TIARINI, Alessandro
Nacque a Bologna da Giovanni e da Cristina Marsili il 20 marzo 1577 (Scritti originali, ante 1678, 1983, p. 318).
Sensibile interprete della pittura seicentesca bolognese e autore tra i più prolifici, si formò con Prospero Fontana, e alla morte di questi, nel 1597, dopo aver inutilmente cercato di entrare nel novero degli allievi di Ludovico Carracci, fu accolto nella bottega di Bartolomeo Cesi. Tra il 1598 e il 1599, a causa di un banale litigio, decise di recarsi a Firenze, dove, secondo Carlo Cesare Malvasia, rimase per sette anni. La scelta della città toscana deve essere stata dettata da ragioni professionali, probabilmente per la forte concorrenza degli allievi di Ludovico e la conseguente difficoltà a inserirsi nel mercato bolognese (Benati, 2001, I, p. 28).
Tiarini si immatricolò nell’Accademia del disegno di Firenze il 23 febbraio 1599; nel documento si precisa che «sta col Passignano» (Pevsner, 1932-1934, p. 129). Le quote d’iscrizione all’Accademia vennero pagate nel 1601, 1602, 1604, 1605 e 1606. La collaborazione con Passignano prima, e con Poccetti poi, lo portò a eseguire un buon numero di dipinti, soprattutto pale d’altare, nei quali mostra di aver fatto suo il naturalismo dei riformati toscani. La prima pala eseguita in autonomia dovrebbe essere il S. Michele arcangelo che scaccia gli angeli ribelli (Colle di Buggiano, pieve di S. Lorenzo), che riflette i modi del Passignano. In seguito, tra il 1602 e il 1604, Tiarini portò a termine tre lunette ad affresco nel convento di S. Marco a Firenze (B. Ghelfi, in Benati, 2001, II, pp. 8-10, nn. 3-5), mentre nei primi anni del Seicento licenziò opere destinate a chiese del territorio toscano, tra cui il Martirio di s. Lorenzo per la chiesa di S. Andrea a Montecarlo (Lucca); S. Pietro liberato dal carcere nella chiesa dei Ss. Stefano e Nicolao a Pescia; S. Brigida in preghiera tentata dal demonio, S. Brigida che accoglie una novizia e un Miracolo alla tomba di s. Brigida per la S. Frediano a Pisa.
Gli impegni fiorentini non gli impedirono di continuare a lavorare per committenti bolognesi: nel 1601 la sua Madonna del santuario di Mondovì con i ss. Giovannino, Giacomo, Francesco di Paola e una donatrice venne collocata nella cappella Bolognini nella basilica di S. Maria dei Servi (ibid., pp. 11 s., n. 7), mentre il 1608 rappresenta il termine ante quem per l’esecuzione della Madonna col Bambino e s. Francesca Romana nella cappella Foscherari in S. Petronio (Benati, 2001, II, pp. 19 s., n. 19). Benché Malvasia ricordi una lettera del 1607 nella quale Ludovico Carracci invitava Tiarini a rientrare a Bologna per rinforzare la compagine dei pittori felsinei (Malvasia, 1678, 1841, II, p. 123), la decisione di ristabilirsi in città deve aver preceduto di poco il matrimonio, avvenuto il 6 febbraio 1612, con Caterina Musi Bargellini. Da lei ebbe almeno dieci figli: Carlo (nato il 26 dicembre 1612), Antonio (18 maggio 1615), Francesco (28 giugno 1616), Giulio (17 novembre 1617), Giovan Antonio e Giuliana (11 marzo 1619), Giuseppe (19 novembre 1621), Lucia (20 gennaio1624), Barbara e Margherita (7 settembre 1626).
Tiarini era in grado di rendere, attraverso un’esposizione chiara e dettagliata, il significato letterario del testo sacro e di coinvolgere il fedele, che nel quadro «vede effigiati i propri casi quotidiani e, cosa ancora più importante, vi trova lo spunto per collocarli entro un ordine morale e accedere a una prospettiva superiore» (Alessandro Tiarini, 2015, p. 122). Fu grazie alla capacità di veicolare la verità di fede con una gestualità ostentata e di escogitare convincenti accorgimenti narrativi che nel corso del secondo decennio Tiarini venne chiamato a realizzare prestigiose imprese decorative per chiese bolognesi. Nel 1612 eseguì la Presentazione di Maria al tempio per l’altare Fuzzi in S. Maria dei Servi, mentre l’anno successivo firmò e datò l’affresco con il Monaco disobbediente dissotterrato e assolto nel chiostro ottagonale di S. Michele in Bosco, dove i mezzi espressivi dei riformati toscani e l’attenta progettazione disegnativa si sposano con il linguaggio carraccesco (B. Ghelfi, in Benati, 2001, II, pp. 37-39, n. 53; Alessandro Tiarini, 2015, p. 119). Entro il 1614 deve collocarsi anche il S. Bruno ritrovato da Ruggero re di Sicilia già nel monastero di S. Girolamo alla Certosa (Bologna, Pinacoteca nazionale; Fiori, 2008).
Tra il 1614 e il 1615 fu la volta di una delle sue migliori prove: il S. Domenico che resuscita un neonato per la cappella dell’Arca nella chiesa di S. Domenico, pagato 600 lire tra il novembre 1614 e il giugno 1615 (Benati, 2001, II, pp. 45-47, n. 67). Ancora nel 1614 portò a termine cinque episodi della vita di s. Carlo Borromeo nella cappella dedicata al santo in S. Michele in Bosco (B. Ghelfi, in Benati, 2001, II, pp. 42 s., nn. 58-63). Nell’agosto del 1616 consegnò Ester davanti ad Assuero e Giuditta e Oloferne alla chiesa di S. Maria di Canepanova a Pavia. Nel 1617 firmò e datò il Compianto su Cristo morto per la chiesa di S. Antonio abate del Collegio Montalto (Bologna, Pinacoteca nazionale; Ghelfi, 2008). Lavorò ancora per Pavia nel 1618 firmando la Decollazione del Battista nell’oratorio di S. Rocco (Milano, Pinacoteca di Brera). Il 21 marzo 1618 risultava tra i membri del Consiglio della Congregazione dei pittori di Bologna, insieme a Ludovico Carracci, Guido Reni, Bartolomeo Cesi, Lucio Massari, Francesco Brizzi e Giacomo Cavedoni (Malaguzzi Valeri, 1897, p. 307).
Disegnatore fecondo in grado di assimilare la limpidezza compositiva e la regolarità di segno del Passignano, ma anche l’attenzione per il vero di Ludovico Carracci, le sue prove più felici sono da ravvisare nelle articolate composizioni d’insieme di grande vivacità ed equilibrio formale (B. Ghelfi, in Benati, 2001, I, p. 176). Nato «per fare istorione grandi» (Scritti originali, ante 1678, 1983, p. 290), nel giugno del 1618 si accordò con i soprastanti del Sacro Monte di Pietà di Reggio Emilia, eredi della contessa Camilla Ruggeri Brami, per la decorazione di una cappella nella basilica della Ghiara. Fu l’inizio della fruttuosa attività reggiana: mentre venne temporaneamente accantonato il progetto per la cappella Brami, il 12 dicembre dello stesso anno gli amministratori della Ghiara deliberarono di far dipingere al pittore il braccio occidentale della chiesa, impresa per cui ricevette 500 ducatoni in tre rate (Artioli - Monducci, 1982). Il 31 dicembre 1618 Tiarini scriveva a Stefano Scaruffi ringraziandolo per avergli favorito la prestigiosa commissione (Monducci, 2000, pp. 341 s., doc. 18). L’assenza a Reggio di una scuola locale, la vivacità culturale e la floridezza economica della città ne facevano un territorio aperto alle sperimentazioni (Benati, 2001, I, p. 80). Negli sfondati grandi dei bracci della chiesa Tiarini mise in scena le storie delle eroine dell’Antico Testamento che prefiguravano la Vergine, a cui è dedicato l’edificio. Raffigurò Debora e Barak, Anna presenta al tempio Samuele, Abisag serve a mensa David, mentre negli sfondati più piccoli inserì due angeli uno con vaso di profumi e l’altro con la mirra, due putti con fiori e con un cedro e una coppia di cherubini che reggono la porta del Cielo (ibid., II, pp. 62 s., nn. 87-94). I pagamenti, corrisposti tra il 2 marzo e il 17 maggio 1619, testimoniano un lavoro condotto velocemente e senza ripensamenti. Solo una volta portati a termine gli affreschi nel braccio occidentale l’artista si dedicò alla cappella di Camilla Ruggeri Brami. Da un accordo del giugno 1618, sottoscritto con i soprastanti del Monte di Pietà, si apprende che la decorazione avrebbe dovuto includere quattro miracoli di s. Francesco nei pennacchi, otto angeli e un «Crucifisso con angeli» nella cupola (Artioli - Monducci, 1970, pp. 178 s., doc. XXXVI). Il pagamento venne concordato in 130 ducatoni, da versare in tre fasi. In seguito, per ragioni non chiare, il programma iconografico venne modificato e Tiarini raffigurò quattro Sibille nei pennacchi, e nei tre cerchi concentrici che ripartiscono la volta il Trionfo della Croce, otto angeli con i simboli della Passione e otto virtù. La decorazione venne eseguita velocemente tra l’8 giugno e il 25 novembre del 1619 (Monducci, 1998, p. 252; Benati, 2001, II, pp. 64-67, nn. 95-115).
Prima di recarsi a Reggio il pittore aveva portato a termine la Sacra Famiglia con i ss. Francesco, Giovannino e Michele arcangelo (San Pietroburgo, Ermitage), la cui datazione si ricava da un passo della Felsina pittrice di Malvasia: nell’accennare alle trattative con i fabbricieri della Ghiara per l’esecuzione del primo gruppo di affreschi il biografo scriveva che in quel momento Tiarini stava eseguendo la pala per il cugino Cornelio Malvasia (B. Ghelfi, in Benati, 2001, II, p. 59, n. 86). Il 1619 rappresenta il termine ante quem per l’esecuzione del Pentimento di s. Giuseppe all’altare Monticelli nella chiesa di S. Maria della Pietà dei Mendicanti a Bologna (Parigi, Louvre): il dipinto, infatti, fu ammirato da Ludovico Carracci prima della sua scomparsa avvenuta in quello stesso anno (ibid., pp. 52 s., n. 76). Il 13 novembre 1620 Francesco Scaruffi scriveva al cardinale Alessandro d’Este pregandolo di raccomandare Tiarini ai canonici del duomo di Reggio affinché gli venisse affidata l’esecuzione degli affreschi della cupola, che poi, nonostante accordi documentati con il capitolo della cattedrale, non furono mai eseguiti (Venturi, 1883; Artioli - Monducci, 1978, p. 79; Monducci, 2000, pp. 346 s., docc. 30-31). Nel 1620 e nel 1624 Tiarini rivestì la carica di massaro della Compagnia dei pittori a Bologna e tenne un’Accademia del nudo in via Mirasole Grande (l’attuale via Solferino; Scritti originali, ante 1678, 1983, p. 319).
Nei primi anni Venti egli fece la spola tra Bologna e Reggio, e grazie alle numerose imprese artistiche per luoghi pubblici contribuì a rinnovare la fisionomia artistica della seconda città (Alessandro Tiarini, 2015, p. 125). Nel 1622 eseguì l’Elevazione della Croce per l’oratorio dell’Invenzione della Croce (Modena, Galleria Estense), mentre il 7 agosto 1624 i fabbricieri della Ghiara gli affidarono la decorazione del catino absidale della basilica, versandogli una caparra di 800 lire (Artioli - Monducci, 1970, p. 182, doc. XLIX; Monducci, 1998, p. 260). Nello stesso anno firmò e datò il Miracolo dell’olio bollente e la Morte di s. Giovanni Evangelista per il canonico Silvestro Menghi, collocati nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, e nel 1625 il Martirio di s. Barbara per S. Pietro (Benati, 2001, II, pp. 78-80, nn. 133-134, pp. 82 s., n. 137). Il 1624 rappresenta anche il termine ante quem per l’esecuzione della Fuga in Egitto un tempo in S. Tommaso di Strada Maggiore a Bologna, oggi nella chiesa dei Ss. Vitale e Agricola (Bigi Jotti - Zavatta, 2004).
Iniziato nel 1626 con la realizzazione dell’Incoronazione della Vergine nel casino absidale, il lavoro alla Ghiara s’interruppe a causa di un’improvvisa malattia del pittore. Egli trascorse la convalescenza presso i padri serviti di Scandiano, per i quali dipinse S. Antonio abate destinato alla chiesa dell’ospedale e distrutto durante il secondo conflitto mondiale, e sette stendardi a chiaroscuro, anch’essi dispersi (Monducci, 2000, p. 353, doc. 65). La data 1626 è riportata anche nel portale in marmo che conclude lo scalone della Scuola di filosofia del monastero di S. Sisto a Piacenza, dove l’artista eseguì, in collaborazione con il Fiamminghino, quattro affreschi con storie benedettine (B. Ghelfi, in Benati, 2001, II, pp. 90 s., nn. 147-150).
Al dicembre dello stesso anno si data la lettera di Alfonso III duca di Modena a Camillo Bevilacqua, governatore di Reggio, in cui si richiedeva che Tiarini interrompesse il lavoro alla Ghiara per recarsi a Modena (Monducci, 2000, p. 354, doc. 70). Tra la fine del 1626 e l’inizio del 1627 il maestro era a Modena con l’allievo Luca Ferrari per eseguire il ritratto del principe Francesco, opera per la quale venne retribuito con 234 lire (ibid., p. 354, doc. 71).
Risale al 1627 la decorazione della chiesa di S. Alessandro a Parma, commissionata dalla duchessa Margherita de’ Medici Farnese e realizzata in collaborazione con Angelo Michele Colonna (Ghidiglia Quintavalle, 1966, p. 44 nota 7). Nella cupola trovano posto il Cristo risorto che appare alla madre e gli angeli con i simboli della Passione, mentre nella finta ancona posta alla parete destra del presbiterio vennero eseguiti il Martirio di s. Alessandro papa e tre figure femminili (Benati, 2001, II, pp. 92-94, nn. 152-157). Tiarini era ancora a Parma nel 1628 quando, il primo dicembre, venne ricompensato con 300 scudi per avere affrescato la sala di Erminia nel palazzo del Giardino con Erminia che incontra Tancredi sulla via di Gerusalemme ed Erminia che narra a Vafrino il suo amore per Tancredi, episodi tratti dal XIX canto della Gerusalemme Liberata (B. Ghelfi, in Benati, 2001, II, pp. 95-97, nn. 161-163). Secondo Nancy Ward Neilson il 14 luglio del 1628 gli venne commissionata l’Invenzione del Rosario per l’altare della confraternita del Rosario nella chiesa di S. Domenico a Cremona, consegnata intorno al 1629-30 e pagata 450 ducatoni; tuttavia Adam Ferrari, rileggendo le testimonianze documentarie, ne ha anticipato l’esecuzione al 1624-26 (Ward Neilson, 1987, p. 78; Ferrari, 2016).
La ripresa dei lavori alla Ghiara avvenne solo intorno al 1628-29, quando l’artista realizzò nel sottarco del presbiterio la Cacciata di Lucifero e i due profeti David e Salomone (Benati, 2001, II, pp. 91 s., n. 151; p. 100, nn. 167-169). Il 18 giugno 1629 venne retribuito per la Visione di s. Francesco destinata all’altare Pagani nella stessa basilica, ultimata entro il giugno 1630, per la quale fu pagato 130 ducatoni (Monducci, 1998, pp. 357 s., n. 503; B. Ghelfi, in Benati, 2001, II, pp. 102 s., n. 172).
Nello stesso 1629 ricevette dai Parisetti, titolari della cappella dei Ss. Antonio e Genesio nella chiesa di S. Prospero a Reggio, 300 lire per la Sacra famiglia adorata dai ss. Luigi, Genesio e Antonio di Padova, conclusa solo dieci anni più tardi, nel novembre del 1639, quando gli vennero corrisposte 530 lire a saldo. Tra la primavera e l’estate del 1629 volgevano al termine i lavori nel catino absidale della Ghiara, saldati in agosto. Nel 1630 Tiarini firmò il Cristo irato e i ss. Sebastiano e Rocco nella chiesa di S. Michele di Capugnano a Porretta. Nel 1632 Dorotea Tiarini sposò Francesco Carboni, allievo del padre: della dote faceva parte una casa in via Broccaindosso presso S. Caterina di Strada Maggiore (Monducci, 2000, p. 358, doc. 95).
Negli anni Trenta Tiarini non si piegò allo stile astratto ed elegante di Reni, indiscusso protagonista della pittura coeva, e non rinunciò a «colori vividi e localizzati» di stampo quasi neomanierista (Alessandro Tiarini, 2015, p. 126). Nel 1633 eseguì per la cappella di Barbara Arlotti nella chiesa di S. Prospero a Reggio lo Sposalizio di s. Caterina alla presenza di s. Anna (Modena, Galleria Estense; B. Ghelfi, in Benati, 2001, II, pp. 110-112, n. 179). Il 30 agosto 1633 rappresenta il termine ante quem per l’esecuzione della Trinità supplicata dalla Vergine nell’oratorio della SS. Trinità a Reggio (oggi nella chiesa di S. Pietro). L’11 agosto 1634 il pittore scrisse ai fabbricieri di S. Maria di Campagna a Piacenza informandoli di aver terminato Abigail che reca doni a David (Benati, 2001, II, p. 109, n. 176). Nel 1636 la figlia Dorotea, rimasta vedova di Francesco Carboni, sposò Pietro Faccini jr. La dote già assegnata a Carboni fu riassegnata a Faccini, definito «mercadante ricchissimo» (Monducci, 2000, p. 358, doc. 96). Il S. Antonio di Padova con il Bambino venne collocato nella chiesa di S. Bartolomeo a Bologna nel 1637 (Benati, 2001, II, p. 215).
Nel 1639 il pittore affrescò il Martirio di s. Procolo nell’appartamento dell’abate nel monastero di S. Procolo a Bologna e nel 1640 vi decorò uno dei camini con la Calunnia di Apelle per la quale venne pagato 160 lire (l’affresco reca la data 1641). Tra il 1640 e il 1644 il gentiluomo reggiano Flaminio Ruffini registrò in un memoriale le spese sostenute per l’ornamento della sua cappella nella chiesa dei gesuiti di S. Giorgio a Reggio: Tiarini ricevette 1253 lire per la Madonna della Ghiara adorata dai ss. Francesco Saverio e Ignazio di Loyola (Monducci, 2000, pp. 351 s., docc. 55-59; B. Ghelfi, in Benati, 2001, II, pp. 166-168, n. 250).
Negli anni Quaranta Tiarini partecipò alla decorazione del portico di S. Francesco a Bologna eseguendo le lunette con S. Antonio entra in convento e la Vestizione di s. Antonio. Il ciclo, che comprendeva trentatré episodi della vita del santo, venne eseguito da diversi artisti bolognesi e terminato, secondo quanto riferisce Antonio Masini, nel 1646 (Masini, 1666).
Negli anni della tarda maturità Tiarini continuò a lavorare a ritmo sostenuto, eseguendo soprattutto dipinti da collezione caratterizzati da una gamma cromatica chiara e da «una teatralità distesa, felicemente giocata sull’aneddoto arguto e pungente» (Alessandro Tiarini, 2015, p. 127). Nel quinto decennio portò a termine autentici capolavori, di grande sfarzo e impatto teatrale, caratterizzati da «un’inedita accelerazione cromatica e da una stesura pittorica morbida e soffusa», come Achille e le figlie di Licomede e la Morte di Priamo di Palazzo Barberini a Roma e la Morte di Didone di collezione privata (Benati, 2001, II, pp. 155-158, nn. 235-237). Il Ritrovamento di Mosè (Brema, Kunsthalle) presenta sul verso un’iscrizione del 15 marzo 1641 che fa riferimento a Tiarini e al pagamento di 24 ducatoni. Nel 1646 il pittore lavorò nell’Accademia del nudo di Ettore Ghisiglieri, dove insegnavano anche Guercino, Albani, Sirani e Desubleo. Il 7 febbraio 1647 i confratelli del SS. Sacramento e delle Cinque Piaghe di Reggio deliberarono l’esecuzione del S. Felice da Cantalice col Bambino e la Vergine, destinato al loro oratorio presso S. Stefano (Monducci, 2000, p. 353, doc. 60).
Nel 1658 i padri di S. Procolo a Bologna gli vendettero la cappella della Beata Vergine sotto l’organo, che divenne la sua cappella di famiglia; il 12 maggio dello stesso anno morì il figlio Francesco e venne sepolto nell’arca di famiglia. Una delle sue ultime opere, il Cristo presentato al popolo, venne posta sull’altare della chiesa di S. Maria Nuova a Bologna nel 1661. Nell’ottobre dello stesso anno Tiarini ricevette la visita di Malvasia, che si diceva legato a lui da grande affetto e ne ricordava con ammirazione la memoria prodigiosa: «recitava a proposito versi del Tasso e dell’Ariosto, a certo proposito mi dice la metà di un capitolo del Caporale. Raccontava de’ fatti de’ pittori de’ suoi tempi registrando precisamente il tempo e l’anno come se lo avesse allora cavato da qualche scritto» (Scritti originali, ante 1678, 1983, p. 303).
Morì il 20 febbraio 1668 e venne sepolto in S. Procolo (Monducci, 2000, p. 358, doc. 101).
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