VALIGNANO, Alessandro
VALIGNANO (Valignani), Alessandro. – Nacque tra il 15 e il 20 febbraio 1539 a Chieti da Giambattista, membro della famiglia nobile più importante del capoluogo dell’Abruzzo citeriore, e da Isabella di Sangro, nobile napoletana.
I Valignani si radicarono in Abruzzo fin dal XII secolo con una progressiva acquisizione di feudi, assumendo dal XV secolo un ruolo di primo piano a Chieti dove riuscirono, grazie a un’abile politica matrimoniale, a mettersi a capo di una fazione che controllò le magistrature locali, civili ed ecclesiastiche fino al XVIII secolo, acquisendo anche una reputazione a Napoli. Il padre Giambattista fu uomo d’arme del viceré Pedro de Toledo, poi camerlengo di Chieti. Il suo ruolo gli valse l’amicizia e la confidenza di Gian Piero Carafa (il futuro papa Paolo IV) vescovo poi arcivescovo teatino. La madre Isabella proveniva dalla famiglia di Sangro di nobiltà napoletana, dal 1587 insignita del titolo di principi di Sansevero. Due fratelli di Alessandro, Ascanio e Gian Andrea, furono camerlenghi di Chieti. Due sorelle, Dionora e Lucrezia, badesse del convento delle clarisse.
Nulla sappiamo della giovinezza di Valignano fino al conseguimento del titolo di dottore in legge nel 1557 all’università di Padova, dove l’ambiente umanistico multinazionale e l’impronta aristotelica che connotava lo studium influenzarono il giovane Alessandro. Ricevuta la tonsura per i primi voti nel 1557 e l’assegnazione dell’abbazia di S. Stefano del Casale, nel 1559 ottenne il canonicato nella cattedrale teatina. Il tentativo di trovare impiego presso la Curia romana appoggiandosi al papa Paolo IV, amico del padre, fallì per la morte del pontefice (18 agosto 1559). Tornato a Padova per continuare gli studi, a seguito di un episodio poco chiaro riguardante l’accoltellamento di una donna, venne detenuto a Venezia dalla fine del 1562 al marzo del 1564. In sua difesa sarebbero intervenuti il cardinale Carlo Borromeo e il nunzio apostolico a Venezia, Ippolito Capilupi, ottenendone alla fine la liberazione. Di nuovo a Roma, riuscì a entrare al servizio di Marco Sittico Altemps, cardinale nipote di Pio IV, come uditore. Non si conosce nulla di quest’attività, se non che forse gli venne attribuita una parrocchia.
Maturò così la decisione di entrare nel noviziato romano della Compagnia di Gesù (29 maggio 1566), passando l’anno successivo (18 maggio 1567) al Collegio romano dove studiò filosofia, fisica, metafisica e teologia. All’inizio del 1570, professati i voti solenni e ordinato prete in Laterano (25 marzo 1570), Valignano fu incaricato di una visita a Loreto e in Abruzzo. Nel 1571 continuò gli studi di teologia al Collegio romano, svolgendo al contempo la funzione di maestro dei novizi, tra i quali quell’anno vi fu Matteo Ricci. Nel 1572, rettore del collegio di Macerata, manifestò il desiderio di essere inviato in missione nelle Indie.
Nell’agosto del 1573 il generale dei gesuiti Everard Mercurian richiamò Valignano a Roma e lo nominò visitatore generale di tutte le Indie orientali in sostituzione del portoghese Gonçalo Alvarez. La nomina di un italiano aveva il significato di scegliere un religioso formato a Roma e più vicino al nuovo generale belga che ai gesuiti portoghesi legati alla Corona nel contesto del regime di padroado regio. Compiuta la professione del quarto voto (8 settembre 1573), Valignano partì da Roma il 20 settembre 1573 e arrivò a Lisbona tre mesi dopo, viaggiando per mare da Genova ad Alicante e proseguendo per via di terra. Nelle varie tappe, in Italia e soprattutto in Spagna, reclutò per la missione altri gesuiti, che riuscì a far accettare ai confratelli portoghesi e al re Sebastiano. Ricevute le lettere patenti, le facoltà spirituali e le ampie e dettagliate istruzioni inviategli da Antonio Possevino, segretario del generale, Valignano partì il 21 marzo 1574 con 41 gesuiti (24 spagnoli, 10 portoghesi, 7 italiani, di cui 18 sacerdoti) arrivando a Goa il 6 settembre 1674. Nei cinque mesi di viaggio, tra il 14 luglio e il 9 agosto, fece sosta in Mozambico (detto all’epoca il Monomotapa) dove recuperò altri due confratelli, formandosi un’idea molto pessimistica della possibilità di una efficace conversione della popolazione africana, derivante dalla sua formazione aristotelica (l’idea di servitù naturale) e dal pregiudizio razziale legato al colore della pelle.
In India trovò una violenta epidemia che decimò i missionari e colpì lui medesimo. Dopo un mese di inattività, iniziò la sua funzione di visitatore, cioè l’ispezione diretta delle missioni e la trasmissione di informazioni (anche di genere politico), cui unì un’energica azione di organizzatore e fondatore di nuove residenze gesuite. Tra il 1575 e il 1577 svolse la visita alle missioni nel Sud del continente indiano da Cochin a Quilon fino al capo Comorin lungo la costa di Travancore, risalendo fino a São Thomé. In seguito, da Goa, sua residenza stabile, si diresse verso il Nord, in particolare a Bassein. Dette anche impulso alla conoscenza delle lingue locali con una scuola di tamil e una tipografia (che nel 1577 stampò la Dottrina cristiana in tamil) a Punnaikayal. A Goa riuniva le consulte o la congregazione provinciale. Inoltre rispondeva all’ingente quantità di lettere provenienti dall’Europa o da altre parti della sua immensa giurisdizione.
Iniziò anche a scrivere un testo di sintesi a beneficio del generale che negli anni successivi aggiornò con il titolo di Sumario de las cosas que pertenecen a la provincia de la India, nel quale presentava le difficoltà incontrate per lo sviluppo delle missioni in India, sia per la vastità del territorio, sia per le caratteristiche della popolazione. Anche verso gli indiani, pur riconoscendo la loro cultura e la pratica della scrittura, Valignano mostrava pregiudizi di carattere razziale oltre che un generale disprezzo verso i bramini dubitando della loro disposizione ad accogliere il messaggio evangelico.
Malgrado la necessità di missionari, non dette nessuna attuazione alla formazione di clero indigeno. Per questi atteggiamenti la storiografia ammette che Valignano non prefigurasse in alcun modo per gli indiani, con la possibile parziale eccezione rimasta teorica delle caste più elevate, il metodo dell’accommodatio di cui fu artefice in Giappone e che in seguito Roberto de Nobili applicò in India. Ciò non gli impedì di svolgere con grande efficacia una ristrutturazione della presenza gesuita in India, in un contesto dove si trovavano i cattolici latini portoghesi inquadrati nelle diocesi del padroado, i cristiani di S. Tommaso e gli indiani, tramite la diffusione dei seminari, lo studio delle lingue locali, e anche l’organizzazione in parrocchie e confraternite.
Il suo progetto era quello di recarsi in Giappone, ma doveva ancora conoscere direttamente altre parti dell’immensa provincia indiana. Il 19 ottobre 1577 giunse a Malacca, restandovi quasi un anno, e poi a Macao, il 6 settembre 1578, dove si dovette dedicare a questioni economiche legate al finanziamento della missione gesuita tramite il commercio della seta. Era deciso anche a dare un forte impulso all’entrata dei suoi confratelli in Cina, che non era mai riuscita pur se auspicata fin dall’epoca di Francesco Saverio. A questo scopo Valignano chiamò un rinforzo dall’India e partì per il Giappone lasciando l’ordine di dedicarsi allo studio del cinese. Dall’India fu mandato Michele Ruggieri, cui egli stesso affiancò nel 1582 Matteo Ricci che aveva conosciuto a Roma e che stava ultimando gli studi di teologia a Goa.
Valignano arrivò in Giappone nel porto di Kuchinotsu nell’isola di Kyūshū il 25 luglio 1579. La diffusione del cristianesimo aveva raggiunto in un trentennio circa centomila fedeli grazie alla conversione di alcuni signori dell’isola (daimyō) che consentirono l’istallazione dei gesuiti e il loro apostolato. All’arrivo di Valignano 55 religiosi erano attivi nelle missioni del Kyūshū (in particolare Shimo e Bungo), cui si aggiungeva quella di Miyako (Kyoto). Malgrado questi successi e l’opinione positiva che aveva dei giapponesi (che considerava come ‘bianchi’ da un punto di vista razziale), Valignano si rese subito conto della profonda differenza culturale che condizionava la penetrazione del cristianesimo in quanto i missionari imponevano schemi e concetti europei che non venivano compresi anche per un’approssimativa conoscenza linguistica dei religiosi, problemi che vennero discussi nella consulta di Bungo nell’ottobre 1580. Questo comportamento eurocentrico (che si incarnava nella figura del superiore Francisco Cabral) condizionava anche il rapporto tra i padri gesuiti e i giapponesi entrati nella Compagnia di Gesù come ‘fratelli’ (cioè senza i voti sacerdotali) o come dōjuku (laici coadiutori dei religiosi), i quali venivano trattati con disprezzo. Dalle visite alle missioni e ai confratelli e dai colloqui (attraverso interpreti, in particolare Luís Froís che fu il suo segretario) con i daimyō, Valignano trasse la conclusione della necessità di un cambiamento, da un lato elaborando il metodo missionario dell’accommodatio dei religiosi europei agli usi locali, incentivando lo studio della lingua locale come imprescindibile strumento di comunicazione, e dall’altro lato fondando seminari di formazione del clero giapponese.
L’elaborazione del metodo dell’adattamento ha trovato la sua sintesi in un testo redatto nel 1581 da Valignano Advertimentos e avisos acerca dos costumbres e catangues [catagi: cerimonie] de Jappão, noto anche come il Cerimoniale. In queste istruzioni destinate ai religiosi europei inviati come missionari in Giappone, si afferma che per svolgere il loro ministero con dignità e per ottenere rispetto dai giapponesi e mantenere autorità su di essi, i missionari dovevano osservare le consuetudini dei bonzi, i sacerdoti giapponesi, e le tradizioni giapponesi in tutti gli aspetti della vita sociale e del comportamento individuale – dal vestire, al mangiare (la cerimonia del tè), al viaggiare (in portantina), all’ospitalità, alle forme di cortesia – che nella società giapponese erano codificati e generalmente riconosciuti. Alcuni aspetti del comportamento dei cristiani in Europa, come il disprezzo del mondo e la mortificazione, non erano compresi in Giappone e sarebbero stati controproducenti, mentre erano apprezzate e davano autorità, in particolare verso i potenti daimyō, le manifestazioni di contegno e autorevolezza proprie dei bonzi, almeno nel loro aspetto esteriore.
Valignano, conscio della difficoltà di far capire questo metodo di apostolato ai missionari e anche ai superiori in Europa, ne ribadiva il carattere strumentale come unico modo per far entrare il cristianesimo in una società sviluppata e culturalmente omogenea come quella giapponese. Egli voleva portare di persona a Roma il testo e spiegarne le ragioni, ma non fu possibile. Le obiezioni del nuovo generale Claudio Acquaviva (eletto nel 1581), nobile abruzzese e suo compagno di studi al Collegio romano nel 1568-69, gli giunsero per lettera solo nel 1586. Acquaviva, pur comprendendo le motivazioni della strategia di Valignano, temeva che la necessità di adattarsi fosse controproducente per le vocazioni missionarie, fondate soprattutto su un atteggiamento eroico e martiriale, e portasse a non rispettare la regola dell’Ordine gesuita e a travisare l’ortodossia del cattolicesimo tridentino che si voleva trasmettere. Anche per la lentezza delle comunicazioni, la discussione continuò per anni. Valignano precisò meglio i dettagli del suo pensiero tramite istruzioni scritte. Inoltre descrisse la realtà giapponese nel Sumario de las cosas del Japón nel 1583. Il metodo dell’adattamento e, in particolare, il testo degli Advertimentos (il Cerimoniale) mostrano quanto Valignano sia debitore della sua formazione umanistica e, in particolare, cortigiana nella tradizione di Baldassarre Castiglione e di Giovanni Della Casa.
Durante la sua prima permanenza in Giappone Valignano intraprese moltissime iniziative. Rispetto ai daimyō operò per un riconoscimento della missione gesuita attraverso contatti molto intensi, in particolare presso il più importante di essi, Oda Nobunaga, partecipando ai festeggiamenti solenni, presso il castello di Azuchi, per la festa equestre di Umazoroe presenziata anche dall’imperatore Ōgimachi. Grazie agli ottimi rapporti con Valignano, Nobunaga donò il terreno per la fondazione del seminario affidato al confratello bresciano Organtino Gnecchi Soldo, così come fecero altri daimyō in altre parti. Dal punto di vista del governo della missione, Valignano redasse direttive per il superiore della missione giapponese (il Regimento) e creò a fine 1581 la viceprovincia del Giappone.
Questa attività venne descritta a beneficio del generale Acquaviva nel Sumario de las cosas que pertenecen a la Provincia del Japón, completato a Cochin nel 1583. Nello stesso anno Valignano scrisse la prima parte della Historia del principio y progreso de la Compañia de Jesús en las Indias Orientales, relativa soprattutto al periodo di Francesco Saverio.
La formazione umanistica e il livello culturale di Valignano emergono anche nella realizzazione dei seminari di formazione del clero indigeno, pur se con cospicue limitazioni, soprattutto nell’accesso a posizioni di responsabilità all’interno della Compagnia di Gesù. Questo impegno dimostrava l’opinione positiva che egli aveva dei giapponesi. Nel solo anno 1580, grazie alle donazioni dei daimyō convertiti, vennero fondati seminari ad Arima e ad Azuchi, un noviziato a Usuki e un collegio intitolato a S. Paolo a Funai (Ōita) dove si studiavano latino, filosofia, teologia e scienze naturali. Inoltre Valignano scrisse anche un Catechismo, appositamente adattato per i giapponesi, che poi fu pubblicato in latino a Lisbona nel 1586. Questi istituti di formazione coniugavano la ratio studiorum gesuita con la pratica e lo studio della lingua (il giapponese sostituiva il greco) e delle tradizioni giapponesi che venivano mantenute anche nella vita quotidiana degli allievi, soprattutto nel collegio.
Nella ricerca di fondi per i seminari Valignano decise di cercare sovvenzioni in Europa presso il papa e il re di Spagna inviando alle rispettive corti quattro giovani allievi, scelti tra i più brillanti figli dei daimyō cristiani per mettere in mostra i risultati ottenuti nell’evangelizzazione e nella civilizzazione. A questa iniziativa dette un secondo più profondo significato. I giovani inviati avrebbero dovuto visitare i luoghi più belli dell’Europa cattolica e soprattutto vedere la magnificenza di Roma, della corte pontificia e della persona del papa, riportando in Giappone un’immagine trionfante, soprattutto della Chiesa romana. Valignano voleva essere il loro accompagnatore, per verificare che i quattro giovani vedessero solo quanto poteva meravigliarli e affascinarli.
La spedizione partì il 20 febbraio 1582 e fece una lunga sosta a Macao durante la quale Valignano si occupò della Cina in una congiuntura molto difficile. Dopo l’unione delle Corone nel 1580 si svilupparono in Spagna progetti di invasione militare della Cina a partire dalle Filippine sostenuti anche dal gesuita Alonso Sanchez. Valignano, che stava organizzando la missione cinese a Zhaoqing con Ruggieri, Ricci e Francesco Pasio (poi passato in Giappone), si oppose con durezza a Sanchez, che incontrò nel 1582. Come scrisse ad Acquaviva, egli considerava tali progetti assolutamente dannosi per l’apostolato, trovando il sostegno di Ricci che condivideva la strategia dell’adattamento. A Macao, nel solco della tradizione gesuita di stampo controriformista della funzione religiosa dell’arte, progettò anche una scuola per insegnare la pittura europea ai giapponesi affidata al confratello pittore nolano Giovanni Cola.
Ripartiti da Macao il 31 dicembre 1582, Valignano e i giovani inviati giunsero a Cochin il 7 aprile 1583. Qui Valignano apprese la notizia della nomina a provinciale per cui dovette rinunciare al viaggio in Europa. Affidò allora i giovani giapponesi a un confratello che istruì nei minimi dettagli sul programma del loro soggiorno europeo e sul comportamento che dovevano avere nelle varie corti e presso la Curia pontificia, dove furono ricevuti come veri ambasciatori e spesso così chiamati ed effigiati in immagine. Partiti per l’Europa il 20 dicembre 1583, essi rividero Valignano al loro ritorno a Goa il 29 maggio 1587.
Intanto Valignano fu impegnato nel suo mandato di provinciale per il quale convocò la seconda congregazione provinciale e visitò le varie missioni indiane. In particolare fondò la casa professa a Goa, agendo anche presso i cristiani di S. Tommaso per farli aderire al rito latino. Valignano era in India anche al momento del martirio di Salsette (25 luglio 1583) in cui fu ucciso il confratello Rodolfo Acquaviva (nipote coetaneo del generale) e fu lui a comunicare a Claudio la notizia con una relazione che ebbe grande diffusione a stampa.
Nel 1587, lasciato l’incarico di provinciale mantenendo quello di visitatore, ripartì per il Giappone riaccompagnando i giovani ‘ambasciatori’ tornati dall’Europa. Si fermò tuttavia per quasi due anni (luglio 1588-giugno 1590) a Macao dove iniziò l’attività tipografica (la prima opera fu la Christiani pueri institutio del gesuita Juan Bonifacio, 1588) grazie a un torchio portato dai giovani giapponesi dall’Europa. Inoltre inviò Ruggieri a Roma per chiedere al papa di mandare un legato alla corte di Pechino.
Sulla scorta delle notizie portategli dai giovani e integrandole in vario modo, mise per scritto in spagnolo il resoconto del viaggio che fu tradotto in latino dal confratello Duarte de Sande. Il testo del De missione legatorum Iaponensium ad Romanam curiam (pubblicato a Macao nel 1590) è in forma di un dialogo tra i giovani viaggiatori e dei loro coetanei rimasti in Giappone. Attenta a non mancare di rispetto alla cultura giapponese, l’opera vuole affermare la differenza tra il Giappone e l’Europa e la superiorità di quest’ultima e soprattutto della Chiesa cattolica. La versione originale di Valignano in spagnolo è perduta. La prevista traduzione in giapponese non fu realizzata.
Intanto in Giappone la situazione era mutata con la morte di alcuni dei daimyō cristiani sostenitori dei gesuiti e con l’incostante atteggiamento di Toyotomi Hideyoshi che, alla fine del 1585, aveva assunto la carica di reggente imperiale (kanpaku). Hideyoshi temeva che la presenza dei missionari incrementasse l’influenza spagnola tra i cristiani ed era arrivato a proclamare la cacciata dei gesuiti (editto del 24-25 luglio 1587), poi non attuata. A questo si univano le sue ambizioni espansionistiche in direzione della Corea, riserva di manodopera schiava per il Giappone, ma anche delle Filippine, che portarono a manovre e trattative nelle quali anche Valignano fu coinvolto.
Dopo molta attesa nell’estate del 1590 Valignano arrivò a Nagasaki con 17 gesuiti, entrando come ambasciatore del viceré dell’India. Con lui c’erano i quattro giovani rientrati dall’Europa. In attesa di essere ricevuto da Hideyoshi, Valignano convocò una consulta, visitò la nuova sede del seminario a Katsusa e vi stabilì la tipografia che produsse il primo libro in giapponese romanizzato (in caratteri latini), un compendio di vite di santi, Sanctos no Gosagueono, stampato con caratteri mobili nel 1591. Il 3 marzo di quell’anno, in veste di ambasciatore portoghese, Valignano con un grande seguito venne ricevuto da Hideyoshi nel palazzo imperiale a Kyoto. I quattro viaggiatori consegnarono i doni portati dall’Europa e suonarono musiche con strumenti occidentali. Hideyoshi ascoltò con grande interesse i loro racconti sull’Europa, come Valignano aveva desiderato per sfruttare l’effetto propagandistico del viaggio. Ottenuto il permesso di viaggiare liberamente in Giappone, Valignano si recò dai daimyō cristiani e tenne la congregazione provinciale, ma prudentemente trasferì i collegi. Infatti, pur concedendo a dieci missionari di risiedere a Nagasaki, Hideyoshi non ritirò l’editto contro i gesuiti. La preoccupazione provocò addirittura in Valignano una crisi di nervi in occasione della congregazione del febbraio 1592.
Il 9 ottobre 1592 ripartì per Goa con i doni di Hideyoshi per il governatore portoghese. Si fermò a lungo a Macao dove fondò il collegio di S. Paolo per la formazione di cinquanta giovani giapponesi e cinesi. Si incontrò inoltre con Ricci (che rimase quasi due mesi a Macao), con il quale ebbe la possibilità di discutere e sostenere l’applicazione in Cina del metodo dell’adattamento.
Valignano approvò il fatto che Ricci lasciasse l’abito da bonzo e si vestisse nella foggia dei letterati confuciani con veste di seta e berretta a quattro punte, lasciandosi crescere barba e capelli. Inoltre lo spinse verso l’approfondimento del cinese fino alla possibilità di scrivere libri in quella lingua, chiedendogli di tradurli anche in latino per diffonderli in Giappone. Pur non incontrandosi mai più con Ricci, Valignano aveva impresso la direttiva missionaria che si concretizzò poi con le autorizzazioni per la fondazione di altre missioni in Cina e con la residenza presso l’imperatore a Pechino, obiettivo raggiunto da Ricci nel 1601.
Nel frattempo Valignano fece il suo terzo e ultimo soggiorno in India (marzo 1595-aprile 1597). Qui trovò un ambiente sfavorevole sotto il provincialato di Francisco Cabral che portò alla sua destituzione da visitatore per l’India, rimanendo in carica solo per Cina e Giappone. Il 23 aprile 1597 Valignano partì per Macao, da dove poté rendersi conto del peggioramento della situazione in Giappone. Il 5 febbraio di quell’anno Hideyoshi aveva martirizzato numerosi neofiti e missionari, soprattutto francescani spagnoli. La presenza dei francescani, con le implicazioni politiche e commerciali derivanti dalla loro provenienza dalle Filippine, non piaceva a Valignano, così come le critiche da essi rivolte ai gesuiti dopo il martirio. A questo scopo egli iniziò a scrivere una Apologia critica verso la concezione missionaria dei francescani, legata alla loro tradizione di apostolato praticato in America, che non era adatta al Giappone e all’Asia dove, anziché imporre la nuova dottrina, occorreva accettare la diversità culturale e adattare il messaggio evangelico.
Il terzo soggiorno di Valignano in Giappone iniziò il 5 agosto 1598. Accompagnato dal vescovo gesuita Luis Cerqueira, entrò in incognito, trovando chiusi molti seminari in un clima di persecuzione. Tuttavia con la morte di Hideyoshi nel settembre di quell’anno si aprì un periodo in cui Valignano, con la collaborazione di Cerqueira e del nuovo viceprovinciale Pasio, poté riaprire o fondare seminari, noviziati e chiese, in particolar modo a Nagasaki (distrutta però da un incendio nel 1601), riacquistando prestigio presso i daimyō anche non convertiti. La presenza attiva del vescovo permise la fondazione di un seminario diocesano e l’ordinazione dei primi due gesuiti giapponesi (1601). Molte aspirazioni di Valignano si realizzarono in quel breve tempo, alle quali fece da riscontro l’arrivo di Ricci a Pechino che egli aveva sempre promosso.
In questo clima positivo (il catalogo della viceprovincia giapponese per il 1603 segnala due-trecentomila cristiani, centonovanta chiese e centoventidue gesuiti con centinaia di aiutanti laici), Valignano riprese il progetto di ricorrere alla narrazione storica delle vicende della missione giapponese con l’opera Principio e progresso de la religion christiana en Jappón, con fini polemici (contro i francescani) ed edificanti, ma soprattutto, come scrisse nella dedica al generale Acquaviva, per fornire una ricostruzione ragionata e documentata dell’esperienza religiosa in opposizione alle opere precedenti che non lo soddisfacevano (come la Historia de Japam scritta dal suo segretario Froís). L’opera si fermò al primo dei cinque volumi. Il richiamo alla storia della Chiesa cristiana primitiva avvicina lo scritto di Valignano al modello di matrice umanistica degli Annales ecclesiastici di Cesare Baronio.
All’inizio del 1604, dopo che Ieyasu Tokugawa aveva ricevuto il titolo di shogun (24 marzo 1603), Valignano ripartì per Macao dove passò gli ultimi due anni di vita, sviluppando il collegio e fondando la nuova chiesa, ma guardando senza dubbio alla Cina, missione che distaccò da Macao affidandola a Ricci. In attesa di un accompagnatore, un gesuita cinese, per intraprendere il viaggio verso Pechino i suoi problemi di uremia si aggravarono e morì a Macao la mattina del 20 gennaio 1606 a sessantasette anni (quaranta di religione), venendo sepolto nella chiesa Mater Dei detta anche di S. Paolo.
Opere. Per gli scritti di Valignano pubblicati v. la bibliografia in Dialogo sulla missione degli ambasciatori giapponesi alla Curia romana e sulle cose osservate in Europa e durante tutto il viaggio basato sul diario degli ambasciatori e tradotto in latino da Duarte de Sande, sacerdote della Compagnia di Gesù, a cura di M. Di Russo, trad. di P.A. Airoldi, Firenze 2016, cui si può aggiungere la Relatione della felice morte di cinque religiosi della compagnia di Gesù e di altri secolari ammazzati da’ gentili per la fede nell’India orientale l’anno 1583, Venezia 1584, Milano 1584 e 1585, Roma 1585, Napoli 1595.
Fonti e Bibl.: I documenti (lettere, testi manoscritti) di Valignano si trovano in grande maggioranza presso l’Archivum Romanum Societatis Iesu. La lista più completa è in J.F. Schütte, Valignano’s mission principles for Japan, I, 1-2, From his appointment as visitor until his first departure from Japan (1573-1582), St. Louis 1980-1985, parte 1, pp. 401-428 (ed. originale Valignanos Missiongrundsätze für Japan, I-II, Roma 1951-1958); la pubblicazione dei documenti dell’Archivum Romanum Societatis Iesu per gli anni 1575-97 è stata curata da I. Wicki, Documenta Indica, X-XVII, Romae 1968-88 (per i voll. XIV-XVII insieme a J. Gomes).
Oltre alla fondamentale, seppur parziale, biografia di Schütte sopra citata, un’ampia disamina dei vari aspetti dell’azione di Valignano con un’indicazione pressoché completa della storiografia precedente è contenuta nei volumi collettivi: A. V. S.I.: uomo del Rinascimento: ponte tra Oriente e Occidente, a cura di A. Tamburello - M.A.J. Üçerler - M. Di Russo, Roma 2008, con la dettagliata Cronologia valignanea redatta da M. Di Russo (pp. 369-383), e Christianity and cultures: Japan and China in comparison 1543-1644, a cura di M.A.J. Üçerler, Roma 2009, con bibliografia. Per una valutazione critica sul personaggio, J. Ruiz de Medina, A. V. nell’Estremo Oriente, in Alle origini dell’Università dell’Aquila. Cultura, università, collegi gesuitici all’inizio dell’età moderna in Italia meridionale, a cura di F. Iappelli - U. Parente, Roma 2000, pp. 497-517. Si veda inoltre Il Cerimoniale per i missionari del Giappone, a cura di J.F. Schütte, Roma 1946 e la ristampa del 2011 con la nuova introduzione di M. Catto, Per una conquista dell’autorità religiosa. A. V. tra ‘buone maniere’ e accommodatio gesuitica (pp. V-XXVI). Un successivo aggiornamento storiografico si trova nella bibliografia, curata da M. Di Russo, contenuta nel Dialogo sulla missione, cit., cui possono aggiungersi S. Di Paolantonio, Nobiltà, patriziato e fazione. I Valignani a Chieti tra Cinquecento e Seicento, in Bullettino della Deputazione abruzzese di storia patria, CIV (2013), pp. 93-130; T. Meynard, The overlooked connection between Ricci’s ‘Tianzhu Shiyi’ and V.’s ‘Catechismus Japonensis’, in Japanese journal of religious studies, XL (2013), 2, pp. 303-322; H. Vu Thanh, Devenir japonais. La mission jésuite au Japon (1549-1614), Paris 2016, ad ind.; G. Marino, La transmisión del Renacimiento cultural europeo en China. Un itinerario por las cartas de A. V. (1575-1606), in Studia aurea, 2017, vol. 11, pp. 395-428; Id., Un Galateo para Oriente. Introducción a los “Advertimentos e avisos dos costumes e catangues de Japão” (1581), in Manuscrits. Revista d’história moderna, 2017, n. 36, pp. 13-34; P. Lage Correia, Violence, identity and conscience in the context of the Japanese catholic missions (16th century), in Compel people to come in. Violence and catholic conversion in the non-European world, a cura di V. Lavenia et al., Roma 2018, pp. 103-116; R. da Silva Ehalt, Os Japonenses no pensamento racial de A. V., SJ (1539-1606), in Espaços coloniais: domínios, poderes e representações, a cura di C.M. Oliveira Alveal et al., Mossorò 2018, pp. 665-677.