LAPACCINI, Alessio
Nacque a Firenze l'11 sett. 1478 da Iacopo di Alessio e da Lisabetta di Francesco Della Stufa.
I Lapaccini erano originari di Parma, provenienza che doveva risalire a epoche remote, perché già dalla metà del XIV secolo membri della famiglia iscritti all'arte dei linaioli erano inseriti nelle liste degli abili alle cariche pubbliche della città. Anche il padre del L. rivestì alcuni incarichi: per due volte membro dei Dodici buonuomini e per una volta dei Sedici gonfalonieri; fu podestà di Caprese per sei mesi dal 21 sett. 1501 e ancora per un semestre podestà di Castelfranco di Sotto dal 17 genn. 1507. Prima del L., tuttavia, i Lapaccini non ebbero ruoli politici di primo piano.
La madre era sorella del giurista Enea Della Stufa, docente di diritto presso lo Studio di Pisa, e presumibilmente da questo zio il L. fu indirizzato verso gli studi giuridici, che condusse a Firenze dopo che la ribellione di Pisa, nel 1494, aveva causato la chiusura dello Studio e il trasferimento di alcuni insegnamenti nella Dominante. Non si conoscono le date del suo curriculum studiorum: si sa per certo che studiava diritto a Firenze nell'anno accademico 1499-1500, periodo in cui ebbe come compagno di studi Francesco Guicciardini, di cinque anni più giovane di lui, che nella primavera del 1500 indirizzò al L. alcune lettere latine sulle comuni materie di studio: se ne può dedurre, sia per motivi di età sia per accenni contenuti nelle lettere stesse, nonché per qualche responsabilità affidatagli nello Studio (è definito nella seconda lettera occupato in "publicis nostrae Universitatis rebus"), che negli studi il L. fosse più avanti di Guicciardini, allora al secondo anno, e che quindi avesse iniziato l'Università verso il 1495-96.
Le cinque lettere, che rappresentarono per Guicciardini una forma di esercitazione scolastica, sono conservate presso la Biblioteca nazionale di Firenze (Magl., VII.1039: Poesie latine di m. Alexo Lapaccini et altre scritte a lui, cc. 2, 16, 24, 26, 30). Si tratta di una raccolta di scritti vari, soprattutto poesie e lettere inviate al L. da varie persone: Andrea Dazzi, Alessandro Pazzi, Iacopo Nardi e Francesco Guicciardini; il codice contiene anche alcuni versi scritti dal L. e molti documenti che non hanno alcun rapporto con lui. Le lettere di Guicciardini, autografe, non sono in ordine cronologico: da riferimenti interni si deduce che la quarta (c. 26) è anteriore alla prima (c. 2); solo una di esse è datata e risale al 10 maggio 1500; le altre sono comunque riconducibili allo stesso periodo. Scoperte da R. Ridolfi e utilizzate per la sua Vita di Francesco Guicciardini, furono pubblicate integralmente con introduzione e note da P. Guicciardini (Lettere giovanili inedite di Francesco Guicciardini, Firenze 1935), che ha anche dato loro la corretta successione cronologica; infine sono state accolte nell'edizione integrale delle lettere guicciardiniane (F. Guicciardini, Le lettere, a cura di P. Jodogne, Roma 1986, nn. 1-5). Il L. fu compagno di studi di Guicciardini per circa tre anni accademici, dal novembre 1498 al marzo 1501, quando Guicciardini si trasferì a Ferrara mentre il L. rimase presso lo Studio fiorentino, dove ancora si trovava nel gennaio 1502 (cfr. la lettera di Enea Della Stufa a Iacopo Lapaccini, allora podestà a Caprese in Verde, p. 39). Si possono così dedurre i nomi di alcuni suoi insegnanti: Iacopo Modesti, Ormannozzo Deti e Francesco Pepi per il diritto civile, Filippo Decio per il diritto canonico, Marcello Virgilio Adriani per retorica e forse, per il greco, Andrea Dazzi, di cui fu molto amico.
Si laureò presumibilmente in diritto a Firenze prima del 1505. Dopo la laurea, per alcuni anni le tracce del L. si perdono; forse si dedicò alla professione privata di giureconsulto. Dal 1510 cominciò a esercitare le cariche pubbliche: il 25 marzo 1510 fu estratto per sei mesi castellano di Dovadola, una delle cariche minori tra quelle attinenti al governo del dominio fiorentino; per il quartiere di S. Maria Novella divenne, il 15 giugno 1512, membro dei Dodici buonuomini, uno dei due Collegi della Signoria, e dall'8 genn. 1518 fu membro dell'altro Collegio, quello dei Sedici gonfalonieri; dal 28 ott. 1519 fu per sei mesi podestà del Chianti e dal 21 ag. 1521 fu per sei mesi podestà di Barberino Valdelsa. Nel frattempo scriveva, per diletto o su commissione, brevi componimenti di occasione in prosa e in poesia, soprattutto in latino, e si faceva la fama di valente letterato.
Dei suoi componimenti, sia per la loro brevità sia per la varietà delle occasioni per cui furono scritti, non si conosce l'ubicazione precisa. Solo in minima parte furono stampati; tra questi un'ode In laudem Caroli Aldobrandi Noctium Acticarum correctoris et vulgatoris (Firenze, F. Giunti, 1513). Un epigramma in latino in lode di Iacopo Nardi premesso al testo dell'opera di questo, Comedia di amicitia (ibid., B. Zucchetta, s.d.); contribuì alla collezione di componimenti latini in lode di Lorenzo de' Medici duca di Urbino (stampata a Firenze, a cura di D. Moreni, nel 1820); tra le opere rimaste manoscritte si ha notizia di un componimento poetico in lode di Cosimo de' Pazzi in occasione della sua nomina a vescovo di Arezzo; di altre poesie latine composte in varie occasioni, tra cui un sonetto polemico contro Angelo Ambrogini detto il Poliziano (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VII.1195); un'orazione in prosa destinata a essere pronunciata durante la riunione di una confraternita religiosa laicale (sembra si trattasse della Compagnia della Purificazione della chiesa di S. Maria Novella di Firenze); le Dicerie, raccolta di orazioni e discorsi di argomento politico tenute davanti alla Signoria di Firenze (ibid., XXX.244).
La sua fama di letterato e di retore nonché la buona disposizione nutrita verso di lui dalla famiglia Medici, che fin dal suo ritorno a Firenze nel 1512 lo aveva avuto tra i frequentatori delle rappresentazioni teatrali e degli avvenimenti culturali organizzati nel palazzo di via Larga, valsero al L. la designazione alla carica di primo cancelliere della Repubblica fiorentina, che avrebbe tenuto per otto anni dal 28 maggio 1522.
La Cancelleria della Repubblica fiorentina aveva acquisito grande prestigio tra il XIV e il XV secolo, allorché era stata retta da umanisti di chiara fama, come Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini e Bartolomeo Scala. La riorganizzazione operata al tempo di Lorenzo il Magnifico l'aveva permanentemente divisa in due dipartimenti: la prima Cancelleria, che curava soprattutto le relazioni esterne, e la seconda Cancelleria, cui era demandata la corrispondenza con le amministrazioni locali e i rettori all'interno del dominio fiorentino. Al primo cancelliere, responsabile della composizione delle missive esterne e al quale era affidato il compito di tenere discorsi e pronunciare orazioni in tutti i principali avvenimenti che interessavano la vita della Repubblica, erano pertanto richieste, oltre all'affidabilità politica, doti oratorie e letterarie non comuni; tuttavia, essendo comunque un incarico strettamente connesso con la produzione di documenti, si richiedeva ai candidati dapprima la qualifica notarile e poi, dall'assunzione di Leonardo Bruni nel 1427, sempre la laurea in diritto.
Com'era costume, il L. fu assunto in prova per un anno, con facoltà, se si fosse mostrato all'altezza del compito affidatogli, di essere riconfermato ogni anno e di mantenere l'impiego praticamente a vita. Suo predecessore in questo incarico era stato il suo antico maestro Marcello Virgilio Adriani, morto per le conseguenze di una caduta da cavallo il 1° dic. 1521. Nel selezionare un successore per l'Adriani, si era puntato su un giovane "di doctrina et costumi non mediocremente ornato et che avesse ad essere di tale ufficio meritevolmente degno". Il L. seppe guadagnarsi pienamente la fiducia del governo fiorentino, tanto che, poco dopo l'assunzione, con delibera del 16 nov. 1522, gli fu data facoltà di inviare lettere al papa senza richiedere, com'era invece la regola, l'approvazione preventiva della Signoria.
Del primo periodo del suo cancellierato è rimasto un breve diario (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, Prima serie, 361, ins. 1: Ricordanze di cose pubbliche) in cui annotò i principali avvenimenti politici dal maggio al 7 giugno 1522 (il trattato con Siena per assoldare in comune il condottiero Lorenzo Orsini (Renzo da Ceri); la scoperta di una congiura capeggiata da Iacopo Cattani da Diacceto, Luigi Alamanni e Zanobi Buondelmonti per sovvertire il regime fiorentino; la visita a Firenze del viceré di Napoli, e altri); vi fu aggiunto in un secondo tempo un ricordo privato del 25 giugno 1523 relativo a una cerimonia di battesimo.
D. Marzi (p. 431) afferma che il L. aveva già prestato servizio nella Cancelleria fiorentina nel 1502, ma l'affermazione si basa su un repertorio di Cancelleria in cui questa data è stata scritta per errore al posto di 1522 (Arch. di Stato di Firenze, Carte di corredo, 45, c. 1) ed è pertanto da considerarsi del tutto priva di fondamento.
Il periodo del cancellierato del L. coincise con uno dei momenti più convulsi della storia fiorentina: aveva iniziato il mandato quando la città era governata dal cardinale Silvio Passerini, che, dietro la facciata delle istituzioni repubblicane, rappresentava gli interessi della famiglia Medici. Passerini si era reso particolarmente inviso ai Fiorentini sia per i suoi metodi autoritari sia perché cortonese, e quindi considerato sostanzialmente estraneo alle tradizioni della città. A pochi giorni dall'inizio del mandato del L. fu scoperta la congiura contro il Passerini capeggiata da Iacopo Cattani da Diacceto. La cacciata del Passerini e la restaurazione della Repubblica comportarono variazioni nell'organico della Cancelleria; nel 1530, inoltre, gli ultimi mesi del cancellierato del L. coincisero con l'assedio della città da parte dell'esercito imperiale: di lì a poco Firenze fu costretta alla capitolazione e alla nuova restaurazione medicea.
In veste di primo cancelliere il L. dovette sottoscrivere, il 17 marzo 1530, il provvedimento di condanna all'esilio per il suo ex compagno di studi Francesco Guicciardini, sgradito al governo repubblicano, allora capeggiato dal radicale Francesco Carducci.
Il L. rimase primo cancelliere fino alla morte, avvenuta a Firenze il 10 maggio 1530.
La morte dovette coglierlo all'improvviso, perché il governo fiorentino gli corrispose lo stipendio fino a tutta la giornata del 9 maggio. L'11 maggio si celebrarono i funerali. Fu sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di S. Maria Novella; un'unica lapide, posta dal fratello Raffaello, commemorava il L. e il padre.
Il L. si era sposato intorno al 1515, ma il nome della moglie non è noto. Dal matrimonio nacquero almeno due figli, Iacopo, il 16 ott. 1516, e Lisabetta, che fu monaca nel monastero fiorentino di S. Iacopo sulla Costa. Attraverso la nipote ex filio, Lisabetta, sposata con Lorenzo Iacopi, parte delle carte personali del L., tra cui un libro di ricordi dal 1519 al 1526, passò in eredità alla Congregazione dei buonuomini di S. Martino di Firenze (Firenze, Arch. della Congregazione dei buonuomini di S. Martino, Mss., 9.3.05; 9.3.06).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Raccolta Sebregondi, 2945; Carte Ceramelli Papiani, 2685; Carte Strozziane, Prima serie, 361, ins. 1; Decima repubblicana, 175, c. 231; Monte comune, I, 1415, c. 90; Consiglio de' cento, Registri, n. 4, c. 49; Ibid., Protocolli o minutari, reg. 4, c. 10; Signori e Collegi, Deliberazioni in forza di ordinaria autorità, 124, c. 122; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 26; D.M. Manni, Osservazioni e giunte… circa i sigilli antichi dei secoli bassi, IV, Firenze 1741, pp. 127 ss.; D. Marzi, La Cancelleria della Repubblica fiorentina, Rocca San Casciano 1910, pp. 309, 316 s., 431, 514; R. Ridolfi, Vita di Francesco Guicciardini, Roma 1960, pp. 438, 492; A. Verde, Lo Studio fiorentino, III, 1, Pistoia 1977, pp. 38-42.