Golitzen, Alexander
Scenografo cinematografico russo, naturalizzato statunitense, nato a Mosca il 28 febbraio 1907. Durante la sua lunga carriera, svoltasi dalla metà degli anni Trenta fino a metà degli anni Settanta, si è cimentato in tutti i generi cinematografici, lavorando, fra gli altri, con Ernst Lubitsch, Fritz Lang, Max Ophuls, Orson Welles e Stanley Kubrick. In realtà si è sempre limitato a mettere a disposizione dei registi il proprio talento professionale, senza mai forzare in direzione di una prevalenza del fattore scenografico, ma anzi assecondando ed esaltando, con il proprio lavoro, la forza simbolica ed emotiva presente nei numerosi film cui ha collaborato. Oltre ad aver ottenuto undici nominations, vinse tre premi Oscar.
La famiglia si trasferì negli Stati Uniti quando G. era ancora ragazzo, permettendogli così di frequentare la scuola d'architettura dell'Università del Wisconsin. Compì il suo apprendistato alla Metro Goldwyn Mayer, poi con due produttori indipendenti, Samuel Goldwyn e Walter Wanger, infine, dopo un periodo di formazione presso art director come Richard Day e William Cameron Menzies, approdò nel 1942 alla Universal Pictures, per la quale lavorò ininterrottamente fino alla metà degli anni Settanta, dapprima in collaborazione con John B. Goodman o con Bernard Herzbruun, in seguito come capo scenografo, cimentandosi in vari generi e adattandosi con duttile versatilità alla politica produttiva della casa di produzione. Dopo aver ottenuto le sue due prime nominations all'Oscar (per Foreign correspondent, 1940, Il prigioniero di Amsterdam, di Alfred Hitchcock, e Sundown, 1941, Inferno nel deserto, di Henry Hathaway), per Lubitsch, in That uncertain feeling (1941; Quell'incerto sentimento), G. approntò i suoi tipici ambienti lussuosi, senza concedersi le licenze moderniste delle scenografie di Hans Dreier, collaboratore abituale del regista. Nel 1943 ottenne un'altra nomination all'Oscar per Arabian nights (1942; Le mille e una notte) di John Rawlins, capostipite dei film d'avventure arabe della Universal, e allestì poi una messinscena lussuosa, in un Technicolor smagliante, per Phantom of the Opera (1943; Il fantasma dell'Opera) di Arthur Lubin, remake del successo del 1925 di Rupert Julian. Per questa scenografia vinse nel 1944 il suo primo Oscar, con J.B. Goodman, Russell A. Gausman e Ira Webb. Nello stesso anno firmò le scenografie di The climax (La voce magica) di George Waggner per le quali ottenne una nuova nomination. In Scarlet street (1945; La strada scarlatta) di Lang, G. ricostruì in studio le strade di una città piovosa e notturna, in cui regna la solitudine dei personaggi racchiusi nelle spire di un destino senza uscita, motivo ripreso, simbolicamente, sia nel quadro naif che ha per soggetto un grosso serpente avvolto attorno all'albero del bene e del male sia nella decorazione a spirale della borsetta di Joan Bennett disegnata dal costumista Travis Banton. G. creò poi nell'appartamento dove l'impiegato insedia la ragazza e nell'ufficio in cui lavora il protagonista (una gabbia vetrata ribassata con una scala che conduce al piano superiore dove simbolicamente regna il direttore) un gioco di ballatoi, vetrate, scalette e balconate, stabilendo una pluralità di livelli strettamente funzionale all'idea del nascondersi e del vedere senza essere visti. Ma la sua più bella scenografia è forse quella di Letter from an unknown woman (1948; Lettera da una sconosciuta) di Ophuls, del quale G. seppe tenere a freno, con gusto e discrezione, il solitamente sfrenato barocchismo. Torna in questo film il motivo delle scale, caro al regista, che consente di mettere insieme livelli spaziali ed emotivi: un piano terreno in cui vive la modesta famiglia di Lisa e un primo piano ‒ luogo del desiderio ‒ dove Lisa si trasferisce con il giovane innamorato. Oltre alla ricostruzione di strade della vecchia Vienna e di alcuni scorci di una città austriaca di provincia, l'invenzione più poetica di G. rimane quella di un capannone in cui è installato un dispositivo ludico, il Diorama, un ingenuo cinema ante litteram, dove i due innamorati, da un finto vagone ferroviario, vedono sfilare vedute di tutti i paesi del mondo: un viaggio nella fantasia, più volte reiterato, nel completo abbandono a un amore assoluto, senza contropartite. Successivamente G. lavorò in western con Anthony Mann, film di mostri e fantascienza con Jack Arnold, melodrammi con Douglas Sirk e con altri registi, secondo le esigenze produttive della Universal, spesso in collaborazione con Robert Clatworthy. Nel 1958 ebbe l'occasione di realizzare le scenografie di Touch of evil (L'infernale Quinlan) di Welles: G. si pose al servizio del geniale cineasta, lavorando su un ambiente reale, il piccolo paese di Venice in California, trasfigurandolo in uno spazio alieno, di incerta collocazione. Nel 1961 gli fu attribuito il secondo Oscar, per le scene di Spartacus (1960) di Kubrick, nel quale G. evitò i soliti effetti di una romanità di cartone e tentò, sempre rispettando i limiti imposti dalla grande produzione hollywoodiana, di creare atmosfere di maggiore realismo: come nel caso degli ambienti che compongono la scuola dei gladiatori, con il sistema rigido di cancellate in ferro che poi, divelte, diventano strumenti di battaglia nelle mani degli schiavi in rivolta; come il Senato o la villa del patrizio Crasso, che hanno linee di una romanità essenziale, molto semplificate, prive di eccessi. Nel 1963 ottenne il terzo Oscar insieme a Henry Bumstead e a Oliver Emert per To kill a mockingbird (1962; Il buio oltre la siepe) di Robert Mulligan, le cui scenografie in bianco e nero, pur ricostruendo con sufficiente realismo l'aspetto tranquillo di una piccola cittadina del profondo Sud degli Stati Uniti, non mancano di inquietanti suggestioni nel prospettare zone d'ombra che celano tensioni nascoste. G. si confrontò poi con film di vario genere: la commedia Man's favorite sport? (1964; Lo sport preferito dell'uomo) di Howard Hawks, il film d'avventura Gambit (1966; Gambit ‒ Grande furto al Semiramis) di Ronald Neame, il musical Thoroughly modern Millie (1967; Millie) diretto da George Roy Hill, il western atipico Tell them Willie Boy is here (1969; Ucciderò Willy Kid) di Abraham Polonsky, il musical Sweet Charity (1969; Sweet Charity ‒ Una ragazza che voleva essere amata) di Bob Fosse, The beguiled (1971; La notte brava del soldato Jonathan) di Don Siegel, il thriller Play misty for me (1971; Brivido nella notte) di Clint Eastwood e altri ancora. Si dedicò anche a due film appartenenti al filone catastrofico: Airport (1970) di George Seaton e Earthquake (1974; Terremoto) di Mark Robson, prima di chiudere la sua carriera nel 1975 con un altro western atipico, Posse (I giustizieri del West) diretto e interpretato da Kirk Douglas.
M.L. Stephens, Art directors in cinema, Jefferson 1998, ad vocem.