SFORZA, Alessandro
– Nacque a Cotignola il 29 ottobre 1409 da Muzio Attendolo, detto Sforza, e da Lucia di Torsciano, sua concubina di origine perugina, poi sposatasi con Marco Fogliani.
Dalla stessa donna Muzio ebbe anche Francesco (1401-1466) poi duca di Milano, Elisa (1402-1476) poi sposa di Leonetto Sanseverino, Antonia (1404-1471) maritata con Ardizzino da Carrara, Leone (1406-1440) e Giovanni (1407-1451).
Trascorse l’infanzia a Ferrara, poi a Napoli (1415) al seguito del padre e indi nello Stato della Chiesa e poi di nuovo alla corte di Niccolò d’Este. Qui ricevette la prima educazione, ma dal 1420 al 1422 fu nell’entourage fiorentino di papa Martino V (che ne richiese esplicitamente la presenza). Dopo la morte di Muzio (3 gennaio 1424), fu richiamato verosimilmente presso la corte itinerante di Francesco, insieme con gli altri figli di Muzio e di Torsciano.
Nel 1433, ormai ventiquattrenne, collaborò con il fratello Francesco, che rapidissimamente conquistò la Marca di Ancona (da Iesi ad Ascoli): divenne infatti governatore dei territori conquistati, eretti in marchesato e subito riconosciuti dal papa (per strappare Francesco Sforza all’alleanza con Filippo Maria Visconti). Anche la sua corte fu di fatto itinerante, assecondando il policentrismo del nuovo marchesato. Comunque Sforza pose il proprio quartier generale nella rocca del Girfalco di Fermo, da dove siglò molti documenti con il titolo di conte di Cotignola e vicemarchese.
Resero assai travagliato il quindicennio (1433-48) di governo della Marca da parte di Sforza sia le vicende della politica generale italiana (con le continue tensioni tra Firenze, Milano, Roma e Venezia), sia i problemi interni: la gestione dell’eredità politica e partitica delle microsignorie subito collassate (Chiavelli, Smeducci, Varano e Ottoni rispettivamente su Fabriano, San Severino, Camerino e Matelica), la difficoltà di imporre propri podestà, i problemi fiscali e militari connessi alla stanza nelle Marche dei capitani sforzeschi con le loro truppe.
Contemporaneamente, Sforza continuò a svolgere un’intensissima attività militare a fianco e per conto del fratello Francesco. Assediò Serra San Quirico dove fu ferito (luglio 1435), sconfisse a Fiordimonte presso Camerino (23 agosto 1435) il capitano visconteo Niccolò Fortebraccio della Stella, che aveva occupato Assisi e preso prigioniero Leone Sforza. Assediò vittoriosamente Tolentino ribelle (1438), affiancò Francesco Sforza a Rimini (1440) e si trasferì nel regno (a Cellino e a Penne), dove sconfisse Raimondo Caldora (luglio 1441). Le guerre proseguirono nel 1442 dopo la tregua (ottobre 1441) che permise il matrimonio fra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, con attacchi convergenti del papa, dei Visconti e degli aragonesi contro Sforza e Sigismondo Pandolfo Malatesta (che ambiva peraltro a Pesaro e Fossombrone, signorie di Galeazzo Malatesta). Le vicende militari volsero al peggio nel dicembre del 1442 (Alessandro non riuscì a salvare dal saccheggio Assisi assediata da Piccinino) e nell’agosto del 1443; quando le città marchigiane si ribellarono, ma in seguito il ritiro dalle Marche delle truppe viscontee e aragonesi permise agli Sforza di battere l’esercito papale a Monteluro (8 novembre 1443) e poi a Montolmo presso Corridonia (agosto 1444). Pesaro fu lasciata per il momento a Galeazzo Malatesta e Camerino ai richiamati da Varano.
Nel contempo Federico da Montefeltro era succeduto al fratello Oddantonio (assassinato il 22 luglio 1444) nel governo di Urbino e propose un’alleanza (19 ottobre 1444) a Francesco Sforza che prevedeva la tutela del condottiero sulle signorie dei Montefeltro, dei da Varano e di Galeazzo Malatesta. In questi accordi rientrò il matrimonio fra Alessandro Sforza e Costanza da Varano, figlia del defunto Piergentile e di Elisabetta Malatesta, a sua volta figlia di Galeazzo signore di Pesaro (celebrato a Fermo e Camerino tra il 28 novembre e l’8 dicembre 1444). A sigillare l’unione, il 15 gennaio seguente, avvenne la cessione di Pesaro e Fossombrone da parte di Galeazzo Malatesta ad Alessandro Sforza e a Montefeltro dietro corresponsione di una somma di 11.000 fiorini in totale (e non 20.000 fiorini mediati da Francesco Sforza, come vorrebbero più tarde fonti milanesi).
Pesaro (occupata il 13 marzo 1445) era destinata a restare in breve il solo caposaldo sforzesco nelle Marche, perché Eugenio IV proseguì con Aragona e Visconti la sua offensiva riconquistando la Marca; anche la roccaforte del Girfalco a Fermo fu perduta a causa di una rivolta urbana (fine 1445 - inizi 1446). L’esperienza maturata nel governo della Marca fu tuttavia messa a frutto sia da Francesco sia da Alessandro nella gestione di personale di governo, di cancellerie e di podesterie.
Nel contempo Costanza aveva lasciato Camerino e si era trasferita a Pesaro dando alla luce nel 1446, probabilmente nel mese di gennaio, la primogenita Battista. Nel primo anno di governo, Alessandro si mosse abilmente, promettendo al papa un appoggio militare (limitato in realtà alla fornitura di vettovaglie) e ottenendo (estate del 1446) il vicariato o quantomeno una promessa di riconoscimento ufficiale; ciononostante trattò con riguardo estremo cognata e nipoti (Bianca Maria Visconti, Galeazzo Maria e Ippolita) che si trasferirono a Urbino; all’arrivo di Francesco Sforza, che avrebbe dovuto assediare Pesaro, si accordò nuovamente con lui recuperando vari castelli del Pesarese e attaccando Gradara.
L’obiettivo politico dell’anno successivo fu la formalizzazione del governo su Pesaro; dopo un viaggio a Venezia per trattare una nuova condotta, Alessandro a Roma trattò infatti con il nuovo papa Niccolò V, disposto a transigere, e ottenne il vicariato per due generazioni dietro un pagamento di 750 fiorini annui (23 luglio). Nel frattempo, a Pesaro, la reggente Costanza morì (13 luglio) poco dopo aver dato alla luce un figlio, Costanzo (5 luglio). Poche settimane dopo, la partenza di Francesco Sforza per la Lombardia a seguito della morte del suocero Visconti (agosto 1447) rasserenò il pontefice per la sorte delle Marche: tuttavia Alessandro continuò a essere impegnato militarmente a sostegno di Federico da Montefeltro, per il quale recuperò Fossombrone occupata da Sigismondo Pandolfo Malatesta (3 settembre). Del signore urbinate sposò poi la sorella Sveva (gennaio 1448), allora a Roma nella casa materna (era figlia di una Colonna), lasciandola presto a Pesaro come reggente per una lunga fase di impegni militari a sostegno di Francesco nell’Italia padana.
Per i servigi prestati a Caravaggio (nella famosa battaglia del 15 settembre 1448), nel Parmense, all’assedio di Firenzuola contro Piccinino (1449), e in missione a Venezia, fu a fianco di Francesco nell’insediamento in Milano (25 marzo 1450) e ottenne in feudo Torricella (Parma). Rientrò poi per breve tempo a Pesaro, raggiungendo di nuovo Milano dopo una deviazione a Camerino per le nozze di Giulio da Varano e Giovanna Malatesta.
Tornato in Lombardia fu sconfitto dai veneziani tra Cavenago d’Adda e Cerreto (Lodi) il 27 luglio 1452. Quando gli Sforza si schierarono temporaneamente con gli Angiò, nel 1453 fu in soccorso di Firenze alla testa di 2000 soldati milanesi, conquistando ai fiorentini alcuni castelli, e il mancato pagamento delle sue prestazioni lasciò lunghi strascichi, tanto che nel novembre del 1454 Sforza predò come ritorsione drappi serici fiorentini diretti alla fiera di Ginevra per il valore di 8000 ducati; ne scaturì un caso internazionale durato due anni e parzialmente sedato dal fratello Francesco in accordo con i Portinari, agenti medicei. Sforza trascorse tutto il 1455 in Lombardia seguendo da lontano l’azione di Iacopo Piccinino contro la Repubblica Senese.
Per questi anni Sveva Montefeltro resse la signoria di Pesaro in assenza dello sposo, ma il matrimonio fu caratterizzato da una forte tensione tra i coniugi, che scoppiò a meno di un decennio dall’unione, coinvolgendo i parenti romani Colonna e gli Sforza di Milano; infine, nell’agosto del 1457 Sveva prese i voti e si ritirò nel convento delle clarisse del Corpus domini di Pesaro (cenobio che, a riprova della convergente intensità di intenti dei due rami della famiglia Sforza, recava lo stesso nome dell’omologo centro sforzesco cremonese ed era stato creato dalle clarisse milanesi di S. Orsola tutelate da Agnese del Maino, madre della duchessa di Milano).
Irritando il fratello duca, nell’autunno del 1457, Alessandro partì alla volta della Francia dove rimase sei mesi agli stipendi di Carlo VII; proseguì poi il proprio viaggio in Borgogna e nelle Fiandre. A Bruges si avvertì la tensione tra Alessandro – che si appoggiò ai lucchesi Arnolfini – con il banco mediceo locale retto dai Portinari. A fine marzo del 1458 rientrò in Italia passando per la Germania e sostando a Venezia; si portò poi di nuovo a Milano riappacificandosi con il duca.
Partecipando l’anno successivo (insieme con il fratello) alla Dieta di Mantova, Alessandro ebbe modo tra l’altro, oltre che di ottenere una condotta dal papa, di trattare il matrimonio tra Federico da Montefeltro e sua figlia Battista (concordato nel novembre, celebrato nel febbraio del 1460). Contemporaneamente, Alessandro riuscì per qualche tempo a impedire che Iacopo Piccinino raggiungesse (da Cesena e dall’area marchigiana) il Sud per sostenere i baroni antiaragonesi, ma infine Piccinino prevalse e – minacciata Pesaro – si recò a Loreto e poi in Abruzzo, sconfiggendo pesantemente a San Flaviano d’Ascoli (22 luglio 1460) Alessandro e il genero Federico. Ciononostante i due furono confermati come condottieri della Chiesa (gennaio 1462), e Alessandro si riscattò in Abruzzo, contro Iacopo Savelli signore di Palombara, e alla battaglia di Troia (18 agosto 1462), che segnò una pesante sconfitta di Piccinino e di Giovanni d’Angiò. Queste benemerenze gli ottennero da Ferrante II il Ducato di Sora (possesso rimasto sempre virtuale), il titolo di gran connestabile e una pensione. Slegatosi dal pretendente angioino, Iacopo Piccinino cercò di rientrare nelle grazie degli Sforza e incontrò Alessandro ad Archi (agosto 1463). Rimase a lungo nel Regno, specie in Abruzzo e Puglia; nel 1465 accolse a Teramo la nipote Drusiana Sforza, moglie di Piccinino, nel contempo ucciso da re Ferrante con la complicità dei suoi parenti Sforza.
Questa fase sostanzialmente positiva della sua doppia carriera di capitano e di signore fu coronata dall’acquisto, nonostante la lunga assenza dallo scenario marchigiano e romagnolo, di Gradara e Castelnuovo (febbraio 1464). Ma nel 1466 la morte di Francesco Sforza e di Pio II modificò gli equilibri italiani e obbligò Alessandro Sforza a riposizionarsi, allontanandosi dall’asse Milano (ove regnava suo nipote Galeazzo Maria)-Firenze-Napoli, lasciando perdere i suoi cospicui crediti verso Ferrante; e schierandosi con Venezia (dalla quale ottenne una doppia condotta per sé e il figlio Costanzo, 18 febbraio 1467) e con Bartolomeo Colleoni. Perno della discordia era il controllo su Bologna, desiderato dal papa; la battaglia della Riccardina presso Bologna (25 luglio 1467), cui Alessandro prese parte, fu peraltro senza esito. La successiva campagna combattuta per Venezia e per il papa (ostili alla successione di Roberto Malatesta al padre) fu ancor meno fortunata: dopo un iniziale successo, Sforza fu sconfitto e ferito a Mulazzano (30 agosto 1468); dovette difendersi in Senato, ma fu multato di 10.000 fiorini e licenziato.
L’opzione prudenziale di Alessandro fu allora di diversificare, lasciando a Costanzo la condotta papale (30 maggio 1470) e accostandosi al nipote duca di Milano, che gli impose di risiedere nella capitale (luglio 1470). Qui ottenne (9 ottobre 1470) la casa già dei Premenugo sul corso di Porta Nuova (ora via Manzoni), presso il convento dell’Annunciata che più volte, fin dal 1457, aveva ospitato Sforza e Federico da Montefeltro nelle loro visite in Milano. Per breve tempo ricoprì (assente il duca) la carica importante di governatore di Milano, ma la salute dell’ormai ultrasessantenne capitano mostrava la corda, dopo una vita di strapazzi.
Di comune accordo con il duca, cedette la condotta milanese al figlio Costanzo e rientrò a Pesaro nell’agosto del 1471. Seguì l’improvvisa morte della figlia Battista, signora di Urbino (6 luglio 1472), un successivo peggioramento di salute (causato anche dalla caduta da una finestra), che provocò il rapido rientro da Milano di Costanzo, e la decisione, dopo un illusorio miglioramento, di trasferirsi contro il parere dei medici a Venezia, alla Giudecca. Ma durante il viaggio, a Torre della Fossa, a pochi chilometri da Ferrara, Alessandro morì per una crisi respiratoria il 3 aprile 1473. La salma fu inumata nella chiesa di S. Giovanni Battista a Pesaro, retta dai minori osservanti. Un Ordine, quest’ultimo, al quale Sforza si era particolarmente legato fin dagli incontri fermani con il frate minore Giacomo della Marca, seguace di Bernardino da Siena.
Oltre all’erede legittimo e collaboratore Costanzo, Alessandro Sforza generò diversi illegittimi (da madri ignote, anche se Alessandro ebbe per diversi anni una relazione con la riminese Pacifica Sampieri, fatta sposare prima con Pier Ludovico Piemontesi, cortigiano di Sforza, poi con il celebre medico Gasparino degli Ardizzi; la donna, rimasta vedova nel 1476, divenne terziaria domenicana). Delle figlie, tentò di gestire politicamente i matrimoni: Ginevra (1440-1507) fu sposata nel 1454 a Sante Bentivoglio, consolidando l’alleanza tra gli Sforza e i signori di Bologna (rimasta vedova nel 1463, si risposò nel 1464 con Giovanni II Bentivoglio, cugino del defunto); Antonia fu sposata tra il 1468 e il 1469 con il nobile bresciano Ottaviano Martinengo, nella fase filoveneziana della politica paterna. I maschi naturali furono due: Ercole e Carlo, che tentò di impadronirsi della signoria alla morte del fratellastro Costanzo (1483).
Un cenno a parte va infine dato a proposito di Sforza mecenate, letterato, governante consapevole dell’importanza della bellezza e della magnificenza per la creazione del consenso. Di questi aspetti Sforza si curò sin dalle prime fasi della sua attività: gli apparati effimeri per gli ingressi di Francesco Sforza nelle cittadine marchigiane assoggettate, i festeggiamenti per le nozze di Isotta Sforza con il duca d’Atri (1439) e la decorazione delle sale del Girfalco a Fermo per accogliere Francesco e Bianca Maria (1443). Fu anche proprietario del palazzo di Schifanoia a Ferrara fino al 1458. Ma è particolarmente significativa l’attività urbanistica a Fermo (sistemazione della piazza maggiore, 1438-42) e soprattutto a Pesaro (ristrutturazione e rafforzamento delle mura, 1450; ricostruzione del palazzo di città, dal 1462, e della chiesa dei minori osservanti, 1465, poi sacrario degli Sforza di Pesaro; costruzione della villa extraurbana dell’Imperiale, 1469, dove la prima pietra fu posta da Federico III). Fu lui a ingaggiare per primo Luciano Laurana (1465), poi spostatosi a Urbino; chiamò il pittore squarcionesco Marco Zoppo per l’altare maggiore della chiesa francescana osservante (1471).
Alessandro guardava lontano: durante il viaggio in Borgogna commissionò ritratti (di sé e dei figli) e un trittico alla bottega di Rogier Van der Weyden; cercò di procurarsi un Mantegna, adocchiò i giovani Antoniazzo Romano e Melozzo da Forlì. Fu poi un grande bibliofilo, come ricorda Vespasiano da Bisticci (Vite di uomini illustri..., a cura di P. D’Ancona-E. Aeschlimann, 1951), si procurò libri a Firenze, Milano, Venezia, Bologna, e creò uno scriptorium a Pesaro. Ebbe a modello la biblioteca visconteo-sforzesca di Pavia, e mise insieme alla fine 437 volumi (fra i quali Ciriaco d’Ancona, Giovanni Marcanova, i migliori e più aggiornati umanisti). A differenza di quanto da tempo ipotizzato, la biblioteca non fu completamente distrutta nel 1514, ma verosimilmente fu dispersa a partire dalla fuga di Giovanni Sforza da Pesaro nel 1501; alcune decine di volumi si trovano a Bologna, Cambridge, Princeton, Firenze, Londra, Parigi, Roma. Infine, fu poeta egli stesso, come attesta un canzoniere conservato alla Bibliothèque nationale de France (It., 561; edizione: A. Sforza, Il canzoniere, a cura di L. Cocito, Milano 1973).
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