MENGANTI, Alessandro.
– Nacque a Bologna il 13 marzo 1525 (Laschke, p. 260) da Tiberio; rimane sconosciuto il nome della madre.
Tale data non coincide però con l’età (trentatré anni) posta un tempo sul retro di un suo ritratto (rintracciato a Foligno, in collezione privata: Ghirardi) dipinto nel 1564 da B. Passerotti e segnalato all’inizio del Novecento nella Pinacoteca di Perugia (Ricci, p. 108).
Poche sono le notizie sulla sua formazione (il primo adeguato profilo critico del M. è quello di A. Venturi del 1937). «Scultore di molto merito», secondo l’affettuoso giudizio di Agostino Carracci (Bellori), talmente promettente da guadagnarsi, per il suo vivere solitario e appartato, il curioso epiteto di «Michelangelo incognito» (Malvasia, 1678), eppure assente ingiustificato nella monumentale storia della scultura di L. Cicognara e indicato nelle fonti sei-settecentesche come allievo dell’orefice e incisore Girolamo Faccioli (Bacchi, in Il Michelangelo…, p. 29).
Questo supposto alunnato, non documentato, può forse spiegarsi con l’avvicendarsi dei due nell’incarico di «maestro dei coni» della Zecca bolognese nei primi anni del pontificato di Gregorio XIII, e, sul piano stilistico, con la significativa presenza nelle opere del M. di modelli parmigianineschi, tanto cari a Faccioli, amico ed estimatore di F. Mazzola detto il Parmigianino, come ricordano G. Vasari e B. Cellini (Tumidei, ibid., p. 64).
Solo nel 1559 il nome del M., orafo-scultore, compare in una lista di membri dell’arte degli orefici aspiranti alla carica di massaro, carica che ricoprirà nel primo bimestre del 1560, nel terzo trimestre del 1569 e nel quarto del 1575 (Bulgari, p. 220). Nel 1563 è documentato, in qualità di incisore, insieme con un certo Paride da Parma, nella bottega dell’orafo bolognese Niccolò Quaini (ibid., p. 247).
Anche se, al momento, non sono state rintracciate sue opere di oreficeria, dovettero essere proprio queste a costituire i punti di forza della iniziale produzione del M., dal momento che egli si sarebbe qualificato «aurifex» sulla Statua di Gregorio XIII del 1579 (Bologna, Palazzo vescovile).
Nel 1565 si sposò con Ippolita Brini, con la quale ebbe quattro figli.
Tiberio, nato il 23 maggio 1566 e morto prima del 1594 (il suo nome non compare infatti nel testamento stilato dal padre il 27 gennaio di quell’anno: Ricci, p. 108); Eleonora (sposa del medaglista Orazio Provagli, formatosi presso il suocero e subentrato, alla morte di questo, nell’ufficio di incisore della Zecca: Bulgari, p. 245); Lucia e Vittoria. Nessuna conferma ha trovato la notizia (data da Malvasia negli Scritti originali…, ma non più riconfermata in Felsina pittrice), secondo cui una sua figlia avrebbe sposato il pittore fiammingo D. Calvaert.
Probabilmente già dal 1573 il M. era stato prescelto per la realizzazione della «statua colossale» a figura intera di papa Gregorio XIII, per la quale aveva approntato un modello in terracotta e forse anche in cera, prima del viaggio a Roma (giugno 1574), effettuato per ritrarre dal vivo il pontefice (Bertolotti). Intorno al 1575 si colloca infatti il Busto di Gregorio XIII (Bologna, Museo civico medievale), assai vicino nella resa espressiva del volto alla ritrattistica passerottiana: una sorta di prova generale richiesta al M. in vista del più impegnativo incarico successivo.
L’opera, in origine incassata in una nicchia dorata posta nella loggia del Gonfaloniere (Masini, p. 717), è stata messa in relazione con la visita prevista per l’aprile 1576, ma mai effettuata, di papa Gregorio XIII alla sua città natale (Laschke). All’interno del complesso regesto documentario relativo all’esecuzione della statua (pubblicato in Butzek) non sempre è possibile capire se alcune delle testimonianze più antiche debbano essere riferite al busto. Certo è che i lavori del «colosso» si protrassero più del previsto se nel 1577 il M. aveva terminato il modello in creta e solo nel dicembre di due anni dopo nel Pavaglione (odierna piazza Galvani) Anchise Censori fuse in bronzo il tanto atteso monumento (Laschke, p. 261). Salutato con fastosi festeggiamenti il 31 ott. 1580 (Butzek, p. 547), fu issato (18 dic. 1580), per volontà dello stesso pontefice, sulla balconata appositamente predisposta da D. Tibaldi nella facciata del palazzo pubblico. Allo scadere del Settecento, in pieno periodo napoleonico, la possente immagine papale fu trasformata in quella di s. Petronio: i Bolognesi, temendo di perderla, sostituirono la tiara con una mitra e posero nelle mani di Gregorio XIII un pastorale. Solo nel 1895 la statua riprese le sue originali sembianze. La notevolissima forza ritrattistica dimostrata dal M. nei due bronzi pontifici porta a credere che queste non fossero state le uniche occasioni in cui egli si era cimentato con tale genere: i documenti testimoniano infatti che nel 1588 il M. aveva eseguito, sempre per il palazzo pubblico della sua città, un Busto di Sisto V, opera andata perduta (Laschke, p. 263). Strette sintonie stilistiche con i ritratti papali hanno fatto entrare a pieno diritto nell’esigua produzione scultorea del M. un Ritratto d’uomo barbuto (Londra, Victoria and Albert Museum). La terracotta, rintracciata sul mercato antiquario fiorentino nel 1869 e ritenuta erroneamente effigie dell’architetto Iacopo Barozzi detto il Vignola, è stata successivamente accostata alla maniera emiliana, oltre che per i rimandi allo studio del vivo e del vero dei Carracci, anche per il particolare taglio compositivo tutto emiliano che comprende, oltre all’intero busto, entrambe le braccia, scelta verso cui si era orientato, in quegli stessi anni sempre a Bologna, Lazzaro Casario (Bacchi, in Il Michelangelo…, p. 199). Ascrivibili ancora agli anni Ottanta sembrano essere le statue di S. Apollonia e di S. Maria Maddalena (Bologna, chiesa di S. Giovanni in Monte). L’autografia della prima è confortata non solo dalla citazione di Masini (p. 290), ma anche dalla somiglianza assai marcata con le sante raffigurate a bassorilievo sul piviale di Gregorio XIII; la sigla del M. risulta invece meno evidente nella seconda, menzionata solo da Malvasia che non ne indica l’esecutore (Bacchi, ibid., pp. 203 s.). Più tarda sembra essere la terracotta policroma della Pietà (Bologna, chiesa di S. Rocco nel Pratello); il gruppo, di chiara ascendenza michelangiolesca, così «tanto stimato da’ stessi Carracci» (Malvasia, 1706, p. 144), ha subito nel tempo innumerevoli ridipinture e rimaneggiamenti (la figura dell’angelo è un’aggiunta ottocentesca: Bacchi, in Il Michelangelo…, p. 208). In origine era collocato sull’altare maggiore, ma, già nella prima metà del Seicento, fu trasferito nella cappella Moscardini poi Zagnoni. Alcune opere del M. oggi non sono più rintracciabili: è il caso di una Madonna in terracotta un tempo nella distrutta chiesa di S. Biagio in strada Maggiore (Ricci, p. 107) o della Statua di s. Domenico, posta nell’omonima piazza bolognese (Bulgari, p. 220); altre, invece, come una Madonna con Bambino (Bologna, chiesa di S. Stefano), citata da Masini (p. 153), che ne indicava anche un’altra presso l’oratorio della chiesa di S. Maria della Morte (p. 73), suscitano perplessità sul piano stilistico (Laschke, pp. 264 s.). Se poche sono le sculture, ancora più ristretto è il numero di medaglie, nonostante l’importante ruolo di incisore rivestito dal M. per molti anni nella Zecca a partire dal 18 genn. 1573, carica che il 12 ag. 1577 divenne vitalizia con uno stipendio annuale pari a lire 80 (Malaguzzi Valeri, p. 84).
Tutta la sua produzione numismatica è legata indissolubilmente alla commemorazione tributata da Bologna al suo illustre concittadino: presso il Museo civico archeologico si conservano diverse Medaglie di Gregorio XIII (esemplari in argento e in bronzo), nelle quali lo studio diretto dello stile di Michelangelo, riportato in un bassissimo rilievo, celebra uno dei primi atti ufficiali di Gregorio XIII: l’ordine di demolizione delle fortificazioni di Castelfranco sulla via Emilia, preludio alla successiva commissione della monumentale statua bronzea. L’anno della realizzazione del conio, il 1572, vide ancora attivo il vecchio Faccioli, incisore della Zecca, affiancato però già dalla nuova personalità del M., la cui cultura, più moderna, era in grado di unire all’abilità tecnica un’indubbia tempra di scultore. Seguirono emissioni di ducatoni (1580, in ricordo dell’ottavo anno di pontificato di Gregorio XIII) e di testoni d’argento, coniati sotto Sisto V (tra gli anni 1585 e 1590), nelle quali il M. riutilizzò sul verso iconografie già sperimentate (è il caso della Felsina seduta presente su monete realizzate nel 1577), mentre sul recto realizzò il ritratto di Sisto V (Tumidei, in Il Michelangelo…, pp. 209-224).
Il M. morì a Bologna il 14 febbr. 1594 e fu sepolto nella chiesa domenicana di S. Maria Maddalena.
Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, Mss., B.16: C.C. Malvasia, Scritti originali…, f. 118v; A. Masini, Bologna perlustrata, Bologna 1650, pp. 73, 153, 290; G.P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori… (1672), Torino 1976, p. 116; C.C. Malvasia, Felsina pittrice (1678), I, Bologna 1841, p. 307; Id., Le pitture di Bologna, Bologna 1706, p. 144; A. Bertolotti, Artisti bolognesi, ferraresi ed alcuni altri del già Stato pontificio a Roma nei secoli XV, XVI e XVII, Bologna 1885, p. 86; F. Malaguzzi Valeri, La Zecca di Bologna, Milano 1901, pp. 82-85; C. Ricci, Nota su A. M., in Bollettino d’arte, XIII (1919), pp. 107 s.; A. Venturi, A. M., in Storia dell’arte italiana, X, 3, Milano 1937, pp. 673-678; C. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d’Italia, IV, Emilia, Roma 1974, pp. 220, 245, 247; A. Ghirardi, Bartolomeo Passerotti pittore (1529-1592), Rimini 1990, pp. 290 s.; M. Butzek, La statua di Gregorio XIII: vicende storiche, in Il restauro del Nettuno, la statua di Gregorio XIII e la sistemazione di piazza Maggiore nel Cinquecento, Bologna 1999, pp. 197-252; B. Laschke, «Alexander Mengantius pinxit»: la statua di Gregorio XIII e altre opere del «Michelangelo incognito» bolognese, ibid., pp. 253-296; Il Michelangelo incognito. A. M. e le arti a Bologna nell’età della Controriforma (catal.), a cura di A. Bacchi - S. Tumidei, Bologna 2002; U.Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 388.
A.C. Fontana