RONDONI, Alessandro
– Nacque a Roma verso il 1644 da Francesco e da Margherita Lapi. L’anno di nascita si ricava dagli stati d’anime della parrocchia di S. Andrea delle Fratte, in cui nel 1653 Alessandro è registrato all’età di nove anni (Capoferro, 2009, p. 309).
Fu membro di una famiglia che da generazioni era attiva nel restauro delle sculture antiche, un mestiere tramandato dal padre Francesco e ancora dal nonno Alessandro seniore (1562 circa-1634), antiquario dedito particolarmente al commercio e alle repliche di epigrafi, che ebbe rapporti professionali con i più importanti committenti del tempo, da Asdrubale Mattei fino a Marcello Sacchetti, a Cosimo II e al cardinale Carlo de’ Medici (Capoferro, 2009).
Nel 1666 Rondoni risulta abitante nella parrocchia di S. Nicola in Arcione, mentre almeno dal 1671 risiedette in via dei Greci, nella parrocchia di S. Lorenzo in Lucina, dove aveva aperto anche la bottega. Sin dagli esordi della carriera, lo scultore poté contare sulla protezione della nobile famiglia Ginetti: a lui si rivolsero il cardinale Marzio, suo nipote Giovanni Francesco, anch’egli porporato, e ancora monsignor Giovanni Paolo, commissionando non solo interventi di restauro, ma anche statue e busti-ritratto. Il primo documento che testimonia l’inizio di questo rapporto risale al 27 novembre 1663, quando Rondoni venne pagato 65 scudi per una statua di marmo – oggi perduta – destinata a ornare il palazzo della famiglia a Velletri, mentre quattro anni più tardi ci fu la vendita di una statua di Ercole che Rondoni stesso avrebbe restaurato nel 1670, insieme ad alcuni busti di marmo e di alabastro, anche questi da integrare e perfezionare (Anguissola, 2008, p. 56). I traffici con i Ginetti, intenti all’arredo del loro giardino nella dimora di Velletri, s’intensificarono nel biennio successivo: ancora al 1670 risale l’acquisto di due statue antiche di marmo alte 7 palmi appena restaurate, di altre quattro prive di teste e di due torsi. L’anno seguente si registrarono l’arrivo di un busto antico di Venere e il risarcimento di una figura di Adone, mentre nel maggio del 1672 lo scultore ricevette 25 scudi a saldo per aver realizzato quattro statue moderne ma esemplate su prototipi classici, raffiguranti Adone, Mercurio, Bacco e un Gladiatore.
Lavori di analoga natura si ricordano ancora tra il 1674 e il 1675, e nel novembre del 1700, quando Rondoni venne remunerato per aver trasformato un rilievo con una Prudenza in una statua a tutto tondo (ibid.).
Nel frattempo lo scultore si andava guadagnando una discreta fama di ritrattista, e la prima prova a oggi nota in questo campo ne dichiara la matrice ferratesca. Si tratta di un busto che rappresenta un alto dignitario spagnolo, probabilmente lo stesso re Filippo IV, scomparso nel 1665 (Bacchi, 2015, p. 43), raffigurato in armatura e decorato con il Toson d’oro.
L’opera, firmata e datata 1671 e oggi conservata al Norton Simon Museum di Pasadena, si caratterizza soprattutto per l’originalità del piedistallo, costituito da una base rocciosa sulla quale si appoggia un’aquila ad ali spiegate che a sua volta sorregge il ritratto, alla maniera della famosa Apoteosi di Claudio del Prado di Madrid.
Sempre legata alla committenza Ginetti è invece l’effigie del cardinale Marzio (morto nel 1671) ora in collezione Santarelli a Roma, per la quale nel 1673 Rondoni fu pagato ben 80 scudi (González-Palacios, 2004).
La peculiarità dell’opera sta nel fatto che la mozzetta del porporato è realizzata in porfido, mentre la testa è in marmo bianco, forse sull’esempio del busto di Urbano VIII eseguito nel 1631 da Gian Lorenzo Bernini e da Tommaso Fedeli (Roma, eredi Barberini); la volontà di emulare quell’illustre prototipo può essere legata alla particolare fedeltà che Marzio Ginetti nutriva nei confronti di papa Barberini, che nel 1627 lo aveva elevato alla porpora cardinalizia (Bacchi, 2015, p. 41).
Al 1674 risale poi un’altra impresa ritrattistica che vide coinvolti Carlo Maratti e Paolo Naldini, ma anche Rondoni, sebbene in un ruolo secondario. In quell’anno, infatti, vennero collocati nel Pantheon i due busti di Raffaello e Annibale Carracci (oggi Roma, Protomoteca Capitolina), eseguiti da Naldini su commissione di Maratti, che in accordo con Giovan Pietro Bellori intendeva rendere omaggio ai due campioni della pittura classicista (Titi, 1987, p. 191).
Di queste due effigi esistono altrettante versioni con varianti firmate da Rondoni – forse su commissione dello stesso Maratti (Bacchi, 2015, p. 53) – e oggi conservate al Musée du Louvre: se il ritratto di Raffaello è assai fedele all’originale di Naldini, quello di Annibale presenta una modifica nella disposizione del mantello, di grande qualità, tanto da farlo apparire addirittura superiore al prototipo romano.
Al rapporto professionale con Maratti si può ricondurre un’altra importante commissione, questa volta proveniente dalla famiglia Altieri, presso il cui palazzo di piazza del Gesù il pittore marchigiano stava eseguendo l’affresco con l’Allegoria della clemenza (1674-75). Tra il settembre e il dicembre del 1674 Rondoni fu pagato 200 scudi per la vendita di quattro sculture antiche, da lui stesso restaurate, raffiguranti Adone, Venere, Caracalla e Settimio Severo, da collocarsi sulla loggia del primo cortile del palazzo (Schiavo, [1962], p. 66). Intanto si apriva per lo scultore anche l’accesso a un grande cantiere decorativo, quello di S. Maria in Montesanto in piazza del Popolo, dove un nutrito gruppo di artisti fu chiamato a realizzare otto statue di Sante carmelitane per il coronamento esterno. I pagamenti pubblicati da Vincenzo Golzio (1941) illustrano con chiarezza la compagine degli scultori coinvolti, i quali, oltre a Rondoni, furono Filippo Carcani, Francesco Antonio Fontana, Lazzaro Morelli, Sillano Sillani, Giovanni Maria de Rossi, Giovanni Battista de Rossi e Lorenzo Buratti, quest’ultimo come probabile fornitore del travertino. Tuttavia l’esiguità della cifra corrisposta a Rondoni il 31 gennaio 1675, pari a 10 scudi, farebbe piuttosto pensare a un lavoro di collaborazione per una delle Sante forse con Fontana, sodale già dai tempi delle prime commissioni per i Ginetti a Velletri (Bacchi, 2015, p. 48). La mancata conferma dei due scultori nel cantiere di poco successivo della chiesa gemella di S. Maria dei Miracoli attesterebbe in qualche modo lo scarso successo della loro statua. Nel frattempo Rondoni tornava nuovamente a figurare in un’importante fabbrica promossa dai Ginetti in S. Andrea della Valle, dove nel 1667 il cardinale Marzio aveva ottenuto in concessione la prima cappella a sinistra e ne aveva affidato il progetto architettonico a Carlo Fontana. È probabile che il cardinale abbia coinvolto sin dalle prime fasi lo scultore, che insieme a Baldassarre e Francesco Mari, risulta pagato più volte nel corso del 1670 (Curzietti, 2006, p. 232); ma in questa prima fase dei lavori a dominare la scena fu Antonio Raggi, il quale nel luglio del 1670 si impegnava formalmente a realizzare il rilievo d’altare con l’Angelo che esorta Giuseppe alla fuga in Egitto, lavoro che avrebbe terminato nell’agosto del 1673 ricevendo un compenso di 1000 scudi. A Raggi furono commissionati anche i due rilievi laterali con i depositi del cardinale Marzio e dei marchesi Giuseppe e Giovanni Ginetti, con le relative figure allegoriche, ma, forse a causa della lentezza nella prosecuzione dei lavori, il progetto originario venne modificato favorendo l’ingresso nel cantiere di Rondoni, il quale nel luglio del 1676 veniva pagato 125 scudi per aver consegnato la Fama a mezzo rilievo collocata sopra il monumento del cardinale Marzio (Cavazzini, 1999).
L’impegno dello scultore nella cappella sarebbe proseguito negli anni a venire: nel 1684 avrebbe realizzato le figure della Giustizia e della Fortezza assise sulle colonne della parete di destra, mentre nel 1690 avrebbe congedato le tre statue dell’Umiltà, della Vigilanza e dell’Angelo reggicorona per il timpano dell’altare maggiore. Risale infine al 1703 il saldo per i busti dei marchesi Marzio e Giovanni Paolo Ginetti, portati in gloria da due putti, e soprattutto per la figura inginocchiata del cardinale Giovanni Francesco, sicuramente l’opera più importante di Rondoni in questo complesso, posta dirimpetto a quella del cardinale Marzio, già completata da Raggi tra il 1683 e il 1684 (ibid.).
Sul finire degli anni Settanta, Rondoni iniziò anche una sorta di collaborazione con l’Accademia di Francia a Roma, di cui al momento non si conoscono i termini precisi, se cioè si occupasse semplicemente di fornire marmi per i giovani studenti o se fosse in qualche modo coinvolto anche nella realizzazione delle copie di sculture antiche destinate a essere inviate in Francia. Certo è che dal 1678 si registrano una serie di pagamenti a suo nome (9 maggio, 50 scudi; 13 maggio, 234 scudi), che furono rinnovati ancora nel 1686 (10 aprile, 50 scudi), nel 1687 (24 aprile, 50 scudi; 7 maggio, 100 scudi) e nel 1688 (1° settembre, 50 scudi; Roma, Archivio storico della Banca di Roma, in deposito presso la Banca d’Italia, Banco di S. Spirito, Libri Mastri dei Depositi, ad annum).
Lo scultore, dunque, doveva essersi guadagnato una posizione di tutto rispetto sulla scena romana se anche il marchese Gaspar de Haro y Guzmán, ambasciatore di Spagna presso Innocenzo XI dal 1677, si rivolse a lui per un ritratto in apoteosi, oggi perduto, così descritto nel suo inventario del 1682: «Una statua di Sua Ecc.za in busto o mezza figura di marmo bianco, con armatura, su piedestallo di pietra egitia e di diversi colori, con suoi trofei di marmo bianco» (Cacciotti, 1994, p. 193). Nello stesso inventario, redatto prima del trasferimento a Napoli del marchese, divenuto nel frattempo reggente del Vicereame, sono ricordati quattro busti raffiguranti la Verità e la Prudenza (Segovia, palacio real de La Granja), la Bugia e l’Invidia (Aranjuez, casa del Labrador). Fino a oggi attribuiti a Ercole Ferrata (De Frutos Sastre, 2009, pp. 637-639), almeno due di essi, la Verità e la Bugia, sono stati di recente ricondotti all’opera di Rondoni (Bacchi, 2015, pp. 56-58); alcune caratteristiche tecniche, come i buchi del trapano in evidenza all’estremità delle bocche e degli occhi, consentono di assegnare a Rondoni anche i due restanti busti con la Prudenza e l’Invidia, quest’ultimo forse il più interessante del gruppo per la forte connotazione espressiva.
Anche il prelato fiorentino Domenico Maria Corsi scelse lo scultore per una serie di ritratti dei membri della sua illustre famiglia. Questa commessa si inserisce nel contesto celebrativo innescato dall’imminente nomina a cardinale di Corsi, avvenuta il 2 settembre del 1686. A partire dall’agosto dell’anno precedente, Domenico Maria affidò a Rondoni la realizzazione dei busti del padre, Giovanni di Jacopo (collezione privata), del fratello, il marchese Antonio (collezione privata), e dello zio, monsignor Lorenzo (collezione privata). Infine, solo dopo l’elevazione alla porpora, il cardinale commissionò il proprio ritratto (collezione privata), per il quale il 30 ottobre del 1686 Rondoni ricevette un compenso di 35 scudi, cifra pari al costo di ciascun busto della serie (Pegazzano, 2015). A partire dai primi anni Novanta, Rondoni iniziò a lavorare anche per Livio Odescalchi, nipote di papa Innocenzo XI. Una prima commessa risale al 1692, quando don Livio corrispose allo scultore 70 scudi per l’esecuzione di un gruppo raffigurante Due putti che lottano (perduto), probabilmente concepito a pendant di due marmi di analogo soggetto già realizzati da Ercole Ferrata (1683-84) e da Leonardo Retti (1689) e oggi entrambi dispersi. Nel 1695, sempre per Odescalchi, restaurò le parti in alabastro della monumentale scultura antica di Augusto ora al Prado (Walker, 2002, pp. 30 s.; Marchionne Gunter, 2003b, p. 132). Nello stesso anno prendeva parte, insieme a Vincenzo Felici, Giacomo Antonio Lavaggi e Michele Maglia, alla decorazione dell’altare maggiore di S. Maria in Traspontina, per il quale scolpì la statua di S. Angelo (Catena, 1954, p. 55; Marchionne Gunter, 2003a, p. 355). Nel 1699 lo ritroviamo, insieme a Lavaggi, in un altro importante cantiere decorativo in S. Maria in Campitelli, impegnato nell’esecuzione di uno dei due Putti reggistemma sull’arcone d’ingresso della cappella Altieri, per il quale fu pagato 60 scudi (Anselmi, 1993, p. 215): su basi stilistiche, si può attribuire a Rondoni quello a sinistra dello stemma (Giometti, 2005). Il 18 luglio del 1702 fu chiamato a realizzare una statua in travertino per i bracci dritti del colonnato di S. Pietro e un anno dopo consegnò la composta figura di S. Susanna riscuotendo un compenso di 80 scudi (Russo, 1987, pp. 109, 293). In questo frangente s’inserisce anche un soggiorno a Napoli, dettato forse dalle difficoltà economiche che stava attraversando, come lascerebbe supporre anche l’alta cifra di 650 ducati stabilita per il compenso: Rondoni fu chiamato a portare a termine alcuni lavori alla certosa di S. Martino lasciati incompiuti da Cosimo Fanzago, e in particolare completò gli Angeli sulle chiavi d’arco delle cappelle, eseguendone anche due ex novo, e le statue di S. Giovanni Battista e S. Girolamo, collocate nelle nicchie della controfacciata della chiesa (D’Agostino, 2011, p. 207). Le ultime opere eseguite da Rondoni a oggi note sono ancora legate alla committenza della famiglia Ginetti: il 15 novembre 1703 riceveva 35 scudi per l’effigie marmorea del marchese Giuseppe Ginetti e altri 72 per i busti del cardinale Giovanni Francesco e di suo padre, il marchese Giovanni Battista, tutti destinati alla sacrestia della chiesa dei Ss. Erasmo e Leonardo a Roccagorga, dove venne allestito un vero e proprio pantheon di famiglia (Cavazzini, 1999, p. 410). Infatti, del gruppo fanno parte anche i ritratti del cardinale Marzio, del marchese Marzio e di monsignor Giovanni Paolo, e l’uniformità stilistica dell’insieme lascia supporre che i sei busti siano stati realizzati in uno stesso momento e che Rondoni abbia inoltre eseguito gli Angeli reggistemma e gli stucchi decorativi dell’abside (Petrucci, 1999, p. 226).
Tra il 1701 e il 1710 lo scultore risulta residente nella parrocchia di S. Lorenzo in Lucina (Guerrieri Borsoi, 1990), ed è questa l’ultima attestazione documentaria della sua biografia a oggi nota.
Fonti e Bibl.: V. Golzio, Le chiese di S. Maria di Montesanto e S. Maria dei Miracoli a Piazza del Popolo in Roma, in Archivi d’Italia, VIII (1941), 3-4, pp. 122-148; C. Catena, Transpontina. Guida storica e artistica, Roma 1954; A. Schiavo, Palazzo Altieri, Roma [1962]; L. Russo, in Le statue berniniane del colonnato di San Pietro, a cura di V. Martinelli, Roma 1987, pp. 109, 225, 293; F. Titi, Studio di pittura, scoltura et architettura nelle chiese di Roma (1674-1763), edizione comparata a cura di B. Contardi - S. Romano, I, Testo, Firenze 1987, pp. 17, 79, 191, 203, 239, 242, 244; M.B. Guerrieri Borsoi, Gli stucchi di Santa Marta al Collegio Romano nell’attività di Leonardo Retti, in Bollettino d’arte, s. 6, LXXV (1990), 61, pp. 99-112; A. Anselmi, Sebastiano Cipriani: la cappella Altieri e «I pregi dell’architettura» oda di Giambattista Vaccondio, in Alessandro Albani patrono delle arti..., a cura di E. Debenedetti, Roma 1993, pp. 203-217; B. Cacciotti, La collezione del VII Marchese del Carpio tra Roma e Madrid, in Bollettino d’arte, s. 6, LXXIX (1994), 86-87, pp. 133-196; S. Zanuso, A. R., in Scultura del ’600 a Roma, a cura di A. Bacchi, Milano 1996, pp. 838 s.; P. Cavazzini, The Ginetti Chapel at S. Andrea della Valle, in The Burlington Magazine, 1999, vol. 141, n. 1156, pp. 401-413; F. Petrucci, Committenti nei Castelli Romani, in Giovan Battista Gaulli. Il Baciccio, 1639-1709 (catal., Ariccia), a cura di M. Fagiolo dell’Arco - D. Graf - F. Petrucci, Milano 1999, pp. 223-232; S. Walker, Livio Odescalchi, Pietro Stefano Monnot e Carlo Maratta: una rivalutazione alla luce di nuovi documenti, in Sculture romane del Settecento, II, La professione dello scultore, a cura di E. Debenedetti, Roma 2002, pp. 23-40; A. Marchionne Gunter, Documenti e nuove attribuzioni di opere in chiese romane tra Sei e Settecento, in Studi romani, LI (2003a), 3-4, pp. 340-359; Id., L’attività di due scultori nella Roma degli Albani: gli inventari di Pietro Papaleo e Francesco Moratti, in Sculture romane del Settecento, III, La professione dello scultore, a cura di E. Debenedetti, Roma 2003b, pp. 67-146; A. González-Palacios, Il busto in porfido del cardinale Marzio Ginetti, in Antologia di belle arti. Studi romani, n.s., 2004, nn. 67-70, pp. 19-21; C. Giometti, Lavaggi, Jacopo Antonio, in Dizionario biografico degli Italiani, LXIV, Roma 2005, pp. 132-134; J. Curzietti, Antonio Raggi e il cantiere decorativo di S. Maria dei Miracoli: nuovi documenti e un’analisi della ultima fase produttiva dello scultore ticinese, in Storia dell’arte, n.s., 2006, n. 13-14, pp. 205-238; A. Anguissola, La storia della collezione Lancellotti di antichità, in Collezione di antichità di Palazzo Lancellotti ai Coronari: archeologia, architettura, restauro, a cura di M. Barbanera - A. Freccero, Roma 2008, pp. 47-81; A. Capoferro, A. R. e il mercato antiquario romano tra fine Cinquecento e primo Seicento, in Archeologia classica, LX (2009), 10, pp. 307-352; L.M. De Frutos Sastre, El Templo de la Fama: alegoría del Marqués del Carpio, Madrid 2009; P. D’Agostino, Cosimo Fanzago scultore, Napoli 2011; A. Bacchi, A. R. ritrattista e restauratore nella Roma di fine Seicento, in A. Bacchi - F. Berti - D. Pegazzano, R. e Balassi. I ritratti del marchese Giovanni Corsi, Milano 2015, pp. 38-63; D. Pegazzano, Il cardinale Domenico Maria Corsi committente di A. R. iuniore e Mario Balassi, ibid., pp. 12-37.