alessitimia
Disturbo che compromette la consapevolezza e la capacità descrittiva degli stati emotivi esperiti, rendendo sterile e incolore lo stile comunicativo. I pazienti alessitimici, oltre alle difficoltà nel riconoscere, nominare e descrivere i propri stati emotivi, presentano stati emotivi attenuati o completa incapacità di provare emozioni. Nella mente degli individui alessitimici le emozioni si confondono con le sensazioni corporee percepite. Se interrogati riguardo a manifestazioni quali il pianto o il riso, tali individui non riescono a ricondurle a un’esperienza emotiva riconoscibile che comprenda e giustifichi le modificazioni somatiche presentate e le sensazioni somatiche riferite. Inoltre, essi esibiscono un impoverimento del pensiero simbolico e una notevole difficoltà nell’identificazione delle emozioni altrui.
L’alta incidenza dell’a. nei pazienti psicosomatici ha fatto ritenere per lungo tempo che tale disturbo fosse un fattore predisponente allo sviluppo delle malattie psicosomatiche classiche. Attualmente è noto che l’a. è uno dei fattori di rischio aspecifici per numerosi disturbi fisici (coronaropatie, ipertensione, disturbi gastrointestinali) e psicologici (anoressia e bulimia nervosa, depressione, disturbi d’ansia). Dal momento in cui è stato proposto, il concetto di a. ha subito molteplici critiche e rivisitazioni, dividendo gli studiosi del settore in due principali filoni di pensiero. Secondo una prima teoria, l’a. è dovuta a un deficit cognitivo che colpisce la capacità di elaborazione conscia delle esperienze emotive. Secondo un’altra teoria, la causa dell’a. va piuttosto ricercata in una carente abilità di base nel provare emozioni in generale. L’esistenza di due forme del disturbo è stata di recente confermata da studi neurobiologici che hanno distinto due tipi (tipo I e tipo II), analoghi a quelli fino a ora ipotizzati sulla base delle sole osservazioni cliniche. L’a. di tipo I è caratterizzata dall’assenza stessa di esperienza emotiva; l’a. di tipo II consiste invece in un deficit selettivo dell’espressione e della valutazione cognitiva delle emozioni, a dispetto dell’integrità dell’esperienza emotiva che risulta inalterata. Il deficit di elaborazione cognitiva delle emozioni può essere conseguente a eventi traumatici oppure derivare dallo sviluppo inadeguato delle funzioni di mentalizzazione (la capacità di rappresentazione dello stato mentale proprio e altrui). Essere alessitimico non comporta quindi la completa assenza di emozioni o l’incapacità di descrivere i propri stati emotivi, quanto piuttosto una carenza nella componente interpretativa e valutativa degli affetti. Gli individui alessitimici mostrano una normale attivazione fisiologica in presenza di emozioni, ma hanno ridotte possibilità di organizzare gli elementi che caratterizzano la loro esperienza corporea in una rappresentazione mentale complessa e organica.
Fin dagli inizi della descrizione dell’a., le neuroscienze hanno mostrato grande interesse nell’individuazione dei correlati neurali alla base dei deficit di elaborazione delle emozioni (➔). L’emisfero destro è maggiormente coinvolto nell’elaborazione del comportamento emotivo rispetto al sinistro, più dedicato al processamento delle informazioni verbali. Conseguentemente, si possono ipotizzare due possibili scenari alla base della condizione di a.: l’a. provocata da interruzione della comunicazione interemisferica tramite corpo calloso e l’a. come risultato di un cattivo funzionamento dell’emisfero cerebrale destro. Secondo Michael Gazzaniga e Joseph LeDoux le componenti cognitive degli stimoli presentati all’emisfero destro raggiungono l’emisfero sinistro della consapevolezza direttamente tramite il corpo calloso, mentre il connotato emotivo degli stessi stimoli è immediatamente proiettato al sistema limbico (➔) e raggiunge l’emisfero sinistro tramite la commissura anteriore. Un blocco delle funzioni del corpo calloso provocherebbe quindi l’a. di tipo II, caratterizzata dal fatto che chi ne è affetto continua ad avere esperienza delle emozioni, senza però riuscire a valutarle cognitivamente. L’ipotesi è confermata da studi su pazienti con sezione del corpo calloso: quando si presentano stimoli connotati emotivamente all’emisfero destro di tali pazienti, essi sono incapaci di verbalizzare il loro vissuto emotivo, mentre mostrano una normale attivazione emotiva corporea, come dimostrato dalle reazioni non verbali. La compromissione nella percezione delle emozioni appare più frequente in pazienti con danneggiamento all’emisfero destro. Molti studi mostrano che individui con alti livelli di a. (misurati tramite l’uso di questionari standardizzati) hanno una ridotta capacità nel riconoscimento di espressioni facciali emotivamente connotate, rispetto a soggetti con bassi livelli di alessitimia. Poiché l’abilità di riconoscere espressioni emotive è prevalentemente collegata al corretto funzionamento dell’emisfero destro, è stata ipotizzata la disfunzione di tale emisfero nell’a. con assenza di esperienza emotiva. A conferma di ciò, soggetti con lesioni corticali che coinvolgono l’emisfero destro mostrano uno stato mentale definito di indifferenza e torpore emotivo. Tuttora non esistono dati certi sulla possibilità di trattamento dei pazienti alessitimici. Le esperienze cliniche finora raccolte sottolineano che, indipendentemente dal tipo di sintomatologia presentata, la maggiore difficoltà di intervento dipende dalle scarsa capacità di elaborazione cognitiva e di mentalizzazione: ciò rende il sistema cognitivo di tali pazienti difficilmente permeabile al cambiamento.