ROSI, Alessandro (Sandrino). – Figlio di Tommaso Rosi da Rovezzano e di Maria di Salvi (o Salice) Martelli da Pontassieve, il pittore fiorentino, a detta di Francesco Saverio Baldinucci suo biografo (1725-1730 circa, 1975, p. 230), nacque il 28 dicembre 1627. Irrintracciato l’atto di battesimo, possiamo ipotizzare che la nascita fosse stata nei dintorni di Firenze, forse proprio a Rovezzano, dove il padre era «maestro alle mulina» (p. 230). Di Tommaso poco si sa, se non il suo ingresso nella compagnia fiorentina di S. Brigida da Annalena il 24 marzo 1629 more fiorentino (1630; per i documenti: Acanfora, 1994a, pp. 189-196)
, data che potrebbe segnare il trasferimento della famiglia nel capoluogo granducale.
Tra gli allievi di Cesare Dandini – insieme a Vincenzo Dandini, Stefano della Bella, Antonio Giusti, Giovan Domenico Ferrucci e Iacopo Giorgi –, Alessandro Rosi viene elencato da Filippo Baldinucci, che era pressoché suo coetaneo; su tale alunnato concordano le fonti successive, che si soffermano eminentemente sul carattere eccentrico dell’artista, ricordandone non molte opere, per lo più non rintracciate o mal visibili.
«Pittore di modi [...] negromantici» è la felice definizione che Roberto Longhi (1943) coniò segnalandone alcune tele inedite, che pose tuttavia sotto l’etichetta fallace di Sigismondo Coccapani (Firenze, 1583-1643). A fronte, infatti, di un precoce recupero della figura storica di Rosi sulla scorta delle fonti (della Pergola, 1935), non privo però di palesi fraintendimenti (Meloni Trkulja, 1975; dei sette dipinti presentati, quattro si sono poi rivelati di altra mano: Acanfora 1989a; Ead., 1994a, pp. 7 s.), le opere del pittore confluirono a torto – unanimemente da Longhi in poi – sotto il nome di Coccapani. L’equivoco si è sciolto grazie alle scoperte, del tutto indipendenti e contemporanee, della scrivente e di Alessandra Guicciardini Corsi Salviati: quest’ultima (1989) ha rintracciato gli affreschi in palazzo Corsini, con i relativi documenti, mentre si sono potute identificare (Acanfora, 1989a, p. 869; Ead., 1989b) altre opere parimenti ricordate dalle fonti (Martirio di s. Cristina a Passignano; Angeli musicanti, Firenze, Ss. Annunziata), legare a documenti tele note (Martirio di s. Sebastiano a Vallombrosa, 1665) e rintracciare su base archivistica la produzione per l’Arazzeria medicea; ciò ha costituito il fondamento per la completa ricostruzione della fisionomia artistica di Rosi (cfr. inoltre Contini, 1990; per il catalogo delle opere: Acanfora, 1990-1993; Ead., 1994a; Baldassari, 2009; Bellesi, 2009; Cantelli, 2009). Parallelamente si è avviata la ricomposizione del catalogo di Coccapani (Acanfora, 1989a, p. 697; Ead., Sigismondo Coccapani disegnatore e trattatista, in Paragone, XL (1989), 477, pp. 71-99; Ead., Sigismondo Coccapani, un artista equivocato, in Antichità viva, XXIX (1990), 2-3, pp. 11-25).
L’Autoritratto delle Gallerie fiorentine, che raffigura Rosi poco più che adolescente, appare altresì, per i caratteri fortemente dandiniani, come l’opera più precoce a noi nota, la cui attribuzione tradizionale si fonda sull’annotazione antica sul verso («Sandrino Rosi»). Un ante quem per l’esecuzione è verosimilmente il 26 aprile 1648, data in cui l’artista entrò nella stessa compagnia del padre, legata all’Ordine dei serviti, e adottò la consuetudine propria dei confratelli di rasarsi i capelli «come i religiosi»: così infatti egli è descritto dai biografi, mentre la pratica non risulta ancora adottata nel giovanilissimo Autoritratto.
Di sicura esecuzione al 1646, sulla scorta della data sul cartiglio, è il Ritratto già nella collezione Stiozzi Ridolfi, dove il ritrattato è identificabile nel canonico Alessandro di Niccolò Ridolfi (Firenze 1622-1692). A questa prima fase, ancorata ai modelli di Cesare e Vincenzo Dandini, che erano stati suoi maestri, dovette risalire l’invenzione compositiva sia della fortunata Allegoria dell’Amor di Virtù – trasformata in un Bacco con il calice e la brocca (dipinto inedito, coll. priv., emerso sul mercato nel 2012) –, sia del Paride con le tre Grazie, tema, anche quest’ultimo, più volte replicato e riproposto per l’Arazzeria nel 1692 (Acanfora, 1994a, pp. 60-62 nn. 3-10, 106 s. n. 98; Baldassari, 2007).
Anteriormente all’immatricolazione all’Accademia del disegno, avvenuta il 31 ottobre 1654, si pone l’esecuzione degli affreschi nella loggia e nel contiguo «ricettino» in palazzo Corsini a Firenze, con l’aiuto del quadraturista Bartolomeo Neri, cui sono intestati i pagamenti, che si scalano dal 27 agosto 1650 sino al saldo registrato il 7 marzo 1652 more fiorentino (1653; Guicciardini Corsi Salviati, 1989, pp. 36 nota 68, 42 s. doc. 5, 120).
Manifesto della ricezione delle novità delle quadrature di Agostino Mitelli e di Angelo Michele Colonna e della magnificenza barocca, il ciclo introduce motivi della grande decorazione d’Oltralpe – di Simon Vouet e del suo seguito –, conosciuta attraverso le stampe e, al pari delle opere da cavalletto (cfr. in specie la Salomè con la testa del Battista, coll. priv.), rivela il pittore partecipe degli orientamenti filofrancesi presenti nel Seicento fiorentino (Acanfora, 1990-1993; Ead., 1994a).
Nel sesto decennio si pone l’ideazione della Sacra Famiglia, secondo l’iconografia della Madonna della pappa, di cui la redazione in una raccolta a Carpi, e quella più tarda e fastosa apparsa in asta a Digione (2007) e ora in collezione privata, per la presenza del gatto e delle vesti vergate «di più colori», si candidano per essere riconosciute nella tela commissionata da Francesco Maria de’ Medici (Baldinucci, 1725-1730 circa, 1975, p. 232), ossia, probabilmente, nella «Madonna famosa» celebrata a partire da Pellegrino Antonio Orlandi (1704, p. 68).
La presenza di Salvator Rosa a Firenze dal 1640 lasciò tracce significative in Rosi, nella città granducale uno degli apripista di un filone negromantico che arrivò, attraverso il suo allievo Alessadro Gherardini, al Settecento. Ne sono prova la celebre Scena di stregoneria (precisazioni iconografiche in Bellesi, 1997), verosimilmente dipinta per i Ginori, nella cui collezione familiare risulta alla morte di Carlo Andrea (1757), e l’intenso Uomo d’arme con orecchino attualmente sul mercato antiquariale a Firenze. Composizioni popolose e scalene – spesso con soggetti inconsueti e tonalità espressive inquiete e maladives – caratterizzano i suoi quadri da stanza, come le due tele a pendant della Cassa di risparmio di Prato (Mosè e le figlie di Ietro e Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia, con repliche rispettivamente nel Detroit Institute of arts e nel Museo di Budapest: su quest’ultima cfr. Tátrai, 2009).
Il 18 settembre 1661 Rosi sposò Domenica di Francesco Piombi, da cui non ebbe figli. Nel settimo decennio e nei successivi si scala la sua produzione oggi documentata: il Martirio di s. Sebastiano a Vallombrosa (1665), il Martirio di s. Matteo a San Mommé (1666), gli Angeli musicanti nella Ss. Annunziata (1671), i Santi Francesco Saverio e Pietro d’Alcantara a Prato (1675), il Martirio di s. Cristina a Passignano (1686-87), come pure la sua attività come ‘restauratore’ (Acanfora, 1994a; Ead., 2012). Dal 1678 al 1697 è attestata la sua collaborazione come pittore per l’Arazzeria medicea.
Il 19 aprile di quell’anno Rosi morì a Firenze, travolto dal crollo di un terrazzo in via della Condotta, e venne sepolto in S. Ambrogio.
Influenzata dal giordanismo, per gli effetti liberi e franti della pennellata, la produzione matura di Rosi rivela ancora interessi per la pittura francese, come testimoniano due Baccanali (coll. priv.) che si fondano sulla serie di incisioni di Nicolas Perelle raffigurante Le quattro stagioni (Acanfora, 1994a, pp. 44, 95 s. nn. 78-79).
Probabile allievo e suo continuatore presso l’Arazzeria medicea fu il nipote Antonio Bronconi che, tra le prime menzioni che lo riguardano, figura aver ricevuto tra il 1699 e il 1701 pagamenti «per aver rassettatto» alcuni cartoni per arazzi eseguiti dallo zio, evidentemente perché ne fossero realizzate delle repliche.
Fonti e Bibl.: F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728), a cura di F. Ranalli, IV, Firenze 1846, p. 71; P.A. Orlandi, Abcedario pittorico, Bologna 1704, pp. 67-69; G.C. Sagrestani, Vite e notizie (post 1716-1731), in Zibaldone baldinucciano, a cura di B. Santi, I, Firenze 1980, pp. 273 s.; F.S. Baldinucci, Vite di artisti dei secoli XVII-XVIII (1725-1730 circa, Firenze, Biblioteca Nazionale, ms. Pal. 565), a cura di A. Matteoli, Roma 1975, pp. 230-238; O. Marrini, Serie di ritratti di celebri pittori dipinti di propria mano in seguito a quella già pubblicata nel Museo Fiorentino esistente presso l’abate Antonio Pazzi, I, t. 1, Firenze 1765, pp. XXX-XXXII; C. Conti, Ricerche storiche sull’arte degli arazzi in Firenze, Firenze 1875, pp. 77, 80, 82; P. della Pergola, R. (Rossi) A., in U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexicon der Bildenden Künstler, XXIX, Leipzig 1935, p. 23; R. Longhi, Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia, in Proporzioni, I (1943), pp. 5-63, (in partic. pp. 56 s. nota 77); S. Meloni Trkulja, A. R. e gli inizi del Gherardini, in Antichità viva, XIV (1975), 4, pp. 17-26; F. Sricchia Santoro, Coccapani, Sigismondo, in Dizionario biografico degli Italiani, XXVI, Roma 1982, pp. 436-438 (con bibl.); E. Acanfora, Coccapani, Sigismondo, in La pittura in Italia. Il Seicento, a cura di M. Gregori - E. Schleier, II, Milano 1989a, p. 697; Ead. R. A., ibid., p. 869; Ead., Su Giuseppe Nicola Nasini e su alcuni malintesi riguardo alla badia di Passignano, in Antichità viva, XXVIII (1989b), 5-6, pp. 16-22; A. Guicciardini Corsi Salviati, Affreschi di palazzo Corsini a Firenze 1650-1700, Firenze 1989, passim; R. Contini, Sulle spartizioni del Coccapani: A. R. e Luciano Borzone, in Paradigma, IX, 1990, pp. 141-158; E. Acanfora, A. R. e le fonti figurative del barocco a Firenze, tesi di dottorato di ricerca, Pisa, Università degli studi, 1990-1993 (con bibl.); Ead., A. R., Firenze 1994a (con bibl.); Ead., in Mostra dedicata all’effigie di S. Giovanni Battista (catal.), a cura di S. Bellesi, Firenze 1994b, scheda pp. 48 s.; S. Bellesi, Cesare Dandini, Torino 1996, ad ind.; A.G. De Marchi, Una nuova collana, un libro su A. R. e alcune aggiunte al suo catalogo, in Commentari d’arte, II (1996), 3, pp. 75 s.; S. Bellesi, Diavolerie, magie e incantesimi nella pittura barocca fiorentina, Firenze 1997, pp. 42, 58-61 n. 3; Id., Vincenzo Dandini e la pittura a Firenze alla metà del Seicento, Ospedaletto 2003, ad ind.; E. Acanfora, in Palazzo degli Alberti. Le collezioni d’arte della Cariprato, a cura di A. Paolucci, Milano 2004, pp. 124-128, schede nn. 51-53; F. Baldassari, La collezione Piero ed Elena Bigongiari: il Seicento fiorentino tra «favola» e dramma, Milano 2004, pp. 48-52, 176-179 n. 44; E. Acanfora, in Florence 1600-1780: from the Medici to Habsburg Lorraines. Paintings, drawings and works of art (catal.), a cura di F. Martinoli - M. Voena, Turin 2006, scheda pp. 42-45; F. Moro, Viaggio nel Seicento Toscano. Dipinti e disegni inediti, Mantova 2006, pp. 222-224; F. Baldassari, Dipinti fiorentini del Seicento e del Settecento, Padova 2007, pp. 58-61 n. 13; Ead., La pittura del Seicento a Firenze: indice degli artisti e delle loro opere, Milano 2009, pp. 626-644; S. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del ’600 e ’700, Firenze 2009, I, pp. 238 s., III, figg. 1386-1398; G. Cantelli, Repertorio della pittura fiorentina del Seicento. Aggiornamento, Pontedera 2009, I, pp. 168-171, II, figg. 227-231; V. Tátrai, An addition to the catalogue of A. R.’s works, in Bulletin du Musée Hongrois des beaux-arts, CX-CXI (2009 [2010]), pp. 115-120, 293-296; E. Acanfora, in La Collection Motais de Narbonne. Tableaux français et italiens des XVIIe et XVIIIe siècles (catal.), a cura di S. Loire, Paris 2010, p. 96 n. 41; Ead., Il restauro a Firenze nel Seicento: scrittori d’arte e gusto collezionistico, in Mosaico. Temi e metodi d’arte e critica per Gianni Carlo Sciolla, a cura di R. Cioffi - O. Scognamiglio, I, Napoli 2012, pp. 137-148; S. Bellesi, Studi sulla pittura e sulla scultura del ’600 - ’700 a Firenze, Firenze 2013, p. 29 fig. 17.