SANQUIRICO, Alessandro
– Nacque a Milano il 27 luglio 1777, nella contrada del Bocchetto (dal 1834 via della Posta, presso piazza Cordusio). Il pianterreno della casa natale ospitava il Caffè Sanquirico, gestito con successo dal padre Ambrogio, di origini piemontesi, e dalla madre Marianna Grassi, milanese, la quale aveva recato in dote al marito «l’ostelleria e la caffetteria» (Archivio di Stato di Milano [ASM], Notarile, Atti dei notai, 49397, Antonio Maderna, 11 sett. 1819-1° sett. 1820, cc. non numerate). Ebbe quattro fratelli (Pio, Giuseppe, Carlo, Antonio) e una sorella, Rachele. Non si sposò e non ebbe figli.
Studiò nell’Accademia di belle arti di Brera, a Milano, all’epoca guidata da Giuseppe Piermarini (architettura), Leopoldo Pollack (elementi di architettura), Giuliano Traballesi (pittura), Giuseppe Franchi (scultura), Martino Knoller (colorito). La sua prima attività fu di pittore e ideatore di eventi celebrativi in Milano. Nel 1801 collaborò alla gran festa in piazza del Foro Bonaparte (26 novembre). Per il 26 giugno 1803 (festa della Repubblica) affrescò dodici monumenti sepolcrali nei giardini pubblici. Nel circo provvisorio in piazza Castello, ideato da Andrea Appiani, l’artista, assieme a Giovanni Pedroni, rifinì undici «carceri» (ricovero per i cavalli e i carri) in finto marmo.
Sostenuto da Appiani (commissario delle belle arti), Luigi Canonica (ispettore generale delle fabbriche pubbliche), Carlo Brentano de Grianty (direttore generale dei teatri), nel 1804 affrescò, in collaborazione con Pedroni, il padiglione e i monumenti funerari in finto marmo con iscrizioni in oro «per i cittadini Verri, Parini, Joubert, Spallanzani, Desaix, Mascheroni, capitano Pendemonti» (ASM, Potenze Sovrane, 141).
Nel 1805 fu l’artefice delle celebrazioni milanesi in occasione dell’incoronazione di Napoleone re d’Italia (26 maggio). Dipinse l’arco fittizio di Porta Marengo (l’attuale Porta Ticinese), da cui l’imperatore entrò in città (8 maggio); curò i fuochi d’artificio in foro Bonaparte, affrescò in stile neoclassico il circo provvisorio in piazza Castello, dove Napoleone e la consorte Joséphine assistettero alle corse dei fantini (28 maggio), ideò l’illuminazione dei giardini pubblici (29 maggio). In collaborazione con l’architetto Canonica, adattò la platea del teatro alla Scala per ospitare la cantata di Vincenzo Monti e Vincenzo Federici e la festa da ballo in onore del monarca (31 maggio; Corriere milanese, 3 giugno 1805).
In vista dell’entrata in Milano del viceré Eugenio di Beauharnais, in compagnia della consorte Augusta Amalia di Baviera (12 febbraio 1806), Sanquirico dipinse l’arco trionfale fittizio disegnato da Luigi Cagnola a Porta Riconoscenza (l’attuale Porta Venezia). Riadattò la residenza estiva del viceré nella Villa Reale di Monza: affrescò il teatrino con fregi e putti neoclassici (1808), dipinse il bureau del viceré e la stanza delle dame (1812).
Il 21 novembre 1807 Napoleone fece una nuova, fugace apparizione a Milano: ad accoglierlo, un arco trionfale a Porta Vercellina, approntato in tutta fretta da Sanquirico e Canonica. Alla Scala l’imperatore assistette all’opera di Ferdinando Paer, Camilla o Il sotterraneo (22 novembre 1807), con le scene di Sanquirico e Pedroni. Di ritorno da Venezia, Napoleone rientrò nella capitale del Regno il 15 dicembre 1807, alle cinque di mattina. Fuori da Porta Romana lo accolse un arco «di grandiosa mole d’ordine corinto», disegnato da Canonica: vi collaborarono il mastro falegname Gaetano Rocca e Sanquirico per gli ornati (ASM, Potenze Sovrane, 187). Coadiuvato da Canonica, Sanquirico fece dell’Arena uno spazio colmo d’acqua dove far circolare le navi (17 dicembre 1807, presente l’imperatore). Addobbò dodici battelli con «ghirlande di fiori, bandiere con scritte in oro». Si occupò persino del vestiario dei figuranti con piume e pennacchi, berretti e tenute alla marinara (ASM, Potenze Sovrane, 187, 1807, cc. non numerate).
Francesco Melzi d’Eril, duca di Lodi, gli commissionò per la sala del biliardo nella sua dimora a Bellagio un trompe-l’œil che l’artista realizzò con paesaggi e volo di rondini sulla volta (1812). All’inaugurazione del teatro Sociale di Como (28 agosto 1813), di Sanquirico furono ammirati la dirompente eruzione del Vesuvio e la morte di Plinio il Vecchio, dipinti sul sipario. L’artista fornì al teatro una dote di quinte e fondali.
I mutamenti politici e il tramonto dell’epopea napoleonica non segnarono la fine di una carriera felicemente avviata ai tempi delle feste repubblicane. Al contrario, l’attività di Sanquirico s’intensificò a tal punto da farne il referente artistico primario in età asburgica. Dall’artista fu conquistato l’imperatore Francesco II, che nel corso del suo soggiorno milanese (31 dicembre 1815 - 8 marzo 1816) frequentò assiduamente la Scala per assistere agli spettacoli firmati dalla coppia Sanquirico - Giovanni Perego (4, 6, 14, 24 gennaio; 12 febbraio 1816). In quello stesso periodo il teatro Sociale di Como rivelò all’imperatore le «magie lacustri», tradotte da Sanquirico con delicato naturalismo sullo sfondo della cantata La felicità del Lario di Giovanni Pacini (9 marzo 1816).
Veloce, duttile e pragmatico, a partire dal 1817 (anno della prematura morte di Perego) Sanquirico ottenne l’incarico di firmare scene, macchine e decorazioni dell’intera produzione del teatro alla Scala. Per tre lustri (1817-32) l’artista fu l’assoluto protagonista della scena scaligera, conferendo a opere e balli un volto scenico spettacoloso. Profondo conoscitore degli stili, alternò sul palcoscenico il gotico, il medioevale, il rinascimentale, e poi l’Oriente, l’Egitto, la Russia, con facilità di mano e rigore pari alla fantasia. La sua cifra stilistica si affermò con la chiarezza: armonia degli spazi, dilatati all’inverosimile attraverso vertiginose prospettive. L’abilità di Sanquirico nel graduare i cromatismi sulle tele fu rimarcata da Stendhal, spettatore alla Scala di un balletto creato dal coreografo Salvatore Viganò: «…quelque grand que Viganò ait été dans le coloris des costumes, M. Sanquirico me semble le surpasser par ses divines décorations. Elles sont telles, que […] personne ne peut même imaginer rien de mieux: c’est la perfection d’un art» (a proposito di Mirra, in Rome, Naples et Florence en 1817, nei suoi Voyages en Italie, Paris 1973, p. 134).
Acclamato da pubblico e critica, Sanquirico mise in scena un vasto e variegato repertorio di opere e balli di autori oggi dimenticati e di compositori poi passati alla storia. Per Gioachino Rossini firmò la prima assoluta della Gazza ladra (31 maggio 1817): le scene furono riprodotte nella Raccolta di varie decorazioni sceniche, una serie di incisioni acquerellate a mano a sua cura che, per promuovere la propria attività teatrale, Sanquirico donò agli illustri committenti (la prima parte uscì nel 1824, ma la serie proseguì fino al 1832, come pure la Nuova raccolta di scene teatrali edite da Giovanni Ricordi, iniziata nel 1827). Alla Scala, Gaetano Donizetti e Vincenzo Bellini si contesero gli onori ed ebbero il medesimo scenografo: Sanquirico. L’esordio del compositore bergamasco, con Chiara e Serafina ossia Il pirata, lasciò scontenti gli spettatori (26 ottobre 1822), ma fu acclamatissima Anna Bolena nel teatro Carcano (26 dicembre 1830), sempre con le scene di Sanquirico. L’esito mediocre di Ugo conte di Parigi (13 marzo 1832) venne compensato dal successo dell’Elisir d’amore, allestito da Sanquirico al teatro alla Canobbiana il 12 maggio 1832. L’impresario Domenico Barbaja affidò allo scenografo il giovane Bellini, approdato da Napoli alla Scala nel 1827. Fu subito trionfo. Il pubblico acclamò la prima assoluta del Pirata (27 ottobre 1827) e della Straniera (14 febbraio 1829). Altri successi ebbero La sonnambula (teatro Carcano, 6 marzo 1831) e Norma (26 dicembre 1831), protagonista Giuditta Pasta, legata a Sanquirico da sincera amicizia (attigue erano le rispettive proprietà sul lago di Como).
L’esuberanza creativa di Sanquirico per il teatro si estese dall’attività scenica a quella progettuale. Per la Scala disegnò il nuovo lampadario (1821, perfezionato nel 1823). In quello stesso periodo immediati consensi suscitò il secondo sipario ('comodino'), calato per inframezzare gli atti, dipinto con «scene villerecce, ove il pennello fiammingo avanza ogn’altro nella vivacità e nella grazia» (Gazzetta di Milano, 27 agosto 1823). Nel 1830 Sanquirico rinnovò completamente il teatro, in collaborazione con Francesco Hayez, autore dei dipinti nella volta, e sotto la supervisione di Canonica. Ridisegnò il palco maggiore, il proscenio e l’arco scenico, dominato da enormi mascheroni; modificò le decorazioni dei parapetti a suo tempo disegnate da Perego, dettò le cromie dei panneggi per i palchi, color celeste in contrasto con l’aranciato dei pochi palchi presenti in proscenio. Lo stile classico di Sanquirico divenne una moda e una garanzia di qualità per i piccoli e grandi teatri che si contesero l’artista per il rinnovo dei decori: il teatro Re di Milano (1822), il teatro della Concordia di Cremona, devastato da un incendio il 6 gennaio 1824 e riaperto pochi mesi dopo (11 settembre 1824); e ancora il teatro Comunitativo di Piacenza sotto le direttive del conte di Neipperg, consorte di Maria Luigia (1827), il Teatro di Varese (1830), il teatro Sociale di Bergamo (1830).
Il 1832 per Sanquirico fu un annus horribilis: a sorpresa l’artista si vide esautorato dall’attività di scenografo alla Scala. Il nuovo appaltatore Teodoro Gottardi nominò un trio di artisti, Domenico Menozzi, Baldassarre Cavallotti e Carlo Ferrari, che non fu in grado di eguagliare la qualità del predecessore. E così, su richiesta del governatore, il conte Franz de Paula Hartig, Sanquirico venne richiamato nel 1833 a vigilare sugli spettacoli con l’incarico di consulente: incarico rinnovato dal governatore Johann Baptist Spaur (sovrintendente alla Scala in quanto teatro imperial regio), che nel 1843 lo nominò consulente generale, in collaborazione con Hayez e Giulio Ferrario (di quest’ultimo illustrò diverse pubblicazioni nel 1824, 1828, 1834, in particolare nella monumentale serie Il costume antico e moderno o Storia del governo, della milizia, della religione, delle arti, scienze ed usanze di tutti i popoli antichi e moderni).
Sanquirico intensificò le collaborazioni con i privati e con le autorità austriache, che lo impegnarono in modo costante in epoca asburgica. Fu l’artefice di omaggi commemorativi a Milano. Canonica e Sanquirico realizzarono imponenti catafalchi per Maria Ludovica d’Asburgo-Este, la giovane sposa dell’imperatore, spentasi a Verona il 7 aprile 1816 (le spoglie furono traslate a Vienna), in S. Fedele, e per il conte Alessandro Annoni (1770-1825), ciambellano di Napoleone, commendatore dell’Ordine di Ferro ed ex direttore dei teatri, in S. Nazaro (13 settembre 1825). Il feldmaresciallo Ferdinand von Bubna (1768-1825), comandante in capo delle truppe austriache in Lombardia, ebbe degne esequie in piazza d’Armi il 23 giugno 1825, con il mausoleo a forma di piramide creato dallo scenografo. L’impegno più commosso dell’artista fu l’estremo omaggio all’imperatore Francesco II, spentosi a Vienna il 2 marzo 1835. A Milano gli furono dedicate tre giornate di cordoglio (7-9 aprile). Sanquirico ideò in tempi stretti un sarcofago in stile gotico collocato in duomo, vegliato da otto leoni dormienti (la forza del vincitore di Napoleone) e dalle raffigurazioni di Giustizia, Temperanza, Prudenza e Costanza (opera di Pompeo Marchesi), e sovrastato dalla raffigurazione della Fede.
L’artista fu maestro nell’arte delle feste e delle accoglienze, che sapevano incantare con rinnovati effetti a sorpresa. Il 24 maggio 1818 curò l’accoglienza a Milano dell’arciduca Ranieri, nominato viceré del Lombardo-Veneto dall’imperatore Francesco II, suo fratello. Non deluse le aspettative di Francesco II in occasione del suo nuovo soggiorno milanese (11-23 giugno 1825). Organizzò feste, riportate nei gazzettini, a palazzo Litta (1825, 1830, 1841), alle Isole Borromee sul lago Maggiore, per far lustro all’ospitalità offerta da Giberto V Borromeo ai sovrani di Sardegna (1828), e nel palazzo della contessa Julija Pavlovna Samojlova (1832).
Dedicò il massimo impegno sia alle opere effimere sia a quelle create nell’illusione di durare. Rese omaggio alla dinastia Borromeo, con gli affreschi della cappella di famiglia in S. Maria Podone a Milano (1825), affrescò in stile neogotico parte della controfacciata, dell’abside e del presbiterio del duomo di Milano (1830-31), come pure la facciata di palazzo Cicogna a Milano (1828), in aggiunta agli interni del castello di Terdobbiate nel Novarese; riprodusse elementi etruschi nel castello del conte Móric Sándor a Bajna, nei pressi di Budapest (ante 1834).
Memorabile fu la festa per l’incoronazione di Ferdinando I re del Lombardo-Veneto, a Milano (6 settembre 1838). Le incisioni acquerellate, raccolte da Sanquirico stesso dopo l’evento, testimoniano il senso di grandezza e lo sfarzo gioioso riversati nell’apparato del rondò di Loreto che accolse il corteo, in duomo e nella sala delle Cariatidi a Palazzo Reale.
Collezionista di armi antiche, nel 1833 vendette a Carlo Alberto re di Sardegna la propria raccolta, assorbita nell’Armeria reale di Torino (1837). Socio onorario dell’Accademia imperiale di belle arti di Vienna (1836) e dell’Accademia di Brera (1844), in tarda età Sanquirico usava ritirarsi sempre più sovente sulle sponde del lago di Como.
Morì a Milano il 13 marzo 1849, all’età di 71 anni, pare a causa dell’assunzione di una sostanza tossica scambiata per una bevanda. Sepolto al Fopponino di Porta Vercellina, il suo nome è ricordato al cimitero Monumentale di Milano tra i «cittadini noti e benemeriti».
Fonti e Bibl.: L. Zuccoli, A. S. (1849), in A. Baudi di Vesme, L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, III, Torino 1968, pp. 961-963; E. Povoledo, A. S., in Enciclopedia dello spettacolo, VIII, Roma 1961, coll. 1483-1487; M. Monteverdi, Scene di A. S. nelle collezioni del Museo teatrale alla Scala, Alessandria 1968; I. Hanl, A. S., scenografo del Teatro alla Scala, in Bollettino del Museo-Biblioteca dell’attore, 1970, nn. 2-3, pp. 27-32; R. Auletta Marrucci, I disegni di A. S. nell’Archivio della Soprintendenza ai BB.AA. di Milano, in Il disegno di architettura, 1999, n. 19, pp. 28-37; M.I. Biggi - M. Viale Ferrero - M.R. Corchia, A. S., «il Rossini della pittura scenica», Pesaro 2007; V. Crespi Morbio, La Scala di Napoleone. Spettacoli a Milano 1796-1814, Torino 2010, ad ind.; Ead., A. S.: teatro, feste, trionfi, 1777-1849 (con saggi di M.I. Biggi, G. Olivero), Torino 2013.