Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Noto, ai nostri giorni, soprattutto come autore di grandi classici del romanzo popolare, Alexandre Dumas è scrittore quasi inesauribile e creatore di figure che appartengono ormai all’immaginario collettivo, come i tre moschettieri, la regina Margot o il conte di Monte Cristo.
Senza limiti
È, di fatto, impossibile rendere conto, per quanto anche in modo frammentario o superficiale, di tutta l’immensa produzione letteraria di Alexandre Dumas, che si aggira intorno a trecento titoli. Un’opera senza dubbio proteiforme, che tocca numerosi generi, partendo dal teatro per aprirsi, ben presto, al romanzo. In questo campo, in particolare, il successo popolare di Dumas è enorme, anche se a ciò non corrisponde un riconoscimento altrettanto entusiastico da parte dalla critica, che solo in anni recenti pare aver adottato uno sguardo un po’ più generoso nei confronti dello scrittore.
A vent’anni (Dumas nasce nel 1802, a Villiers-Cotterêts), sviluppa già una grande passione per il teatro e proprio nel teatro muove i primi passi come autore. Dal 1823 si stabilisce a Parigi. Nel 1829 scrive e mette in scena Enrico III e la sua corte (Henri III et sa cour), che ha un notevole successo e costituisce uno delle primissime affermazioni del teatro romantico, in leggero anticipo su quella, di certo più nota, dell’Ernani (Hernani, 1830) di Victor Hugo.
In questi stessi anni, Dumas partecipa attivamente agli eventi che sconvolgono la Francia, come la rivoluzione del luglio 1830. Un altro notevole risultato di pubblico ottiene Antony (1831), cinque atti in prosa che, per molti aspetti, inaugurano il dramma moderno, nel quadro delle rivoluzioni teatrali che il romanticismo opera. E ancora atmosfera romantica si respira nella commedia Kean che, nel 1836, mette in rilievo la figura dell’artista e il difficile destino che la sua natura gli impone.
Seguendo un fenomeno letterario che, all’epoca, quadagna sempre maggiore consenso da parte dei lettori, Dumas inizia a scrivere feuilletons, romanzi o racconti pubblicati a puntate su quotidiani o su riviste. Questa scelta, non del tutto estranea all’interesse economico, implica un aspetto tipico soprattutto, ma non solo, del romanziere popolare: scivere molto e scrivere velocemente. Nascono, in questo modo, moltissime opere. Fra queste, I tre moschettieri (Les Trois Mousquetaires, 1844) escono su "Le Siècle" e aprono una trilogia che prosegue con Vent’anni dopo (Vingt ans après, 1845) e Il visconte di Bragelonne (Le Vicomte de Bragelonne, 1848-1850). Praticamente negli stessi anni Dumas pubblica numerosi altri romanzi, fra cui Il conte di Monte Cristo (Le Comte de Monte-Cristo), uscito su "Le Journal des débats", prima, e su "Le Siècle", poi, dal 1844 al 1845, La regina Margot (La Reine Margot, 1845) e I Quarantacinque (Les Quarante-Cinq, 1847-1848).
Se si considera la vicinanza delle date di pubblicazione e il fatto che, contemporaneamente, Dumas, oltre a pubblicare articoli su riviste e a viaggiare (Belgio, Italia, Spagna), prosegue la sua attività di scrittore teatrale, aprendo, nel 1846, il Théâtre-Historique (che chiuderà, per fallimento, nel 1851), non può stupire sapere che quasi tutte le opere di Dumas sono scritte in collaborazione con altri scrittori il cui nome solitamente non appare accanto a quello dell’autore ufficiale. Almeno una di queste figure deve essere ricordata, perché legata ai romanzi più famosi di Dumas. Si tratta di Auguste Maquet (1813-1888), che redige intere parti dei romanzi, sviluppandole magari da un canovaccio fornito da Dumas, o effettuando le ricerche, storiche e bibliografiche, importanti per ricreare il quadro cronologico dell’azione.
All’interno dell’opera
Alexandre Dumas
I tre moschettieri
Due giorni dopo, alle nove, rullarono i tamburi. Il duca d’Orléans visitava gli attendamenti. Le guardie presero le armi, d’Artagnan si schierò al suo posto in mezzo ai compagni.
Monsieur percorse il fronte di battaglia; poi tutti gli ufficiali superiori gli si avvicinarono per rendergli omaggio, il signor des Essarts, capitano delle guardie, come gli altri.
Poco dopo a d’Artagnan sembrò che il signor des Essarts gli facesse segno d’avvicinarsi a lui: attese un altro gesto del suo superiore, temendo d’essersi ingannato, ma poiché quel gesto fu ripetuto, egli uscì dalle file e avanzò per prendere gli ordini.
“Monsieur chiederà alcuni uomini di buona volontà per una missione pericolosa, ma che farà onore a quelli che l’avranno compiuta, e vi ho fatto cenno affinché vi teniate pronto”.
“Grazie, signor capitano!” rispose d’Artagnan, il quale non chiedeva di meglio che distinguersi sotto gli occhi del luogotenente generale.
Infatti i Rupellesi avevano effettuato una sortita durante la notte e avevano ripreso un bastione, di cui l’armata del re s’era impadronita due giorni prima; si trattava di mandare in ricognizione per vedere come l’esercito difendesse quel bastione.
Effettivamente poco dopo Monsieur alzò la voce e disse:
“Mi occorrerebbero per questa missione tre o quattro volontari guidati da un uomo fidato”.
“Quanto all’uomo fidato, l’ho qui, Monsignore”, disse il signor des Essarts indicando d’Artagnan; – “e quanto ai quattro o cinque volontari, Monsignore ha soltanto da far conoscere le sue intenzioni, e gli uomini non gli mancheranno”.
“Quattro uomini di buona volontà per venire a farsi uccidere con me!”, disse d’Artagnan alzando la spada. Due suoi compagni delle guardie si slanciarono subito, e, siccome due soldati si erano uniti a loro, fu così raggiunto il numero richiesto; d’Artagnan respinse dunque tutti gli altri, non volendo fare ingiustizie a coloro che avevano la priorità. Si ignorava se, dopo la presa del bastione, gli abitanti di La Rochelle l’avessero evacuato o se vi avessero lasciato una guarnigione; bisognava dunque esaminare il luogo indicato abbastanza da vicino in modo da verificare la cosa.
D’Artagnan si mosse con i quattro compagni e seguì la trincea: le due guardie camminavano sulla stessa fila, e i soldati venivano dietro.
Giunsero così, riparandosi dietro gli argini, a un centinaio di passi dal bastione! Lì d’Artagnan, voltandosi, s’accorse che i due soldati erano scomparsi.
Pensò che, avendo paura, fossero rimasti indietro e continuò ad avanzare.
Alla svolta del terrapieno, si trovarono a circa sessanta passi dal bastione.
Non si vedeva nessuno, e il bastione sembrava abbandonato.
I tre andati allo sbaraglio deliberavano se andare oltre, quando a un tratto una cintura di fumo cinse il gigante di pietra, e una dozzina di pallottole fischiarono intorno a d’Artagnan e ai suoi due compagni.
Sapevano quel che volevano sapere: il bastione era difeso. Una più lunga sosta in quel punto pericoloso sarebbe dunque stata un’imprudenza inutile; d’Artagnan e le due guardie voltarono le spalle e cominciarono una ritirata che somigliava a una fuga.
Come giungevano all’angolo della trincea che doveva servir loro di riparo, una delle guardie cadde: una pallottola le aveva trapassato il petto. L’altra, che era sana e salva, continuò la corsa verso l’accampamento.
D’Artagnan non volle abbandonare così il compagno, e si chinò su di lui per rialzarlo e aiutarlo a raggiungere le linee; ma in quel momento partirono due fucilate: una pallottola spaccò la testa della guardia già ferita, l’altra andò a schiacciarsi sulla roccia dopo essere passata a due pollici da d’Artagnan.
Alexandre Dumas, I tre moschettieri, trad. it. di D. Graneg Fiori, Novara, De Agostini, 1982
Il successo di questi romanzi, in ogni caso, è straordinario. Il ciclo dei Tre moschettieri è una delle prove più affascinanti e coinvolgenti del romanzo storico, di gran moda in Francia a partire dalle traduzioni delle opere di Sir Walter Scott, vero fondatore del genere, ed espressione di uno dei pilastri portanti dell’estetica romantica, lo storicismo. A questo stesso genere, che si coniuga, come già ricordato, con la struttura e le tecniche compositive tipiche del romanzo a puntate – il cui modello è da ricercarsi, per esempio, nei Misteri di Parigi, (Les mystères de Paris, 1842-43) o nell’Ebreo errante (Le Juif errant, 1844-45) di Eugène Sue –, si possono avvicinare anche La dama di Monsoreau, (La Dame de Monsoreau, 1846) o La collana della regina, ( Le Collier de la reine, 1849).
Nel dosaggio che mescola storia e finzione, però, non si dovrà mai chiedere a Dumas un rispetto scientifico degli eventi storici cui il testo si riferisce o evoca, né l’elusione, sempre a tale proposito, di anacronismi. Nelle libertà che, a buon diritto, come autore si prende, Dumas sembra preferire momenti storici caratterizzati da forti tensioni, che implicano, per i personaggi, peripezie spettacolari e che suggeriscono un gusto per l’eccesso, sovente utilizzato a favore della presa che il romanzo esercita sul lettore sotto i cui occhi prendono vita battaglie, duelli, scene di massa. Se talvolta la psicologia dei personaggi risulta un po’ semplice (come nelle figure dei tre moschettieri), altre volte il protagonista riesce ad affascinare il lettore per l’aura di mistero che lo avvolge o per il suo statuto eminentemente eroico, come nel caso di Edmond Dantès.
Dopo aver preso parte anche alla rivoluzione del 1848 e aver conosciuto l’esilio in Belgio (per motivi finanziari, però, e non politici), Dumas, durante un viaggio nel Mediterraneo (1860), incontrerà Giuseppe Garibaldi, con il quale condivide alcuni anni di avventure patriottiche, quando, per esempio, s’impegna personalmente, fra l’altro, nella lotta alla camorra, fondando a Napoli un quotidiano bilingue, "L’Indipendente", pubblicato fino al 1876, anche dopo che Dumas lascia Napoli, nel 1864.
L’interazione fra teatro e romanzo non appare solo nel modo di impostare e di sfruttare i dialoghi nei suoi libri, ma anche nelle diverse trasposizioni che le opere narrative hanno per la scena: I moschettieri ( Les Mousquetaires, 1845), La giovinezza dei moschettieri (La Jeunesse des mousquetaires, 1849), Il conte di Monte Cristo (Le Comte de Monte-Cristo), dramma del 1848.La popolarità di Alexandre Dumas è incomparabile, se si segue l’ottica dei lettori e del pubblico. Le critiche da parte delle istituzioni letterarie, però, non mancano, soprattutto per quanto riguarda l’accusa di produrre quella che viene definita, in maniera dispregiativa, letteratura industriale.
Dumas tocca diversi generi romanzeschi, spesso contaminandoli reciprocamente (romanzo storico, certo, ma anche romanzo d’avventure, romanzo sentimentale, romanzo nero), rivelando, così, un altro dei tratti che lo riconducono al romanticismo. Dumas si confronta anche con il fantastico, altro grande genere della letteratura romantica, seppure con risultati non certo paragonabili a quelli del ciclo dei moschettieri o di molti romanzi storici. Molti dei racconti fantastici di Dumas non si segnalano per grande originalità, ma alcuni sono degni di un certo interesse, come Le Meneur de loups (1857), in cui il sovrannaturale – nella figura del diavolo che prende natura umana – gioca un ruolo importante.
La morte di Dumas, nel 1870, nella casa del figlio Alexandre, non coincide certo con la fine della sua fama. Ben presto, già a partire dall’Ottocento, le sue opere forniscono lo spunto per decine di riscritture, così come, nel tempo, centinaia di riedizioni ed altrettanti adattamenti – cinematografici, televisivi, fumettistici – che le hanno spesso spinte fino alla soglia della leggenda che alimenta l’immaginario collettivo di un numero sempre maggiore di generazioni.