PINI, Alessandro
PINI, Alessandro. – Nacque a Firenze il 3 maggio 1653, da Bartolomeo e da una Vittoria di cui non si conosce il cognome.
Apprese i primi rudimenti con il sacerdote Giovanbattista Fantaccini e a dieci anni (1663) frequentò la scuola pubblica dei gesuiti insieme al fratello Federigo (il quale divenne poi cappuccino con il nome di fra Bernardo). A sedici anni (1669) iniziò gli studi universitari alla Sapienza di Pisa e dopo dieci anni, nel 1679, divenne dottore in filosofia e medicina.
In questo decennio desiderò estendere le sue conoscenze ben oltre il campo specifico del curriculum universitario e acquisì competenze in botanica e nell’ampio settore dell’erudizione antica.
Fece poi ritorno a Firenze, dove iniziò il tirocinio come medico insieme a Francesco Redi. Grazie a lui venne introdotto nell’ospedale di S. Maria Nuova, il cui rettore era monsignor Michele Mariani, che nutrì profonda stima e amicizia verso di lui. La carriera di Pini era quindi sicura ma, come spesso accade ai fervidi e curiosi intelletti, egli preferì seguire il suo amore per le scoperte e per i viaggi. Si imbarcò sopra le galere di Toscana comandate dal generale Camillo Guidi e giunse in Morea (toponimo veneziano medievale del Peloponneso).
Nel 1680 il padre, Bartolomeo, morì. A quella data, Alessandro si trovava verosimilmente a Firenze, giacché subito dopo il granduca Cosimo III de’ Medici lo inviò in Egitto per candire la cassia fresca, scoprire nuovi semplici e per altre segrete incombenze. Una lettera del 12 giugno 1681 (Alessandro Pini, 2004, pp. 127-135) contiene la descrizione accurata dello sviluppo dell’albero della cassia, corredata da preziose raffigurazioni eseguite a penna dallo stesso Pini, autore anche delle varie didascalie. Il procedimento di candire la cassia era però proibito in Oriente e Pini sapeva di dover svolgere un compito ‘trasgressivo’; coinvolse perciò un certo Domenico Cartieri per aiutarlo nella sua impresa. Anche se Pini si riferisce a Cartieri come un ‘turco rinnegato’, questi era ben lungi dall’essere un turco, ma bensì un collega toscano che fu, probabilmente anche all’estero, al servizio di Cosimo III. Nel momento in cui Pini e Cartieri si incontrarono in Egitto, quest’ultimo era al servizio del gran pasha d’Egitto come capo dei paggi. Sembra che Pini sia riuscito a ottenere il permesso di svolgere il suo lavoro con la cassia dopo aver visitato il gran visir Köprülü (chiamato Chiuperlì) Kara Mustafa e averlo guarito dalla sua trombosi (p. 7).
Durante il suo soggiorno egli vide tutto quanto poteva esser degno delle osservazioni di una persona colta: i monumenti, le iscrizioni, le monete e molto altro ancora e di essi tracciò disegni e descrizioni che non sono pervenuti, così come non giunsero mai a destinazione i vari manoscritti arabi di medicina e di matematica, e i molteplici reperti archeologici che aveva raccolto per implementare la collezione del granduca (pp. 159-168). Osservò le piramidi e le mummie (pp. 39-40, 122-126), ma l’acuto sguardo del medico indagò anche molteplici aspetti scientifici. Effettuò infatti anatomie di animali, specialmente di vipere, di scorpioni e di qualche tipo di serpente; analisi di varie tipologie botaniche (caffè, melone, abdelavi, fichi ecc.). Dimostrò di conoscere molte cose, effettuò misurazioni, raccolte e disegni di quanto passava sotto i suoi occhi o casualmente si imbatteva sul suo cammino. Talora rischiò anche la salute e addirittura la vita ma troppo profondo era il suo ardore per l’avventura e difficilmente riuscì a tenerlo a freno.
Durante il viaggio di ritorno in patria, Pini visitò varie città dell’Asia Minore (Gerusalemme, Damasco, Aleppo, Tripoli di Siria e molte altre ancora) e di esse ha lasciato un ricordo, seppur breve e conciso, nelle sue lettere (pp. 170-186).
Quelle città che possiedono una lunga storia, frutto di una stratificazione di civiltà e di domini, già agli occhi di Pini apparvero spesso un cumulo di ruderi che solo la sua fervida immaginazione e il suo sguardo colto potevano ricostruire nella loro magnificenza e beltà; le strutture dell’epoca imperiale erano state o abbattute o reimpiegate dai dominatori successivi ed esigui erano gli elementi che palesavano le antiche glorie.
Dopo aver soggiornato in Oriente, Pini tornò in Occidente e nel gennaio 1683 si trovava a Livorno nel Lazzeretto (lettera del 3 gennaio, Alessandro Pini, 2004, p. 187) e pregava Redi di inviargli del denaro per comprarsi vestiti. Il luogo apparve molto angusto e desolante a quegli occhi che avevan visto gli splendidi panorami dell’Africa e dell’Asia, che avevano ammirato l’alba e il crepuscolo in luoghi straordinari, che eran rimasti affascinati dal fasto delle corti orientali e dal fulgore di meraviglie naturali. L’amarezza del luogo venne esacerbata ancor più dalla delusione e dalla rabbia di non essere stato scelto dal granduca per la missione in Turchia e soprattutto a Kostantiniyye, e Pini maledì la sorte per essere giunto in ritardo quando venne a sapere che il granduca aveva inviato il medico Michelangelo Tilli.
Nella sua breve sosta in Toscana, voleva dedicarsi al riordino della congerie di carte e di appunti che aveva con sé e che contenevano solo una esigua parte di tutto ciò che aveva scritto durante i suoi viaggi e le sue visite, per poi redigere una relazione accurata e organica sulle esperienze vissute e le indagini effettuate. La sua naturale inquietudine non gli consentì tuttavia di svolgere una ricapitolazione efficace dei sentimenti, delle emozioni e del piacere intellettuale che percepì nella visione degli innumerevoli luoghi, degli oggetti e delle creature che furono davanti ai suoi curiosi e acuti occhi.
Una lettera del 22 dicembre 1683 (pp. 219-221) lo ritrae a Venezia, profondamente amareggiato per le calunnie a causa delle quali aveva perduto la protezione del granduca e di Redi. Nella Serenissima si fermò alcuni mesi e sempre sollecitato dal suo spirito avventuriero si imbarcò; il 26 aprile scrisse a Francesco Redi (pp. 234-246) che la nave sulla quale era medico d’armata sarebbe salpata il 2 maggio alla volta di Corfù per proseguire verso i Dardanelli.
Pini servì la Repubblica di Venezia con competenza e dedizione a tal punto da ottenere una casa e dei terreni in Napoli di Romania (oggi Nafplio in Grecia), una zona sotto il controllo della Serenissima. A Venezia entrò in contatto con il professore di anatomia Iacopo Grandi, il quale, sollecitato da una lettera di Pini intorno a questioni botaniche, redasse una erudita Risposta... sopra alcune richieste intorno a S. Maura e la Prevesa, stampata in Venezia nel 1686 in cui compare un’altra lettera di Pini scritta nel golfo di Corone il 15 novembre 1685 (pp. 136-155).
Fino al 1698, quando terminò la guerra di Morea nel Peloponneso meridionale, Pini continuò il suo lavoro di medico di armata; il capitano Alessandro Molino lo ebbe in grande stima e come premio per l’onorato servizio svolto gli concesse beni immobiliari in quella provincia. Negli anni 1699-1703 visse a Venezia, dove non è noto esattamente che mansioni svolgesse.
Nel 1703 l’ambasciatore veneziano a Kostantiniyye, Giulio Giustinian, lo nominò medico d’armata. Qui, il primo febbraio 1710, sposò la genovese Elena Masselini e insieme si stabilirono nel quartiere di Pera. Pini vi dimorò fino al 1715, quando si ritirò nella sua casa di Nafplio. Il fato poi gli fu avverso e la subitanea invasione delle truppe ottomane infranse il suo idillio; egli venne ridotto in schiavitù a Nafplio. Proprio quando i suoi familiari erano in procinto di versare la somma del riscatto (1717), la peste gli inflisse l’estremo colpo.
Morì nelle prigioni di Kostantiniyye, dove era stato trasferito, nel gennaio 1717.
Pini ebbe grande ampiezza di veduta, che gli permise di osservare, con notevole attenzione anche ai particolari, la realtà circostante nei vari luoghi dove nella sua vita si trovò a camminare e ad agire. Oltre che medico, fu un ottimo osservatore delle tradizioni e delle usanze dei popoli che visitò, caratteristica che si può ben riscontrare anche nelle lettere e nel De moribus Turcarum (pp. 253-289). In questo breve trattato in lingua latina, egli lumeggiò vari aspetti della vita sociale di quella popolazione, quali l’educazione dei fanciulli, la netta separazione tra persone di sesso diverso, la condanna dell’ozio, ma anche la notevole magnanimità verso i poveri e gli indigenti, le molteplici norme di condotta, le abitudini alimentari e altro ancora, fornendo per quanto possibile il termine turco corrispondente alla questione presa in considerazione. L’ampio respiro intellettuale con il quale Pini indagò il mondo circostante si nota non solo nelle descrizioni estetiche delle strutture architettoniche della città di Kostantiniyye ma anche nell’analisi delle tipologie patologiche ed endemiche e degli elementi naturali. La sua sensibilità si palesa nella trattazione demoscopica ed etnografica della popolazione con la quale ebbe occasione di vivere. Si appassionò inoltre all’indagine di tutti questi aspetti, che contribuiscono certamente a una più profonda comprensione della civiltà e degli sviluppi che essa ebbe nel corso dei secoli.
Opere. La quasi totalità del materiale da lui raccolto o composto è andato perduto. Si è conservato solo un piccolo nucleo di lettere (edite in Alessandro Pini, 2004), la descrizione della Grecia (Malliaris, 1997) e il trattato Sui costumi dei Turchi, manoscritto della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Magl. XXIV.128 (edito e tradotto in Alessandro Pini, 2004, pp. 253-289). Quando nel 1740 Antonio Pini, figlio di Alessandro, viaggiò da Kostantiniyye a Firenze, portò con sé il trattato di suo padre. A Firenze lo donò ad Antonio Cocchi, medico e bibliofilo, la cui biblioteca è confluita nel fondo Magliabechiano della Nazionale di Firenze.
Fonti e Bibl.: Risposta di Jacopo Grandi, Medico e Professore di Notomia in Venezia et Accademico della Crusca A una Lettera del Sig. Dottor A. P. Medico dell’Ill.mo et Ecc.mo Sig.re Capitan delle Navi Alessandro Molino sopra alcune richieste intorno S. Maura e La Prevesa, Venezia 1686; C. Zeno, Articolo X, in Giornale de’ letterati d’Italia, XXVIII (1717), pp. 364-374; A.M. Malliaris, A. P.: anekdote perigraphe tes Peloponnesou (1703) (Descrizione del Peloponneso), Benetia 1997; A. P. viaggiatore in Egitto (1681-1683), a cura di R. Pintaudi, con la collaborazione di D. Baldi - A.R. Fantoni - M. Tesi (con A. Pini, De moribus Turcarum, a cura di D. Baldi), Il Cairo 2004.