RESSA, Alessandro
RESSA, Alessandro. – Nacque forse nel primo quarto del XVI secolo a Imola, dove, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, risiedeva con la moglie e un figlio.
Venditore e rilegatore di libri, all’occorrenza orologiaio, si spostava spesso nelle vicine Faenza e Forlì, rifornendosi di volumi a Bologna «dalli heredi de messer Giovan Andrea da Turino», ovvero Giovanni Andrea Dossena, e presso «messer Francisco Lindori vineciano», probabilmente Francesco Linguardo, che era però di origine pavese (Imola, Archivio diocesano, Fondo Inquisizione, b. 1 (1551-1595), Processo Ressa, c. 3r; Dall’Olio, 2005).
I contatti con il vivace ambiente bolognese, la curiosità intellettuale del libraio e le sue frequenti discussioni con artigiani e religiosi della zona posero le premesse di un personale approfondimento spirituale, favorito dalla facilità con cui egli poteva entrare in possesso di testi eterodossi. Tra il 1548 e il 1549, oltre a leggere Erasmo (i Proverbi e l’Enchiridion) e i Vangeli, Ressa poté avere tra le mani diversi libri di autori protestanti – come il De disciplina puerorum di Otto Brunfels, la Medicina dell’anima di Urbanus Rhegius o la Unio dissidentium – e alcuni tra gli scritti più celebri della cosiddetta Riforma italiana, dall’Alfabeto cristiano di Juan de Valdés al Trattato dell’oratione del cardinale Federigo Fregoso, dal Beneficio di Cristo alle Prediche di Bernardino Ochino.
A queste letture si accompagnò l’incontro con figure che si erano consapevolmente distaccate dalle tradizionali dottrine cattoliche: il domenicano Aurelio da Chio (cfr. Il processo inquisitoriale, 2013, pp. 970-973), l’agostiniano Raffaele «di Bressana» o «di Bergamasco», ma soprattutto il mercante di ferro Innocenzo Magnani da Tossignano, che poteva addirittura vantare appoggi all’interno della corte ferrarese di Renata di Francia. La loro frequentazione portò infatti il libraio a nutrire dubbi circa l’intercessione dei santi e della Vergine, il purgatorio, la presenza reale di Cristo nell’eucarestia, la confessione auricolare, il valore salvifico delle opere e il culto delle immagini sacre. Le nuove convinzioni di Ressa emersero, forse per la prima volta, a margine di una processione del 1548, quando egli – che pure faceva parte della confraternita della Beata Vergine della Consolazione di Imola – si rese protagonista di un alterco con il prete «Piero Avenale Marochio», che giunse a definirlo un «lutherano» (Imola, Archivio diocesano, Fondo Inquisizione, b. 1 (1551-1595), Processo Ressa, c. 7v).
Nel 1549, ai primi di maggio, il libraio ascoltò a Imola una predica di Tommaso Stella, detto il Todeschino, vescovo di Lavello (cfr. Buschbell, 1910, p. 76). Nei giorni successivi inviò a Pietro Gentile, orefice faentino e suo «fratello in Christo», una missiva in cui descrisse il predicatore come un «empio phariseo» che seminava «la dottrina di Pelagio alla scoperta» (Imola, Archivio diocesano, Fondo Inquisizione, b. 1 (1551-1595), Processo Ressa, c. 1v).
L’8 febbraio 1551 giunse a Imola una lettera di Teofilo Scullica, commissario generale dell’Inquisizione, che da Roma richiedeva che Ressa fosse arrestato e processato in quanto «ostinato heretico» (ibid., c. 1r). A incriminare il libraio era stato il ritrovamento proprio della sua lettera sul Todeschino tra le carte di Gentile, che all’inizio del 1551 venne incarcerato e inquisito dal S. Uffizio di Faenza. Il processo inquisitoriale intentato contro Ressa, il primo nella storia della diocesi imolese, prese subito avvio: lo stesso 8 febbraio egli venne imprigionato nelle carceri vescovili, ma gli interrogatori iniziarono solo il mese successivo.
Mentre il tribunale di Imola procedeva nell’interrogarlo e nel raccogliere informazioni sul suo conto, il 23 aprile Giacomo Magnani, padre dell’eterodosso Innocenzo, sodale di Ressa, presentò al S. Uffizio bolognese una supplica per l’assoluzione del figlio dalle accuse di eresia. Secondo le parole del genitore, Innocenzo era incappato in tali dottrine «potius simplicitate sua et alienis suggestionibus quam propria malitia», ma non appena si era reso conto della gravità dei suoi peccati aveva fatto tutto il possibile per tornare nel grembo della Chiesa (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, B.1926, c. 19r). L’iniziativa di Giacomo Magnani tentò di inserirsi nel solco della ‘politica del perdono’ inaugurata dal pontefice Giulio III con i due decreti Cum meditatio cordis nostri e Illius qui misericors del febbraio 1550, ai quali la supplica si richiamava esplicitamente. Tali disposizioni pontificie avevano infatti promesso la grazia dei peccati di eresia, in forma privata, a chiunque avesse spontaneamente confessato le proprie colpe nei successivi tre mesi (cfr. Brambilla, 2000, pp. 382-387). Nonostante i termini fossero ormai scaduti da più di un anno, il 22 maggio 1551 l’inquisitore di Bologna Leandro Alberti decise comunque di assolvere ufficialmente Innocenzo Magnani (cfr. Archivio di Stato di Imola, Demaniale, Istrumenti dall’anno 1502 al 1599, b. 2/8099, cc. 1v-3r; copia in Archivio di Stato di Bologna, Notarile, Zanettini Pietro, b. 26, cc. 600r-603r). Tale congiuntura risultò particolarmente favorevole al mercante, visto che neppure cinque mesi dopo il suo nome sarebbe comparso tra i luterani imolesi enumerati dal prete marchigiano – e anabattista pentito – Pietro Manelfi nelle confessioni rese proprio a Leandro Alberti nell’ottobre del 1551 (cfr. I costituti, 1970, p. 55).
Nel corso del processo gli inquisitori chiesero conto a Ressa delle sue convinzioni eterodosse e della cattiva fama che godeva a Imola. Il libraio cercò di ribattere ai giudici addebitando a Innocenzo Magnani la colpa delle proprie deviazioni dottrinali, che diceva di aver ormai abbandonato in favore di un sincero ritorno all’ortodossia cattolica. Piuttosto che tali argomentazioni difensive, a salvare il reo da una sicura condanna fu l’intervento di un suo amico, il nobile imolese Michele Machirelli, che il 20 agosto 1551 riuscì a ottenere la scarcerazione di Ressa e la chiusura del procedimento giudiziario a suo carico.
Ritornato in libertà – alla stregua dell’orafo Gentile, che nell’ottobre del 1551 prendeva accordi per una serie di restauri nel convento di S. Mercuriale presso Forlì (cfr. Grigioni, 1988, p. 86) – il libraio dovette persistere nelle proprie posizioni religiose, visto che nel luglio del 1552 venne nuovamente accusato presso il S. Uffizio imolese da parte di Giulio Cicognola, un suo passato compagno di fede eterodossa che si presentò spontaneamente di fronte ai giudici per ottenere un’assoluzione dei propri peccati (cfr. Imola, Archivio diocesano, Fondo Inquisizione, b. 1 (1551-1595), Processo Cicognola). Nell’estate del 1559 Giovan Battista Selli e Bernardo di Pietro Babini denunciarono Ressa, accusandolo di aver criticato il papa e di aver sostenuto che la messa dovesse essere tenuta in volgare in modo che tutti i fedeli potessero intenderne la liturgia. A Imola, d’altronde, non ci si era dimenticati che «era stato luterano» e per questo egli «non era in troppo bon conto» (ibid., Processo Ressa, c. 42r).
Dopo tale data non si hanno più notizie su Ressa.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Notarile, Zanettini Pietro, b. 26, cc. 600r-603r; Archivio di Stato di Imola, Demaniale, Istrumenti dall’anno 1502 al 1599, b. 2/8099, cc. 1v-3r; Imola, Archivio diocesano, Fondo Inquisizione, b. 1 (1551-1595), Processo Ressa e Processo Cicognola; Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, B.1926, c. 19r.
G. Buschbell, Reformation und Inquisition in Italien um die Mitte des XVI. Jahrhunderts, Paderborn 1910, p. 76; G.F. Cortini, La Riforma e l’Inquisizione in Imola (1551-1578) e Marco Antonio Flaminio luterano, Imola 1928, pp. 10-24; I costituti di don Pietro Manelfi, a cura di C. Ginzburg, Firenze-Chicago 1970, p. 55; R. Rotelli, Il tribunale del Sant’Uffizio a Imola dalla fondazione al 1578, tesi di laurea, Università di Bologna, a.a. 1973-74; S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia, Torino 1987, ad ind.; C. Grigioni, Antonio Gentile detto Antonio da Faenza, in Romagna arte e storia, XXIV (1988), pp. 83-118; G. Dall’Olio, Eretici e inquisitori nella Bologna del Cinquecento, Bologna 1999, pp. 227 s.; E. Brambilla, Alle origini del Sant’Uffizio, Bologna 2000, pp. 382-387; L’Inquisizione romana in diocesi di Imola, a cura di A. Ferri, Imola 2001, p. 17; G. Dall’Olio, Linguardo Francesco, in Dizionario biografico degli Italiani, LXV, Roma 2005, pp. 160 s.; Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, II, Roma 2013, pp. 970-973.