MORANI, Alessandro
MORANI, Alessandro. – Figlio di Vincenzo, affermato pittore accademico, nacque a Roma il 14 agosto 1859.
Dopo un primo alunnato con il padre che però morì quando egli aveva undici anni, continuò la sua formazione presso lo scultore Giovan Battista Lombardi. Dal 1877 frequentò con discontinuità l’Accademia delle belle arti di Roma, stringendo amicizia con Cesare Pascarella, Giulio Aristide Sartorio e Alfredo Ricci. Unendosi al gruppo di artisti e letterati che si incontravano al caffè Greco, tra cui Enrico Coleman, onorato Carlandi e Giuseppe Raggio, cominciò a dipingere dal vero nella Campagna romana. In questi anni realizzò i primi studi intorno a olevano Romano e Maccarese, seguendo i suggerimenti e l’aiuto del paesista Alessandro Castelli, già amico di famiglia. Esordì all’Esposizione nazionale di Roma del 1883 con l’opera Spes ultima vale. Nel 1885 – data in cui il suo studio risulta in via del Grillo 33, a Roma – presentò sei paesaggi alla Mostra della Società degli amatori e dei cultori (Fichi d’India a Capri, Nel bosco, Faggi, In montagna, Le saline di Ostia e Monte Autore). In quello stesso anno il critico d’arte Angelo Conti (alias Doctor Mysticus) in una serie di articoli pubblicati su La Tribuna, dedicati all’arte a Roma e al paesaggio, inserì Morani accanto a Nino Costa e a Castelli tra i pochi artisti autentici del tempo, il «novissimum agmen» romano (Conti, 1885). In aperta polemica con il verismo, il critico, medico e filosofo seguace di John Ruskin e della cultura preraffaellita, sottolineava la capacità di Morani di restituire il «sentimento della natura» e, in particolare, di esprimere nei quadri «un pensiero » attraverso lo studio partecipe degli effetti di luce, considerandolo la promessa «della vera pittura, che si stringe in fraterna alleanza con la poesia e produce la vera arte» (ibid.).
Nel 1886 con l’opera Fine di autunno (Roma, Accademia naz. di S. Luca, Galleria) Morani partecipò alla prima esposizione del gruppo «In Arte Libertas», movimento che faceva capo a Costa e in cui Morani svolse il ruolo di segretario, partecipando inoltre attivamente, insieme ad Alfredo Ricci, alla promozione della società e firmandone lo statuto nel 1890. La produzione di Morani risulta già in questa fase molto influenzata da quella dei pittori della Scuola etrusca e in particolare dal clima di rinnovamento artistico patrocinato da Costa, in direzione non solo di un recupero della pittura di paesaggio dal vero ma anche di un’apertura verso le coeve teorie preraffaellite inglesi e il dibattito internazionale sul rapporto tra arte, industria e artigianato. Agli stessi anni risale anche il contatto con Gabriele D’Annunzio, con il quale collaborò almeno per un ventennio, a partire dall’esecuzione di due paesaggi per l’edizione illustrata della raccolta di poesie dell’Isaotta Guttadauro, pubblicata nel 1886.
Pur legato ancora a forme di realismo descrittivo, in linea con le illustrazioni eseguite per la medesima impresa da Coleman e Carlandi, Morani si confrontò direttamente, in quest’occasione, con gli esiti più recenti della cultura ‘dell’arte per l’arte’ dannunziana, e con il mondo poetico, idealista e simbolista, che ruotava attorno al poeta abbruzzese. Nell’ambito di questa impresa si collocano le sue illustrazioni per i versi di Diana inerme e la romanza che apre l’Intermezzo melico e, qualche anno dopo, nel 1895, il disegno per la composizione dannunziana Le vergini delle rocce (libro III, Massimilla) eseguito per la rivista letteraria Il Convito. La collaborazione con D’Annunzio non si limitò solo alla poesia ma anche alla realizzazione di scenografie per alcune opere teatrali come La Gioconda, La Gloria e La città morta. In quest’ultima, con intento quasi archeologico, Morani ricostruì le oreficerie e suppellettili micenaiche.
Nel 1888 presentò all’Esposizione degli amatori e cultori il dipinto Estate. I lavori di maggio, riproposto alla mostra di «In Arte Libertas» del 1889, e, nello stesso anno, all’Esposizione italiana di Londra, dove venne acquistato dalla New Gallery.
Del dipinto, definito da Conti, nella recensione della mostra di «In Arte Libertas» di quell’anno, «bellissimo come originalità e spirito di disegno, come evidenza di impressione» (Conti, 1889), Morani realizzò tre versioni. La prima, eseguita nel 1888 e venduta alla New Gallery, era stata ispirata da un soggiorno a Mesa nelle paludi Pontine. Una seconda, dipinta a memoria, si trova in collezione privata a Roma; la terza, di impianto monumentale, con figure a grandezza naturale, è conservata nella villa Morani nel borgo laziale di Arsoli (ripr. in Sciommari, p. 250), ancora di proprietà della famiglia. Al naturalismo dominante nella prima tela, si sostituisce progressivamente, nelle versioni successive, un’idealizzazione del paesaggio e dei personaggi e una visione del lavoro agricolo idilliaca, in sintonia con le coeve opere di George Mason, conosciute da Morani tramite la frequentazione di Costa e della sua collezione.
Protagonista a pieno titolo del clima di rinnovamento artistico della Roma di fine secolo, influenzato dall’Arts & Crafts anglosassone, Morani fu tra i fondatori nel 1893 della rivista L’Italia artistica industriale per cui disegnò una delle copertine e il manifesto. A partire dal 1894 e fino al 1902 fu docente presso il Museo artistico industriale di Roma. Durante la sua attività didattica svolse un ruolo importante nella diffusione delle idee di William Morris e Charles Blanc, formando alcuni tra gli artisti più interessanti della Roma dei primi anni Venti come Marcello Piacentini, Duilio Cambellotti, Adolfo De Carolis. Con quest’ultimo, che lo ricordava come uno dei suoi migliori maestri, collaborò assiduamente a partire dal 1895 quando lavorarono insieme alla decorazione di villa Blanc a Roma.
A Morani è da attribuirsi l’impianto generale dell’apparato decorativo della villa, eseguito sotto la supervisione dell’archeologo, erudito ed architetto Giacomo Boni, profondamente influenzato dalle teorie artistiche di Morris e Ruskin e fautore della riscoperta di temi e tecniche diversi come il mosaico, il vetro, la ceramica. Spettano all’artista l’ideazione delle voltine in stucco della sala da ballo, le cariatidi in marmo della loggetta (di cui nella collezione degli eredi si conserva il modello preparatorio in gesso) e il disegno del motivo ricorrente del giglio bianco, allusione al motto della casa. Dalla decorazione e dai numerosi studi eseguiti dall’artista (Roma, coll. privata; Arsoli, coll. privata; ripr. in Lenzi, 1999, tav. I. 1-3) emerge il suo interesse per il revival degli stili, basato anche sull’uso di fonti inusuali come quelle del rinascimento umbro-toscano che egli assimilò recandosi, sollecitato dallo stesso Boni, anche ad Assisi a studiare le vetrate della basilica di S. Francesco. In perfetta sintonia con De Carolis, come documentano anche i fitti e affettuosi carteggi tra il maestro e l’allievo (Lenzi, 1999, pp. 59-61) Morani fu interessato anche allo studio della manifattura della ceramica toscana del Quattrocento, di Doccia e di Luca Della Robbia in particolare. L’artista, che disegnò i motivi delle piastrelle per il giardino d’inverno, spinse De Carolis a recarsi a Firenze, presso la manifattura Ginori per apprenderne le tecniche e dai carteggi si ricava che intermediario dei rapporti intercorsi fra l’allievo e i Ginori fu il fratello di Morani, l’ingegnere Fausto. Due opere di Morani, La Storia e La Meccanica, bassorilievi in ceramica parte del coronamento della villa, furono esposte insieme ad altre tre opere all’Esposizione del 1900 della Società degli acquarellisti e, nello stesso anno, a quella degli amatori e cultori. Per il barone Alberto Blanc, Morani eseguì anche i disegni ad acquerello per un servizio da tè (Roma, coll. privata; ripr. in Lenzi, 1999, tav. XII.3-4).
Nell’ambito del recupero della cultura figurativa del primo Rinascimento si collocano inoltre i suoi interventi di restauro. Si ricorda, in particolare, quello eseguito, tra il 1895 e il 1897, su incarico di Ludovico Seitz e sempre in collaborazione con De Carolis, sugli affreschi di Pinturicchio nell’appartamento Borgia in Vaticano ove Morani completò la decorazione delle pareti della sala del Credo.
L’intervento fu giudicato positivamente e ritenuto coscienzioso e cauto sia da Seitz sia da Adolfo Venturi. La meticolosità dimostrata da Morani nella progettazione della decorazione della stoffa da applicare nei riquadri centrali della sala, documentata dai numerosi studi (ripr. in Lenzi, 1999, tav. II.1-5), lo portò a prorogare l’esecuzione e a maggiorare il preventivo inizialmente presentato nel 1895. In quell’occasione Morani poté, insieme a De Carolis, studiare con attenzione molti dettagli dei dipinti di Pinturicchio, dalle candelabre, ai serramenti, alle cornici, al ricco soffitto della sala delle Sibille.
I dipinti della sala delle Sibille ispirarono a Morani la decorazione a tempera su pannelli di legno, con teste femminili e motivi floreali, di uno dei soffitti di palazzo Vidoni, a Roma, allora di proprietà dei Giustiniani Bandini di Mondragone, condotto sempre in collaborazione con De Carolis attorno al 1897. Nel medesimo palazzo realizzò anche gli stucchi con motivi a grottesca dello scalone d’onore. A una collaborazione con l’allievo va riferita anche l’esecuzione della cappella funeraria di Sigismondo Giustiniani Bandini nel cimitero monumentale del Verano a Roma, per il cui progetto Morani si ispirò all’impianto di un tempietto rinascimentale (1897).
Il matrimonio nel 1897 con Elisabetta (Lilì) Helbig, figlia della principessa russa Nadina Schahowskoy e del noto archeologo tedesco Wolfgang Helbig, già consigliere anche del Museo artistico industriale, consolidò i rapporti di Morani con il colto ambiente letterario e antiquario dell’epoca.
Lilì Helbig, amica di Eleonora Duse e D’Annunzio, anche lei discreta pittrice, espose alle mostre di «In Arte Libertas» e fu assidua frequentatrice del Circolo di villa Lante in cui anche Morani fu introdotto. Il suo libro di memorie, pubblicato in Germania (L. Morani- Helbig, Jugend im Abendrot. Römische Erinnerungen, Stuttgart 1953) è una fonte preziosa per la comprensione dell’ambiente artistico e culturale della Roma dell’epoca. Dal matrimonio nacquero quattro figli: Valentino, Antonio e Paolina oltre a «Ciccillo» (Pucini, 1996, p. 125) che morì tragicamente a Palermo e di cui Morani disegnò la tomba nel cimitero di Arsoli.
Con Helbig, Morani era entrato in contatto almeno dal 1895, data in cui iniziò a lavorare, su incarico dell’archeologo, a una serie di copie delle decorazioni pittoriche delle tombe etrusche di Tarquinia, Corneto, Vulci, Veio, Orvieto e Chiusi destinate alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen, fondata dal collezionista e antiquario danese Carl Jacobsen che sin dal 1887, durante la sua permanenza a Roma, aveva acquistato più di 900 opere d’arte greco-romana ed etrusca, reperite dall’archeologo tedesco, per il museo danese.
L’impresa, in cui Morani fu impegnato sino al 1913, portò alla realizzazione di un cospicuo numero di copie a tempera su tela (scala 1:1). Dapprima eseguì una serie di studi in acquerello delle tombe (conservati presso la Biblioteca dell’Istituto svedese a Roma) e, solo in un secondo momento, le copie che, dipinte in gran parte realizzando un calco diretto sulle decorazioni originali e avvalendosi del confronto diretto con una serie di fotografie eseguite da Romoaldo Moscioni, hanno un valore documentario e archeologico notevole, in quanto testimonianza dello stato delle pitture etrusche a pochi anni dal loro ritrovamento. Tutte le copie eseguite da Morani con un équipe di collaboratori e assistenti sono firmate «Colonelli», uno pseudonimo che, a quanto risulta, l’artista utilizzò solo in questa occasione. Dalle copie per Copenaghen, Morani trasse attorno al 1899 altre riproduzioni per il Museum of fine arts di Boston.
Tra il 1898 e il 1900, a Roma, lavorò con Edoardo Gioia che diresse nella decorazione della scala e del grande salone al primo piano di palazzo Zuccari, di proprietà di Henriette Hertz, e con il quale collaborò alla decorazione della villa (già della famiglia Mellini) del conte Luigi Manzi a Montemario. In questa fase, tra le più prolifiche della sua attività realizzò numerosi progetti come quello per la decorazione del soffitto della basilica di S. Antonio di Padova (1898) per il quale vinse il secondo posto al concorso indetto nel 1900 o quello per il soffitto della loggia del monumento a Vittorio Emanuele II a Roma (1900; non realizzato). Tra il 1900 e il 1907 collaborò con lo storico dell’arte Jean Paul Richter, eseguendo copie di documentazione di mosaici altomedievali romani.
Scioltasi nel 1904 l’associazione «In Arte Libertas», Morani con un gruppo di artisti che avevano fatto già parte dell’associazione, fondò un nuovo cenacolo, «I XXV della Campagna romana», che, in stretta continuità d’intenti con il gruppo che aveva fatto capo a Costa, patrocinava una visione della natura come proiezione di stati d’animo, avvicinandosi progressivamente al linguaggio simbolista. A questa fase si riferiscono una serie di paesaggi e studi di Morani compresi tra il 1900 e il 1920 (Studio di alberi, Scorcio del Tevere, Paesaggio con spaventapasseri, Bosco autunnale, tutti a Roma, collezione privata, cit. in Pittori dannunziani, 1978, p. 81; Monti laziali, 1917, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna, in deposito presso l’Accademia di belle arti di Ravenna) caratterizzati da una vena nostalgica coniugata a un virtuosismo mimetico della stesura pittorica.
Nel 1902 aveva acquistato ad Arsoli un villino, edificato qualche anno prima, risiedendovi stabilmente sino al 1908. Adiacente al preesistente fabbricato fece costruire una seconda palazzina, con annesso uno studio e ne decorò la facciata e gli interni. Realizzò il soffitto in stucco dorato della camera da pranzo con i calchi della decorazione della sala delle Sibille, eseguiti nel 1896.
Nel 1908 si trasferì a Palermo ove visse fino al 1922, dirigendo e insegnando presso la Reale Scuola superiore d’arte applicata all’industria e abbandonando quasi del tutto la pittura; proseguì l’attività didattica a Napoli, ove insegnò presso la Scuola superiore d’arte industriale tra il 1922 e il 1929. Nel 1929 si recò in Libia, a quel tempo colonia italiana: la luce calda della Cirenaica lo incoraggiò a riprendere la pittura di paesaggio. Tornato ad Arsoli continuò a dipingere una serie di piccole vedute, qualitativamente inferiori rispetto ai dipinti di soggetto africano e alle opere giovanili, lasciando, in molti casi, le tele allo stato di abbozzo.
Nel 1918 era stato nominato accademico di S. Luca e donò, in quella occasione, il suo Autoritratto (1890).
Si recò spesso, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, ad Anticoli Corrado dove, nel Museo civico, si conservano alcune sue tele, tra cui, oltre al giovanile ritratto dell’amico artista Carlo Randanini sul letto di morte (1884), una Veduta di Arsoli, appartenente alla sua fase matura (1930). Le opere di questi anni si caratterizzano per la stesura più rapida e sommaria, per l’orizzonte più ampio e le cromie più terrose.
Morì a Roma il 26 marzo 1941.
Fonti e Bibl.: Doctor Mysticus (A. Conti), Novissimum Agmen, in La Tribuna, 4 ottobre 1885; Id., L’arte a Roma. In Arte Libertas, ibid., 5 marzo 1889; MFAB (The Museum of fine arts Boston) 23rdAnnual Report, 1899, pp. 92, 122; L. Trompeo, Figure della Roma di ieri: A. M., in L’Urbe, VI (1941), pp. 10-20; V. Martinelli, Paesisti romani dell’Ottocento, Roma 1962, p. 75; Aspetti dell’arte a Roma 1870-1914 (catal.), a cura di A.M. Damigella et al., Roma 1972, pp. XIX-XXXIII, XXXV-XLI, 31; Pittori dannunziani. Letteratura e immagini tra Ottocento e Novecento, a cura di M. Fagiolo - M. Marini, Roma 1978, pp. 81 s.; S. Berresford, Uno dei XXV della Campagna romana. A. M., in Cronache d’altri tempi, XXV (1978), pp. 291 s.; A.M.: Roma 1859-1941 (catal.), a cura di A. Sestieri - C. Tempesta, Roma 1985; C. Weber-Lehmann, Die Dokumentation der etruskischen Grabmalerei aus dem Nachlass A. Moranis, in Opuscula Romana, XVIII (1990), pp. 159-187; A.V. Jervis, M., A. in La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, II, Roma 1991, pp. 927 s.; Catalogue of the copies of Etruscan tomb paintings in the Ny Carlsberg Glyptotek, a cura di M. Moltesen - C. Weber-Lehmann, Copenaghen 1991; W. Pucini, A. M., uno dei venticinque della Campagna romana, in Lazio ieri e oggi, 1996, n. 32, pp. 124 s.; A. Lenzi, Adolfo De Carolis e il suo mondo (1892-1928). L’arte e la cultura attraverso i carteggi De Carolis, D’Annunzio, Maraini, Ojetti, Anghiari 1999, pp. 11-29, 59-65, tav. I-IV, X-XII; R. Sciommari, A. M. (1859- 1941), tesi di laurea, Università degli studi di Roma ‘La Sapienza’, facoltà di lettere, a.a. 2000; Id., A. M., in R. Mammucari, 1904-2004. I XXV della campagna romana, Marigliano 2005, p. 366; Id., in Da Corot ai macchiaioli al simbolismo. Nino Costa e il paesaggio dell’anima, Milano 2009, p. 250.