TESAURO, Alessandro
TESAURO, Alessandro. – Nacque a Fossano (Cuneo) nel 1558 da Antonino e da Dorotea Capris; il padre era un esponente di una delle famiglie più ragguardevoli del Ducato di Savoia, nota tra le principali del territorio fossanese già dal XIV secolo.
L’avo Antonio (1483-1564) fu protomedico alla corte sabauda ed esercitò medicina e astrologia anche al servizio di Carlo V, che nel 1524 per i suoi servigi lo nominò conte palatino; della sua fama e della sua competenza come astrologo (in realtà piuttosto ciò che oggi si definirebbe meteorologo) è traccia in una lettera a lui indirizzata da Girolamo Muzio (la XIII del libro I). Nel 1556 acquistò nel fossanese una porzione del feudo di Salmour e nel 1561 fu nominato da Emanuele Filiberto tra i riformatori dello Studio di Mondovì; alla sua morte l’eredità fu trasmessa all’unico figlio maschio, Antonino, la cui nascita data tra il 1526 e il 1527. Questi fu magistrato e dal 1554 senatore alla corte di Emanuele Filiberto; nel 1561 acquisì altre porzioni del feudo di Salmour e ne ottenne l’ufficiale investitura il 19 agosto 1562. Dal matrimonio, di cui non è nota la data, nacquero, oltre al primogenito Alessandro, due figlie femmine e altri due maschi, Gaspare Antonio (1563) e Marcantonio (1566): il primo, addottorato in giurisprudenza, seguì le orme del padre, sia come legista e lettore all’Università torinese sia come senatore; il secondo, cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro, intraprese invece la carriera militare e morì in battaglia nel 1592.
Della giovinezza di Alessandro non si hanno particolari notizie: la sua educazione si svolse interamente all’interno del Ducato sabaudo; rispetto alla tradizione di famiglia, non coltivò lo studio delle leggi, ma conservò invece interesse per l’astrologia. In alcune lettere scambiate in età matura con il cardinale Federico Borromeo diede qualche ragguaglio sulla sua formazione, citando tale Giovan Battista Rusca come proprio precettore e indicando nell’opera di Vitruvio e nel De re aedificatoria di Leon Battista Alberti i testi che lo appassionarono alla scienza architettonica; degli studi letterari e dell’interesse per l’arte musicale testimonia invece la principale opera per cui è conservata memoria di lui, il poemetto didascalico La sereide.
L’opera, di cui andarono in stampa i primi due libri nel 1585 (a Torino presso gli eredi Bevilacqua), era concepita, in ossequio al modello delle Georgiche virgiliane, in quattro libri, nei quali avrebbe dovuto essere illustrato l’intero ciclo della sericoltura: nel primo libro le varie fasi della vita del baco da seta; nel secondo le modalità dell’allevamento e della coltivazione dei gelsi; nel terzo la lavorazione della seta e nel quarto la drappeggiatura e tintura dei tessuti.
Il poemetto venne dedicato all’infanta Catalina, Caterina d’Asburgo, che appunto nel 1585 andò in sposa al duca Carlo Emanuele: si trattò dunque di un omaggio del giovane vassallo, il quale avrebbe anche avuto l’onore di accogliere il corteo nuziale che nel viaggio tra Nizza e Torino fece sosta anche a Fossano. La sericoltura era in quegli anni ritenuta attività di importanza strategica per il Ducato e già nel 1565 il duca Emanuele Filiberto aveva dovuto disporre interventi legislativi per far fronte al disavanzo della bilancia commerciale per l’eccessiva importazione di panni di seta, sia stabilendo una normativa che regolamentava le fogge d’abbigliamento consentite ai sudditi in relazione al loro rango sociale, sia vietando esplicitamente l’importazione di panni serici. Alla duchessa Caterina, negli anni seguenti al suo insediamento, venne direttamente affidato il compito di promuovere la bachicoltura e la produzione di seta greggia destinata al mercato lionese: la Sereide rappresentò dunque un episodio di tale strategia promozionale, che doveva necessariamente passare anche attraverso la formazione di una manodopera specializzata e la diffusione presso la popolazione rurale di nuove competenze che andassero a integrare quelle dell’agricoltura tradizionale.
Il poemetto, benché esordio letterario dell’autore, mostra una già scaltrita personalità, anche aggiornatissima sulle novità letterarie dell’epoca, considerate le frequenti citazioni tassiane, non soltanto dall’Aminta ma addirittura dalla Gerusalemme liberata, andata in stampa proprio in quello stesso anno. Al di là della perizia nel trattare la non facile materia didascalica (ma sorreggeva la possibilità di servirsi del De bombice di Marco Girolamo Vida, liberamente volgarizzato in più punti), l’opera di Tesauro offre numerosi spunti interessanti, utili anche a meglio definire la situazione culturale del Ducato negli anni immediatamente precedenti la grande stagione letteraria della corte di Carlo Emanuele I: l’elogio della cultura fondata sull’esperienza (I, vv. 671-771) per cui anche l’«incolto e rozzo» contadino può acquisire una serie di competenze simili a quelle che anche «spiriti eccelsi e pellegrini» riescono a conseguire «con molti studi e con fatiche»; la digressione politica (I, vv. 1183-1216) in cui si contrappone alla rigida organizzazione gerarchica dell’alveare la «bella libertade» di cui godono i bachi vivendo tra loro in piena concordia e in armonia; alcuni spunti cronachistici come il racconto dell’inondazione di Ceva (II, vv. 331-387), o dell’infermità di Carlo Emanuele (II, vv. 430-532), o una curiosa descrizione del sabba (II, vv. 760-828); e infine, a chiusa dell’opera, l’elogio dell’Italia (II, vv. 1468-1647) e del Piemonte (II, vv. 1648-1776).
L’esordio nell’agone letterario fu dunque oltre modo positivo, ma in realtà tale attività venne considerata da Tesauro niente più che un cimento giovanile, o meglio, un tratto utile alla formazione di quel ‘perfetto gentiluomo di corte’ che in lui anni dopo riconobbe Giovanni Botero. Ai due primi libri della Sereide si interruppe di fatto la sua attività letteraria, ridotta in seguito alla sola composizione occasionale di sonetti encomiastici da pubblicarsi in limine a edizioni di amici e conoscenti (tra cui uno scambio di sonetti con Isabella Andreini) e ora tutti raccolti nella monografia dedicatagli da Igor Ferraro (2016, pp. 98-105). La prova di maggior respiro, inedita fino alla fine dell’Ottocento (Sanesi, 1894, pp. 336-338), è una coppia di sonetti indirizzati a Carlo Emanuele I per celebrare l’evento del ritrovamento a Ginevra, durante gli scavi per l’ampliamento del locale forte di S. Maurizio, di una statua di Pallade loricata di fattura romana; ma il maggior contributo in ambito letterario successivo alla Sereide fu piuttosto la promozione, a proprie spese, della pubblicazione, nel 1607, della Primavera di Botero, accompagnata da una dedicatoria indirizzata «al Serenissimo Carlo Emanuel Duca di Savoia».
Paradossalmente l’abbandono dell’attività letteraria fu proprio conseguenza del successo della Sereide presso la dedicataria duchessa Caterina che, apprezzando l’omaggio e le doti del cortigiano piemontese insistette per favorire l’altra passione da lui coltivata, ovvero quella dell’architettura. In particolare, dopo la morte del padre Antonino, nella primavera del 1593, e il conseguente più assiduo impegno in corte, la duchessa commissionò a Tesauro l’incarico di provvedere a importanti lavori di restauro e ampliamento del castello di Fossano. Negli anni successivi si hanno notizie (tutte documentate in Ferraro, 2016) di un suo progetto per il Santuario di Vicoforte, poi scartato in favore di quello di Ascanio Vitozzi (che nutriva per Tesauro stima, tanto da ritenerlo «intelligentissimo in architettura» secondo una testimonianza contemporanea, riferita da Berra, 1935, e da Ferraro, 2016, p. 173); di altri progetti di ingegneria idraulica, in particolare per una diversione del torrente Pellice; e di lavori di completamento della villa suburbana di Mirafiori, della cui manutenzione a partire dal 1602 si occupò con regolare stipendio con il titolo di «conservatore». Un altro importante incarico, per il quale collaborò direttamente con il Vitozzi, fu l’allestimento dell’apparato funerale della duchessa, morta di parto il 7 novembre 1597. La fama della competenza del Tesauro in materia di architettura varcò comunque i confini del Ducato sabaudo come testimoniato da notizie di importanti consulenze che gli furono richieste o per le quali fu proposto, come ad esempio al cardinale Pietro Aldobrandini, segretario di stato di Clemente VIII, per un progetto relativo al rafforzamento degli argini del Tevere a Roma; sono inoltre documentate (si leggono in Ferraro, 2016) sue consulenze rese all’arcivescovo di Bologna Alfonso Paleotti per un progetto di rifacimento alla cattedrale cittadina di San Pietro e al cardinale Federico Borromeo per la costruzione della Biblioteca Ambrosiana. Realizzazioni concrete sulla base di progetti redatti dal Tesauro si ebbero invece nel territorio del proprio feudo: la chiesa di S. Pietro e il palazzo Tesauro a Salmour e altri edifici in Fossano. Inoltre, dopo aver acquisito il titolo comitale nel 1608 (le ultime porzioni del feudo furono da lui acquistate nel 1602), il Tesauro progettò anche il proprio monumento funebre, eretto al momento del decesso nella cappella di famiglia all’interno della chiesa di S. Francesco a Fossano, ormai distrutta.
Della sua opera architettonica si è occupato diffusamente Igor Ferraro: ne caratterizza lo stile nell’essenzialità delle forme e nell’austera riduzione al minimo indispensabile dei dettagli decorativi; il rigore di impronta palladiana dei suoi lavori risulta particolarmente evidente nel progetto per il santuario di Vicoforte, ove la preferenza per la pianta centrale si pone in alternativa al canone che andava imponendosi per gli edifici sacri, mirando a «una sorta di sintesi tra la classicità tardo rinascimentale e il cattolicesimo controriformista» (Ferraro, 2016, p. 45).
Come l’attività letteraria, anche quella nel campo dell’architettura venne svolta dal Tesauro non in chiave professionale ma come una passione erudita utile a comporre il quadro del modello perseguito di perfezione cortigiana, a realizzare compiutamente la figura di gentiluomo al servizio del duca e di signore del proprio feudo. In tale prospettiva si potrebbe quasi affermare che la miglior riuscita di Tesauro sia stata nelle vesti di padre di famiglia. Non è nota la data del suo matrimonio con Margherita Mulazzi (1562-1615), le cui note di capitolato datano però al 1582, ma se ne conoscono ben nove figli: il primogenito Filiberto ereditò i beni paterni senza che il feudo venisse suddiviso; Ludovico e Carlo Antonio furono docenti all’Università di Torino, il primo occupò anche un seggio nel Senato torinese e fu autore di opere letterarie, di cui la più nota fu l’intervento in difesa della poesia di Giovan Battista Marino in occasione della polemica suscitata da Ferrante Carli (Ragioni del conte Lodovico Tesauro in difesa d’un sonetto del cavalier Marino); Lorenzo intraprese la carriera militare, Stefano e Teodoro quella ecclesiastica; infine, oltre a due figlie femmine (Clara Margherita e Dorotea) maritate con apparentamenti a famiglie dell’aristocrazia locale, il suo discendente più famoso fu senz’altro l’ultimogenito, Emanuele, gesuita e letterato di gran fama.
A completare il quadro delle sue attività non vanno dimenticati i servizi diplomatici resi su commissione del duca Carlo Emanuele: per lo più venne impiegato a comporre liti in materia di stabilimento dei confini tra comuni del Ducato, ma ebbe anche un incarico di maggiore prestigio nell’autunno del 1608, quando fu inviato prima a Modena e poi a Milano per partecipare, in nome del duca sabaudo, alla soluzione della controversia relativa allo stato di Sassuolo, conteso tra il duca di Modena Cesare d’Este e gli eredi di Marco Pio di Savoia, già proprietario del feudo. Un ultimo importante progetto alla cui elaborazione partecipò fu quello relativo alla Grande galleria voluta da Carlo Emanuele, embrione dell’attuale Biblioteca reale torinese: non si trattò in questo caso (ma analoga considerazione vale anche per la consulenza relativa alla Biblioteca Ambrosiana) di far valere soltanto competenze in materia architettonica, ma piuttosto quelle in ambito bibliografico, come si evince anche dalla richiesta da lui indirizzata a Giulio Cambiano di provvedergli l’opera di Guillame Budé; e non è azzardato ipotizzare, visti i rapporti intrattenuti dal nonno con Girolamo Muzio, che Tesauro potesse vantare qualche competenza relativa al teatro di Giulio Camillo, per il quale (e per gli esoterici principi che ne sorreggevano l’ideazione) è noto l’interesse manifestato dal duca.
Intorno agli ultimi anni di vita di Tesauro non si hanno particolari notizie: nel 1615 venne a mancare la moglie e, più o meno nel medesimo periodo, morì anche il figlio Lorenzo, nel corso della prima guerra del Monferrato. Verosimilmente si ritirò a vita privata nella natia Fossano, ove si spense il 14 dicembre del 1621.
Opere. Della Sereide d’Alessandro Tessauro. Alle nobili & virtuose Donne Libri II, In Turino, Appresso l’Herede del Bevilacqua, 1585, Vercelli 1777; La Sereide, a cura di D. Chiodo, Torino 1994.
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