ALESSANDRO, Michajlovič, duca di Tver e, in seguito granduca di Vladimir e di tutta la Russia
Nato nel 1301, ucciso il 29 ottobre 1339. Con regolare investitura da parte del khan tartaro Uzbek, succedeva nel 1325-1326 al fratello Demetrio nella dignità di granduca, cui spettava il possesso della capitale Vladimir e la supremazia sugli altri principi russi. Ma, fin da principio, si trovò in una situazione pericolosa, per la tenace e subdola ostilità del cugino di secondo grado, Giovanni, figlio di Daniele e duca di Mosca, discendente diretto di Alessandro Nevskij, mentre i duchi di Tver avevano per capostipite il fratello e successore di Alessandro Nevskij, il granduca Jaroslav. Già il fratello del menzionato Giovanni, Giorgio Danilovič, era riuscito, con l'aiuto dei Tartari, a scalzare Michele di Tver, padre d'Alessandro, dal trono granducale; Giovanni continuò lo stesso gioco contro A medesimo, aiutato da favorevoli circostanze e dalle intempestive ritorsioni dell'avversario. Il 15 agosto 1327 avveniva a Tver il massacro di un corpo d'occupazione tartaro e del suo condottiero Ciol-khan, cugino di Uzbek: sinistro episodio, che destò profonda impressione, come si può dedurre dal fatto che un canto epico su "Šelkan Dudentevič", la sua spietata caparbietà e la sua meritata fine, è stato trasmesso fino ai nostri tempi da rapsodi popolari. Naturalmente l'Orda d'oro decise di vendicare in modo esemplare il sangue versato e l'affronto; Giovanni di Mosca si offrì quale esecutore, ricevendone in premio la nomina a granduca. A. prima si rifugiò a Pskov, "città libera", che fu tosto colpita di interdetto dalle supreme gerarchie ecclesiastiche, alleate di Giovanni. Ricorse allora A. al potente principe della Lituania, Ghedimino, e poté insediarsi a Pskov quale suo vassallo, mentre il figlio Feodor riusciva ad avviare trattative con l'Orda d'oro, che in simili evenienze più volte diede prova di una certa magnanimità. Nel 1334 A. ebbe un salvacondotto, si presentò ad Uzbek, ottenne il perdono e la reintegrazione nel suo appannaggio ereditario di Tver. Ma tale soluzione non poteva convenire al granduca di Mosca, il quale tanto fece, con insinuazioni e opportuni regali ai familiari del khan, che questi, fatto persuaso di un nuovo tradimento da parte di A., lo fece chiamare con un pretesto alla sua residenza. Di nulla sospettando, A. vi giunse con suo figlio; ma accusati dal loro cugino e non trovando modo di provare la loro innocenza, furono entrambi trucidati. Così s'iniziava la "miracolosa fortuna" della dinastia moscovita.
Bibl.: S. Solovev, Istorija Rossij s drevnješich vremen (Storia delle Russie dagli antichissimi tempi), V, Pietroburgo 1895; E. Šmurlo, Storia della Russia, I, Roma 1928.