani da vari. Con giunta del testo greco e della versione latina di Giosuè Barnes, Venezia 1736, pp. 118-167), e fu per lungo tempo l'unica versione italiana disponibile del lirico greco.
Dalla seconda metà degli anni Novanta giunsero al M. i meritati onori e i riconoscimenti: il principe Ignazio Cesare d'Este, marchese di Montecchio, gli concesse l'uso di uno stemma e un diploma di nobiltà ad personam; l'Accademia dei Disuniti di Pisa lo nominò console; il 30 sett. 1695 fu ascritto all'Arcadia col nome di Alterio Eleo; il 7 dic. 1699 fu associato all'Accademia dei Fisiocritici di Siena; fu infine fatto membro dell'Accademia dei Risvegliati di Pistoia, dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia Fiorentina. Tuttavia gli ultimi anni di vita del M. furono tutt'altro che tranquilli. Nel 1695 il S. Uffizio romano cominciò a indagare sulla traduzione di Lucrezio, individuandone l'autore e cercando di tenere sotto controllo la circolazione delle copie manoscritte. Solo dopo la morte del M., in seguito alla pubblicazione londinese postuma del 1717, il libro fu messo all'Indice, in prima classe, con decreto del 16 nov. 1718. Tra il 1710 e il 1714 il M. fu nuovamente coinvolto in una polemica scientifica con il padre camaldolese Guido Grandi, lettore di filosofia nello Studio pisano oltre che matematico molto noto e apprezzato da Leibniz e da Newton per il suo tentativo di rifondare il galileismo conciliandolo con le teorie fisiche newtoniane e con l'analisi infinitesimale.
La polemica, che rimarcò nuovamente l'isolamento del M. nel sempre più esiguo gruppo dei galileiani, fu condotta su sette opere (tre delle quali del M.: Lettera nella quale si ribattono l'ingiuste accuse date dal p. d. G. G. nella seconda edizione del suo libro Della quadratura del cerchio e della iperbola, Lucca 1711; Lettera scritta a sua eccellenza il sig. B. T.… si dimostra in questa esser verissimo che il p. e maestro d. Guido Grandi nella seconda stampa del suo libro intitolato Quadratura circuli et hyperbolae ha mutato le parole dell'istanza e della risposta, Pisa 1713; Discorso… dove si esaminano e si ribattono le censure contenute nell'opera intitolata Risposta apologetica del p. e d. Guido Grandi… contro il libro dell'autore intorno alla resistenza de' corpi duri, Lucca 1714). La discussione nacque dalla censura operata dal M. di un passo dell'opera di Grandi (Quadratura circuli et hyperbolae per infinitas hyperbolas et parabolas quadrabiles geometrice exhibita et demonstrata, Pisa 1703), alla quale l'autore replicò nella seconda edizione dell'opera (ibid. 1710). Il motivo del contendere stava nel fatto che, discutendo dei limiti e delle possibilità della nuova analisi infinitesimale, Grandi mostrava di ritenere che la nuova logica dell'infinito disponesse del potere di provare il passaggio dal nulla all'essere (Badaloni, pp. 477 s.). Il M., invece, ancora legato alle esigenze di una primitiva realtà sperimentale e sospettoso verso il calcolo infinitesimale (non compreso in tutte le sue potenzialità), riteneva che dal niente non potesse che venire il niente e che, soprattutto, dal nuovo strumento di calcolo non si potessero trarre quelle illazioni metafisiche che vi traeva Grandi, il quale riteneva di avere così individuato una prova a sostegno della possibilità della creazione dal nulla da parte di Dio.
La disputa che, condotta con toni non sempre civili, fece riemergere alcune delle vecchie accuse di Viviani, morto nel 1703, al M. e che, di contro, quest'ultimo aveva rovesciato sul primo, fu interrotta dalla morte del M., avvenuta il 6 sett. 1714 a Pontormo, dove da molti anni si recava per il soggiorno estivo e dove il suo corpo fu seppellito nella chiesa parrocchiale.
Fonti e Bibl.: Le principali raccolte dei manoscritti e delle opere edite del M. sono nella Biblioteca universitaria di Pisa, nella Biblioteca Labronica di Livorno, nella Biblioteca dell'Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze e nella Biblioteca nazionale di Firenze. Per un loro elenco, A. Procissi, La collezione Galileiana della Biblioteca nazionale di Firenze, Roma 1956, ad ind.; Lettere e carte Magliabechi. Inventario cronologico, a cura di M. Doni Garfagnini, Roma 1988, ad ind. I tre fascicoli del S. Uffizio romano su opere del M. sono in Roma, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, S. Uffizio, Censurae librorum 1693-1695, f. XL; Censurae librorum 1708-1710, f. XXVII; Censurae librorum 1718-1721, f. VI. A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt, II, Pisis 1778, pp. 329-354; lettere del e al M. sono state pubblicate in G. Tondini, Delle lettere di uomini illustri, Macerata 1782, ad ind.; I.G. Isola, Due lettere inedite di A. M., Genova 1872; Jarro [G. Piccini], Lettere inedite di Lorenzo Magalotti, Francesco Redi, A. M. e Andrea Moniglia a Carlo Dati, Firenze 1889, ad ind.; T. Derenzini, Alcune lettere di Giovanni Alfonso Borelli e A. M., in Physis, I (1959), pp. 224-253; Some unpublished correspondence of Giovanni Alfonso Borelli, a cura di W.E. Knowles Middleton, in Annali dell'Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze, IX (1984), pp. 128-132; A. Vallisneri, Epistolario, II, a cura di D. Generali, Milano 1998, ad indicem. Per l'elenco delle opere scientifiche edite, oltre al citato A. Fabroni, si veda P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana…, Modena 1870, s.v.; per quello delle opere letterarie si veda la Nota bibliografica in M. Saccenti, Lucrezio in Toscana. Studio su A. M., Firenze 1966. Sul luogo di edizione della traduzione di Lucrezio si veda V. Ferrone, Scienza natura e religione, Napoli 1982, pp. 466, 483-485, e, di parere contrario, M.C. Napoli, Editoria clandestina e censura ecclesiastica a Napoli all'inizio del Settecento, in Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo. Atti del Convegno… 1996, a cura di A.M. Rao, Napoli 1998, p. 338.
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