ALESSI o ALESI, Giuseppe d'
Nato, a quel che pare, in Polizzi nel 1612, da un tagliatore di pietre, esercitò a Palermo l'arte del battiloro e vi capeggiò i moti del 15-22 agosto 1647. Il gravoso fiscalismo, la carestia, il pessimo servizio annonario, l'affollamento nella città dei campagnuoli affamati, la notizia delle sollevazioni di Napoli avevano inasprito l'odio dei Palermitani per il viceré e la sua amministrazione. L'A., evaso dalle carceri della Vicaria, dove era stato rinchiuso per aver altercato con gli "algozziri" o bargelli del capitano, fuggito a Napoli, aveva assistito alla sollevazione di Masaniello, ed era nascostamente tornato a Palermo con la testa esaltata dalle gesta di costui. Ora si fece innanzi. In una bettola della Conceria, il quartiere più popolare di Palermo organizzò una rivolta pel 15 agosto. La mattina di quel giorno, il viceré marchese De los Velez, avuto sentore della cosa, chiamò al suo palazzo alcuni dei consoli dell'arte, trovatisi con l'A. nella bettola: il popolino, turbato, cominciò a tumultuare. Una grossa colonna di gente, trainando due pezzi di artiglieria tolti dal baluardo del Tuono, si presentò verso il palazzo reale, sede del viceré. Accolti dal fuoco dei fanti spagnoli, i rivoltosi, poiché i due pezzi non funzionavano, corsero ad armarsi nelle armerie del senato e della dogana: il viceré fuggì, i soldati si sbandarono. Tuttavia il popolo si rivoltava solo contro la cattiva amministrazione; parola d'ordine: "Viva il re e fuori il malgoverno". Passando davanti alla statua di Carlo V alla testa del popolo insorto, l'A. si inchinò e ammonì che si dovessero osservare le leggi di quel re. Verso sera, nel quartiere della Conceria, l'A. si proclamò capitano generale. Il giorno seguente, con gran pompa e a cavallo, percorse le vie della città. Il senato l'invitò a una seduta, nella chiesa di S. Giuseppe dei Teatini: ivi, presenti il senato, la nobiltà cittadina, le principali autorità e tutti i consoli delle maestranze, l'A. propose capitoli da approvarsi dal viceré, coi quali si chiedeva, fra l'altro, uguale ripartizione delle cariche senatorie fra nobili e plebei, sgravio di balzelli, miglioramento dei servizî annonarî. L'A., che ebbe lussuosi abbigliamenti, cocchio e arredi nella sua casa, il titolo di "Vossignoria illustrissima", prese misure per il ristabilimento della quiete e per il rifornimento dei viveri nella città. Ma, per un incidente occorsogli, si inimicò gli orefici e i pescatori della Kalsa; e questi ultimi ne provocarono la caduta. In una nuova adunanza, mentre si prometteva da tutti di effettuare subito il disarmo di due baluardi (condizione posta dal viceré per il suo ritorno in città e per l'approvazione dei capitoli), il volubile popolino, sobillato dai nemici dell'A., accusava il capitano generale di preparare il saccheggio della città e di voler dare questa ai Francesi. Il 21 si ordì una trama per uccidere l'A., nel palazzo dello Steri, presenti mons. Trasmiers, inquisitore del regno, e mons. Cameras, giudice di monarchia; nel quartiere della Kalsa, i messi dell'A. vennero aggrediti e a stento salvarono la vita. La città fu nuovamente in armi. Il giorno seguente, una gran colonna di popolo, preceduta dal giudice di monarchia, dall'inquisitore generale, dal capitano di giustizia e da tutta la nobiltà, circondò il quartiere della Conceria per arrestare l'A. e i suoi principali seguaci. Primo a cadere ucciso fu un fratello dell'A., il quale cercava di fuggire; ma, trovato nascosto in casa di tal Genova, fu trascinato semivestito innanzi alla chiesa di S. Maria la Volta, ove fu decapitato dal cavaliere don Alessandro Platamone. Altri, ritenuti capi della rivolta del 15 agosto, fra cui il console dei conciatori, vennero catturati e trucidati; le case dell'A. e di esso console, distrutte; consoli di altre arti, messi in prigione. Tutto questo commosse ancora il popolino a favore della sua vittima. E il viceré dovette per rientrar in città, far prima scarcerare quei consoli e promettere indulto generale. Il ristabilimento completo della quiete si ebbe solo dopo molti giorni, in seguito a nuove provvidenze e all'istituzione di nuovi uffici, fra cui principalmente quello della deputazione delle nuove gabelle. I tumulti di Palermo furono un po' il riflesso di quelli napoletani: l'A. un po' il Masaniello di Palermo. Anche in lui, ingenuità e vanità; ma, con esse, sincero desiderio di bene della sua città e di quella parte del popolo che più soffriva gli effetti del malgoverno. A Napoli e a Palermo, l'A. e Masaniello non tanto si rivoltano contro il lontano monarca straniero, nel quale anzi vedono una garanzia di giustizia, quanto contro i suoi funzionarî locali, ritenuti responsabili degli abusi e della miseria popolare.
Bibl.: A. Collurafi, Tumultuazione della plebe di Palermo, Palermo 1661; Pl. Reina (sotto lo pseudonimo di Andrea Pocili), Rivoluzioni della città di Palermo avvenute l'anno 1647, Verona 1648; V. Auria, Historia delle turbolenze della plebe occorse in Palermo e nel regno di Sicilia sotto Filippo III (IV di Spagna) e il marchese di los Velez, Mss. Qq. E. 31 nella Biblioteca comunale di Palermo; I. La Lumia, Giuseppe d'Alessi o i tumulti di Palermo nel 1647, in Storie Siciliane, Palermo 1883, IV, pp. 9-224; F. Lionti, Cartelli sediziosi del 1647, Palermo 1895.