CELIDONIO, Alessio
Nacque nel 1451 a Sparta nel Peloponneso.
Il suo nome è tramandato in varie forme (Celidonius, Chelidonius, Celadonius, Caelidonius), ma nei documenti epigrafici risulta sempre come Caelidonius oppure Celidonius. Allo stato attuale delle ricerche non è possibile stabilire se il nome deriva dalla parola neogreca κελιδὠν ("rondinello") oppure dai nomi di luogo derivati a loro volta da questa parola. Era indubbiamente di origine greca: egli stesso si definisce "Lacedaemonius" in un'iscrizione nella chiesa della Madonna dei Martiri a Molfetta.
Niente si sa della sua famiglia, ma nell'iscrizione sepolcrale che si trova in S. Agostino a Roma, si dice espressamente che egli apparteneva ad una nobile famiglia spartana ("Lacedaemonia ex nobili genere oriundus"). In giovanissima età, cioè nel 1460, quando Demetrio II Paleologo perse il suo Stato, che passò sotto il dominio del conquistatore di Costantinopoli Maometto II, il C. dev'essersi rifugiato con la sua famiglia in Italia, come molti altri suoi compaesani del Peloponneso. Pare che egli appartenesse alla Chiesa latina. Comunque sia, egli trovò rifugio a Roma, dove entrò nella cerchia del famoso cardinale e umanista Giovanni Bessarione, il quale pare lo abbia accolto sotto la sua protezione. Come buon conoscitore del latino e del greco, lingue nelle quali si deve essere perfezionato sotto la guida del cardinale Bessarione, tu chiamato alla corte del re di Napoli, Ferrante d'Aragona, che gli affidò l'educazione dei due figli Alfonso e Federico. In data imprecisata fu anche nominato segretario apostolico.
La sua attività alla corte aragonese di Napoli ebbe fine il 22 dic. 1494, ma non è noto quando iniziò. Considerata tuttavia l'età del C. e il fatto che egli probabilmente passò alla corte di Napoli soltanto dopo la morte del Bessarione, si può supporre che egli si trasferisse a Napoli nel terz'ultimo decennio del sec. XV. Il 22 dic. 1494 fu eletto vescovo di Gallipoli in Puglia, probabilmente dopo che la morte di Ferrante d'Aragona aveva posto fine alla sua attività di educatore. Conservò la diocesi fino al 1508, ma incontrò difficoltà non indifferenti di natura sia esterna sia interna. Il vescovato del C. coincideva infatti con uno dei periodi più inquieti, della storia tardomedievale di Gallipoli. Nel 1484 la città era bassata temporaneamente sotto il dominio veneziano, nel 1495 fu assediata dalle truppe del re francese Carlo VIII e visse un periodo di continua agitazione. Le difficoltà interne derivavano invece probabilmente dalla circocostanza che Gallipoli (come più tardi anche Molfetta) si trovava nell'area linguistica degli esuli greci.
Nel 1500 il C. soggiornò per un breve periodo a Roma, dove compose il suo famoso promemoria a favore della guerra contro i Turchi presentato al cardinale Oliviero Carafa. I suoi rapporti con il Carafa risalivano con tutta probabilità al tempo del suo soggiorno a Napoli come istitutore dei principi, quando il Carafa era arcivescovo di Napoli. A lui il C. dovette l'ulteriore svolgimento della sua carriera. Il 3 o il 4 giugno 1508 fu nominato vescovo di Molfetta e conservò questa sede fino alla morte. Pare che contemporaneamente gli fosse stato assegnato in beneficio il monastero dei SS. Pietro e Andrea nella diocesi di Taranto. Prese parte molto attiva al V concilio lateranense, e si distinse soprattutto nelle sedute del 1º maggio e del 3 dic. 1512, quando tenne un discorso sull'unità della Chiesa che suscitò molto interesse (una copia si conserva nella Biblioteca comunale Valentiana di Camerino).
Il C. morì il 16 febbr. 1517 a Roma, mentre era ancora in corso il concilio.
Fu sepolto nella chiesa di S. Agostino; come data di morte vengono indicati anche il 18 maggio 1517 oppure 1518.Il monumento sepolcrale del C. non esiste più: fu distrutto probabilmente nel corso del restauro della chiesa di S. Agostino nel 1852. Si conserva nel cod. Vat. lat. 8253, I, f. 35l'iscrizione sepolcrale. Ricorda il C. anche un'altra iscrizione posta nella cornice d'argento di un dipinto raffigurante la Madonna nella chiesa della Madonna dei Martiri.
La caratteristica predominante del C., oltre alla straordinaria avarizia che dette origine a vari aneddoti e sarà commentata da Pietro Aretino nelle Pasquinate, fu la sua imponente eloquenza. Era capace di esprimersi altrettanto elegantemente sia in latino sia in greco, una circostanza che lo favorì molto durante il V concilio lateranense. Era però anche uno stratega mancato di grandi qualità e di notevoli doti politiche, come dimostra il suo promemoria a favore della guerra turca, indirizzato nel 1500al cardinale Oliviero Carafa. A detta dell'autore fu scritto "di propria iniziativa e senza motivo esterno", ma è fuori dubbio che fu occasionato dalla conquista turca di Modone e Corone, capisaldi veneziani nel Peloponneso e ultimi possedimenti veneziani di qualche consistenza in quelle parti. In questo promemoria scritto in latino con il titolo De ratione belli in Turcum ineundi, il C.espone spietatamente le debolezze del mondo cristiano e i vantaggi della potenza turca. Secondo lui alla base dei successi turchi stanno l'alto comando unito, una lingua unitaria e una disciplina poggiata sulla religione. Nel mondo occidentale invece regnano dispersione, gelosie, comando non unitario, indisciplina ed incredulità. I Turchi non tollerano che altri fuori di loro domini il mondo. Se si continua ad agire in modo così incoerente, la cristianità sarà lentamente distrutta dai Turchi.
Inoltre il C. sviluppa il progetto politico (per la verità un po' fantasioso) di una guerra su quattro fronti, alla quale avrebbero dovuto partecipare anche le potenze islamiche nemiche dei Turchi (Mammalucchi, Persiani), i potentati russi ecc. Più realistici sono invece i suoi piani strategici, che rivelano una precisa conoscenza della geografia e della situazione turca. Il principio "marciare separatamente, combattere unitamente", coniato solo in tempi recenti, è anticipato già dal Celidonio. Le sue proposte di difesa dalle unità di guerriglia turche e di trattamento psicologico della popolazione turca sono di una sorprendente modernità. La sua competenza si estendeva anche alla strategia navale, nella quale fece proposte plausibili. Anche la propaganda doveva servire la causa: il dotto prelato non esita a proporre l'impiego di notizie di atrocità per fomentare l'opinione pubblica, e dell'influenza femminile per mantenere alto lo spirito combattivo. Il promemoria, che si distingue molto positivamente da altri prodotti del genere, si conserva in due copie (Biblioteca Laurenziana di Firenze e Biblioteca del Cabildo a Toledo), ma fu pubblicato soltanto frammentariamente da N. Iorga (Notes et extraits pour servir à l'histoire des croisades au XVe siècle, Bucarest 1915, V, pp. 313-330), che si basava sull'esemplare conservato a Firenze. Si conservano a Toledo, oltre al promemoria anche alcune lettere del C., tutte del 1500, indirizzate al cardinale di Siena Francesco Todeschini Piccolomini (poi Pio III) e a Oliviero Carafa.
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