Tocqueville, Alexis de
Scrittore politico francese, nato a Parigi nel 1805 e morto a Cannes nel 1859. Discendente per parte di padre da antica aristocrazia normanna e, dal lato materno, legato alle tradizioni amministrative della noblesse de robe. A seguito di un viaggio negli Stati Uniti (apr. 1831-marzo 1832) pubblicò in due momenti (1835 e 1840) De la démocratie en Amérique. Membro della Chambre des députés negli anni della monarchia di luglio (183948), ministro degli Esteri sotto la Seconda Repubblica (1849), avrebbe abbandonato la vita politica dopo il colpo di Stato di Luigi Napoleone Bonaparte (2 dic. 1851) e si sarebbe dedicato agli studi storici (L’Ancien Régime et la Révolution, 1856). A giudizio di Wilhelm Dilthey fu «tra tutti gli analisti del mondo politico il più grande dopo Aristotele e Machiavelli» (cit. in F.M. De Sanctis, Tempo di democrazia. Alexis de Tocqueville, 2005, p. 23).
Occasione per un tributo all’opera di M. fu per T. il discorso pronunciato quale presidente di turno dell’Accademia di scienze morali e politiche il 3 aprile 1852: nel ristretto numero di coloro che
sulla base sia di resoconti dettagliati della storia sia dello studio astratto dell’uomo, ricercano quali siano i diritti naturali che appartengono al corpo sociale e i diritti che l’individuo esercita, quali leggi convengano meglio alle società [...] quali forme di governo siano applicabili secondo i casi, i luoghi, i tempi (OEuvres complètes, da ora in poi OC, 16° vol., Mélanges, éd. F. Mélonio, 1989, p. 232),
T. indicava cinque autori: Platone, Aristotele, M., Montesquieu e Rousseau. Nell’opera edita, i riferimenti espliciti a M. si riducono tuttavia a un unico caso. Nel capitolo Alcune considerazioni sulla guerra nelle società democratiche nella seconda parte della Democrazia in America si legge: «Machiavelli dice nel Principe [riassume liberamente la tesi del cap. iv] che “è molto più difficile soggiogare un popolo che ha come capi un principe e dei baroni, che una nazione guidata da un principe e da degli schiavi”»; si sostituisca, aggiunge con venatura polemica riferita al suo tempo, «funzionari pubblici al posto di schiavi e avremo una grande verità che possiamo applicare benissimo al nostro argomento» (Scritti politici, a cura di N. Matteucci, 2° vol., La democrazia in America, 1968, p. 777). Per quanto limitato sia dunque il riferimento diretto all’opera di M. (T. è del resto assai parco di citazioni e persino i nomi di Montesquieu e di Rousseau, autori che sappiamo di frequentazione costante, risultano pressoché assenti dalle sue pagine), del rapporto di T. con M. siamo informati da: a) appunti preparatori alla stesura della Democrazia in America; b) estese note di lettura; c) ulteriori riflessi di quelle letture in alcuni importanti momenti di conversazione epistolare.
a) Nelle carte che si riferiscono alla redazione del capitolo ove compare il citato riferimento all’«idea vera e profonda» espressa da M. «nella sua orribile opera del Principe», T. esprime una riserva di fondo sulla personalità intellettuale di M. «che dopo tutto non è che un uomo superficiale, abile a scoprire le cause secondarie ma cui le grandi cause generali sfuggono» e che solo «accidentalmente e senza vederla» aveva in quel punto toccato «una delle grandi conseguenze politiche che in modo preciso scaturiscono da un assetto sociale democratico o aristocratico» (De la démocratie en Amérique, première édition historico-critique revue et augmentée par E. Nolla, 2° vol., 1990, p. 233 nota e).
b) Momento decisivo del rapporto di T. con l’opera di M. fu l’estate del 1836 quando, nel quinquennale intervallo tra la pubblicazione delle due parti della Democrazia in America e proprio in relazione al completamento di un’opera (1840) che avrebbe assunto caratteri profondamente innovativi rispetto alla parte edita nel 1835, T. avviò un intenso programma di letture, in particolare nel corso di un soggiorno in Svizzera ove, in contestuale e non casuale parallelo con le opere di Platone e di Jacques-Bénigne Bossuet, egli lesse il Principe, le Istorie fiorentine e altri scritti minori di M., inseriti così nel contesto di letture dichiaratamente propedeutiche all’arricchimento di temi filosofico-politici e sociologici del libro sulla democrazia. L’edizione delle opere machiavelliane utilizzata da T. e ancor oggi conservata presso la biblioteca della sua residenza normanna è quella in dodici volumi tradotti da Jean-Vincent Periès (1823-1826): nel viaggio citato, T. aveva recato con sé i volumi 3°, 5° e 6° comprendenti, tra l’altro, il Principe e le Istorie fiorentine. Quelle che nelle OC sono edite come Notes sur Machiavel alternano momenti di resoconto sintetico a spunti interpretativi e comparatistici che rimandano ai temi dell’opera successiva di Tocqueville. I due testi, datati rispettivamente Baden 1° e 3 agosto 1836, vennero da T. titolati Allemagne du XVe siècle. Bienfaits de la liberté communale au moyen âge e Résumé de l’Histoire de Florence par Machiavel, depuis la fondation de la ville jusqu’en 1492, époque de la mort de Laurent le Magnifique (OC, 16° vol., cit., pp. 541-43 e 543-50). Nel primo di essi, originato dalla lettura del Rapporto di cose della Magna e del Ritratto di cose di Francia, dopo avere osservato «che non è possibile diffondere in meno parole più chiarezza su di un soggetto di quanto non abbia fatto qui Machiavelli», T. si sofferma sulle relazioni intercorrenti tra le «trois puissances»: l’imperatore, la nobiltà e i comuni e le città libere. Erano le città, secondo M., a costituire «le nerf de l’Empire», favorite «presque toujours» dall’imperatore: a conferma di un modello interpretativo dell’ascesa della borghesia in Europa che risaliva agli storici francesi negli anni della Restaurazione François-Pierre-Guillaume Guizot (le cui lezioni T. aveva ascoltato alla Sorbona nel 1828) e Augustin Thierry.
I conflitti tra le diverse componenti sociali stanno al centro dell’assai più estesa analisi delle Istorie. La «distruzione dei nobili» al termine della fase compresa tra il 1255 e il 1343 e, con il breve interludio della rivolta dei Ciompi nel 1378, «la gestione del governo quasi esclusivamente nelle mani della haute bourgeoisie» (‘nuova aristocrazia’ fondata sul potere «de la banque et du négoce»), infine le divisioni all’interno di quest’ultima, costituiscono il cuore della riflessione tocquevilliana, non priva di motivi attualizzanti:
la parte di aristocrazia che aveva trionfato [all’avvento di Cosimo] era più popolare e si pretendeva più amica del popolo che quella soccombente: essa formava un partito assai simile ai Whigs d’Inghilterra (OC, 16° vol., cit., p. 545).
Il testo reca in conclusione alcune pagine dal titolo Remarques générales sur la République florentine et principalement sur ce qui distingue ce qu’on nomme la démocratie de Florence des démocraties contem poraines (OC, 16° vol., cit., pp. 547-50). Già T. aveva rilevato che «l’idea del diritto è più assente da questa storia che da alcuna altra da me conosciuta» (p. 545), ora osservava che, se anche dopo il 1343 non esisteva più una noblesse in senso tradizionale, vi era ancora una aristocratie fondata sul denaro: alla morte di Cosimo «dice Machiavelli, si scoprì che quasi tutti i cittadini erano suoi debitori» (p. 546). «[...] dire che Firenze avesse a quell’epoca un assetto sociale democratico» equivaleva per T. all’affermazione «che Manchester e Liverpool o qualsiasi altro grande centro dell’industria e del commercio comprendenti al loro interno fortune colossali e miserie inaudite» fossero, al suo tempo, modelli di società democratiche (p. 547).
c) Le reazioni suscitate in T. dalla lettura delle opere di M. sono consegnate anche in due lettere: la prima al cugino e confidente Louis de Kergorlay (5 ag. 1836, OC, 13° vol., Correspondance d’Alexis de Tocqueville et de Louis de Kergorlay, éd. A. Jardin, 1977, pp. 387-91), la seconda a Pierre-Paul Royer-Collard, figura eminente del liberalismo parlamentare negli anni della Restaurazione (25 ag. 1836, OC, 11° vol., Correspondance d’Alexis de Tocqueville et de Pierre-Paul Royer-Collard, éd. A. Jardin, 1970, pp. 18-21). In esse c’è l’eco della lettura contigua del Principe e delle Istorie (lette queste ultime «très attentivement»: OC, 13° vol., cit., p. 389), l’uno «opera superficiale nonostante i pensieri profondi che di tanto in tanto vi si rincontrano» (giudizio che nella lettera a Royer-Collard viene diffusamente argomentato); le altre «opera di un grande scrittore e sovente di un grande politico». Tuttavia, T. affermava di non comprendere come si fosse potuto esprimere «il minimo dubbio sulla moralità di M. [...] l’autore del Principe e quello della Storia di Firenze mi sembrano un solo e medesimo individuo»: «al di là della diversità del soggetto» comuni gli apparivano indifferenza per il problema della giustizia e «adorazione» per l’abilità e il successo (OC, 11° vol., cit., p. 20). Nella lettera a Kergorlay, a M. è attribuita la visione secondo cui «il mondo è una grande arena dalla quale Dio è assente, ove la coscienza non ha nulla a che fare e dove ognuno se la deve cavare alla meglio che può». Per evocare subito una figura a lui contemporanea che sempre gli avrebbe ispirato avversione: «Machiavel est le grand-père de monsieur Thiers. C’est tout dire» (OC, 13° vol., cit., p. 390).
Nelle pagine dedicate alle Istorie, T. osserva che proprio «al tempo in cui Firenze è stata dilaniata dalle fazioni essa è divenuta ricca, potente, brillante, erudita, dedita alle lettere, in una parola uno dei grandi centri della civilizzazione moderna» (OC, 16° vol., cit., p. 549). Lasciando impregiudicata la questione se T. abbia avuto conoscenza diretta dei Discorsi, le cui tesi di fondo erano del resto per lui mediate dal Montesquieu delle Considérations, una linea interpretativa italiana, da Vittorio de Caprariis a Nicola Matteucci, ha posto in evidenza come M. e T. abbiano più di ogni altro pensatore politico privilegiato «il movimento, il contrasto, il conflitto, la diversità» (cfr., da ultimo, Noto 2012, pp. 377 e segg.).
Bibliografia: M. Richter, Tocqueville’s brief encounter with Machiavelli. Notes on the Florentine Histories (1836), «History of political thought», 2005, 26, pp. 426-42; A. Noto, Il Machiavelli di Tocqueville, in Tocqueville e l’Occidente, a cura di D. Thermes, Soveria Mannelli 2012, pp. 355-81.