VENANZIO, Alessandro
– Nacque a Bergamo l’11 marzo 1836 da Giulio e da Angela Grassi.
Sulla sua giovinezza non si sa molto; fu mediatore nel commercio della seta come altri membri della sua famiglia. Anche i suoi ideali politici sono ignoti almeno fino al principio del 1859, quando il fermento che aveva caratterizzato negli ultimi mesi la vita nel capoluogo orobico si tradusse in una serie di incidenti con le autorità asburgiche. Nel mese di gennaio, durante uno spettacolo dai forti richiami patriottici, presso il teatro della Società di Bergamo, scoppiò una rissa tra gli spettatori locali e i militari austriaci in platea. Nel parapiglia Venanzio colpì con uno «schiaffo sonoro» (Sylva, 1910, p. 9) uno degli ufficiali e fu costretto a lasciare nottetempo la città per riparare dapprima in Svizzera e successivamente nel Regno di Sardegna.
Il 1° aprile 1859, a circa un mese dall’inizio delle ostilità con l’Austria, Venanzio si arruolò come volontario nei Cacciatori delle Alpi, presso il deposito di Savigliano. Durante la guerra militò come soldato semplice nel 1° reggimento del corpo, partecipando agli ordini di Giuseppe Garibaldi ai combattimenti di Varese, San Fermo e Como. Dopo l’armistizio di Villafranca, passò nei volontari della Lega dell’Italia centrale comandati dal generale Manfredo Fanti, impegnandosi a prestar servizio per diciotto mesi, a partire dal settembre del 1859. Ciò, di fatto, gli impedì di partecipare alla spedizione garibaldina in Sicilia, a differenza del fratello, Luigi, medaglia al valor militare, bersagliere nel 1860 e camicia rossa anche nel 1866.
Arruolato come soldato semplice in artiglieria, Alessandro Venanzio fu promosso caporale il 10 novembre 1859. Nei mesi successivi, tuttavia, cominciò a soffrire l’inazione forzata e la routine della vita militare. Sul finire della primavera del 1860, mentre si trovava in caserma a Ciriè, disertò con alcuni commilitoni per arruolarsi nella seconda spedizione garibaldina, quella organizzata a Genova dal milanese Giacomo Medici. Tuttavia, il 3 giugno 1860 fu arrestato dalle autorità sabaude prima che potesse imbarcarsi. Rinchiuso nelle carceri militari di Torino, fu processato e condannato a un anno di reclusione. Fu però rimesso in libertà pochi mesi dopo, il 13 ottobre, beneficiando dell’amnistia decretata il 29 settembre 1860 dal re Vittorio Emanuele II.
Venanzio riprese quindi servizio e terminò il suo ingaggio sul finire del mese di marzo del 1861. La delusione per non aver partecipato al moto unitario nel 1860 era stata forte ed egli covava ancora il desiderio di contribuire alla causa garibaldina. L’occasione gli parve propizia nella primavera del 1863, quando, insieme ad altri diciotto compagni – la maggior parte bergamaschi – si recò in Polonia per partecipare, al seguito di Francesco Nullo, all’insurrezione contro il governo russo. La spedizione iniziò sotto cattivi auspici – alcuni volontari furono infatti arrestati dalle autorità austriache prima che potessero raggiungere la zona degli scontri e vennero respinti al confine italiano – e si risolse in un disastro. Il 5 maggio 1863, durante la battaglia di Krzykawka, che contrappose gli insorti polacchi, guidati dal generale Józef Miniewski, e i volontari stranieri all’esercito zarista, Nullo cadde, lasciando i suoi nel più profondo sconforto. La sconfitta si trasformò rapidamente in rotta. Due giorni più tardi morì per le ferite riportate un altro giovane garibaldino, Elia Marchetti, che aveva seguito il generale nel 1859 e nel 1860.
Mentre cercava di mettersi in sicurezza riparando in fretta oltre il confine galiziano, Venanzio fu catturato da un reparto di cosacchi nella foresta di Olkusz. Con lui vennero fatti prigionieri sei volontari italiani (Febo Arcangeli, Luigi Caroli, Ambrogio Giupponi, Giuseppe Clerici, Lucio e Giacomo Meuli) e due francesi (Emilio Andreoli e Luigi Alfredo Diè). Processato insieme ai suoi compagni davanti a un improvvisato tribunale militare nella cittadella di Varsavia, fu condannato a morte. La pena venne tuttavia subito commutata in dodici anni di lavori forzati in Siberia, e all’esilio a vita, dal luogotenente della Polonia russa, il granduca Konstantin Nicolaevič Romanov, fratello dello zar Alessandro II. Cominciò così, per i volontari di Nullo, un lungo periodo di detenzione e sofferenza, durato più di tre anni. Tali vicende, che videro protagonisti i garibaldini bergamaschi, furono in seguito raccontate, in una lunga serie di articoli apparsi sul Corriere della sera nell’inverno del 1896, dalla penna di Luciano Zuccoli. Solo due anni prima, un giovane storico, Giuseppe Locatelli Milesi, aveva raccolto e pubblicato in volume le confidenze di Venanzio; lo scritto sarebbe stato poi ristampato nel 1933 a Milano a cura del genero del garibaldino bergamasco, con il nuovo titolo Nella Siberia orrenda. Faville di italico eroismo sulle steppe e nelle galere siberiane. Narrazione di Alessandro Venanzio compagno di Nullo nella spedizione in Polonia del 1863.
Al principio di luglio del 1863, i prigionieri italiani, francesi e polacchi partirono in ferrovia diretti verso est. Transitarono dapprima per San Pietroburgo e Mosca per poi continuare il loro viaggio stipati su alcuni carri lungo la strada postale che conduceva alla provincia siberiana; attraversarono quindi la città di Nijni Novgorod, il Volga e la catena degli Urali. Le testimonianze raccolte da Locatelli Milesi offrono uno spaccato molto interessante della Russia del secondo Ottocento. I prigionieri giunsero a Irkutsk nel febbraio del 1864. Da qui furono trasferiti nel Trans Baikal, regione ai confini con la Cina, prima di essere separati: Caroli, Venanzio e Giupponi rimasero nel carcere di Petrowski, insieme ai delinquenti comuni; gli altri continuarono il viaggio. All’inizio di giugno del 1865, dopo una lunga agonia, morì Caroli. Un anno e mezzo dopo, il 7 dicembre 1866, venne siglato il decreto di amnistia per i prigionieri italiani e francesi. Venanzio rientrò a Bergamo il 27 settembre 1867. Al ritorno portò con sé una zanna di mammuth rinvenuta in Siberia, che in seguito donò alla sua città natale; essa rappresenta uno dei primi reperti della collezione del Museo civico di storia naturale del capoluogo orobico.
Venanzio risiedette a Bergamo per alcuni anni, prima che l’appello di Garibaldi lo chiamasse sul finire del 1870 in Francia, nell’Armée des Vosges, dove prese servizio come tenente del battaglione Patatrac comandato dal maggiore Filippo Erba. Oltralpe partecipò, distinguendosi, ai combattimenti per la difesa di Digione di fronte all’avanzata prussiana. Fu congedato il 1° marzo 1871, dopo aver rifiutato di passare con altri nella legione straniera francese. Il 15 marzo successivo sbarcò a Genova, da dove raggiunse nuovamente Bergamo.
Negli anni successivi Venanzio si dedicò esclusivamente alla famiglia e all’attività commerciale. Sposato con Maria Luchetti, come lui bergamasca, di nove anni più giovane, si stabilì a Milano nei primi anni Settanta dell’Ottocento. Commerciante «modesto e stimato» (come riporta il necrologio apparso sul Corriere della sera del 23 febbraio 1911) – senza però risultare iscritto alla Camera di commercio del capoluogo lombardo – condusse una vita tranquilla. Ebbe otto figli: Giulio, Emma Giuditta, Giulio Egidio, Marta, Pietro, Maria, Mario ed Egidio, nati tra il 1873 e il 1886. Di questi, tre morirono prematuramente. La figlia Emma sposò il professor Carlo Rugarli, direttore delle scuole di Milano e consigliere nazionale della Mutualità scolastica.
Venanzio visse gli ultimi anni della sua vita circondato dagli affetti della numerosa famiglia, ma non disdegnò di far sentire la propria voce per protestare per l’omaggio pubblico seguito alla morte dello zar Alessandro III nel 1894.
Si spense a Milano, settantaquattrenne, il 22 febbraio 1911 presso la casa di salute San Giuseppe in via San Vittore.
Ricevette sepoltura nel cimitero Maggiore della città nel vicino comune di Musocco; le sue ceneri furono successivamente traslate a Bergamo nel 1922.
Fonti e Bibl.: Non sono noti scritti e carte di Venanzio conservati a Milano. Presso la Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo è custodita una raccolta di diciannove lettere erroneamente attribuite al patriota garibaldino; si tratta infatti di parte della corrispondenza di un medico omonimo. I dati sul servizio militare di Alessandro Venanzio e del fratello Luigi sono tratti dal dattiloscritto Elenco dei soldati italiani che hanno fatto una o più delle sette campagne dal 1848 al 1870 per l’indipendenza italiana, Bergamo, I, p. 117, conservato presso le Civiche raccolte storiche del Comune di Milano. Il fascicolo relativo al processo e alla condanna di Venanzio nel 1860 è consultabile presso l’Archivio di Stato di Torino, Tribunale militare, Fascicoli processuali, m. 17, c. 633. Inoltre: G. Locatelli Milesi, I bergamaschi in Polonia nel 1863. Ricordi della spedizione di Francesco Nullo, narrati da un superstite, Bergamo 1893; Id., I Bergamaschi in Siberia (1863-1867). Ricordi d’un volontario di Nullo in Polonia deportato nel Trans-Baikal, Bergamo 1894; L. Zuccoli, I Bergamaschi in Polonia, corrispondenze pubblicate per venticique numeri sul Corriere della sera dal 24-25 gennaio al 22-23 febbraio 1896; G. Sylva, Cinquant’anni dopo la prima spedizione in Sicilia. Impressioni e ricordi di un bergamasco dei Mille, Bergamo 1910, pp. 9 s.; Id., A. V., in Rivista di Bergamo, I (1922), 2, p. 98; E. Caffi, Il Mammuth del Pelosino, ibid., IX (1930), 11, p. 504; C. Caversazzi, I bergamaschi della spedizione e la legione straniera in Polonia, in Bergomum, XXXII (1938), pp. 88-90; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, VI, Bergamo 1959, pp. 158, 211 e 215; R. Zessos, I commercianti nel Risorgimento, Roma 1961, p. 269. L.E. Funaro, L’Italia e l’insurrezione polacca. La politica estera e l’opinione pubblica italiana nel 1863, Modena 1964, p. 25; A. Agazzi, Lettere e documenti autografi di argomento garibaldino e di uomini illustri del Risorgimento (dal fondo del Museo del Risorgimento di Bergamo), in Bergomum, XLII (1968), pp. 178 s.; E. Cecchinato, Camicie rosse. I garibaldini dall’Unità alla Grande Guerra, Roma-Bari 2007, ad indicem.