Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il panorama della diffusione e dell’uso della cultura scritta si presenta nell’Europa del Seicento molto variegato. Fattori come l’appartenenza religiosa, il livello sociale, il sesso, la residenza urbana e rurale e la professione esercitata influiscono grandemente, anche perché in nessun Paese europeo esiste un sistema scolastico strutturato in maniera coerente e uniforme.
L’alfabetizzazione: saper leggere, saper scrivere
Lo studio dell’alfabetizzazione nell’Europa del Seicento pone diversi problemi. Innanzitutto vi è la difficoltà di reperire fonti da cui ricavare dati quantitativi attendibili e comparabili. Le fonti forse più utilizzate sono atti giudiziari, notarili o parrocchiali che recano in calce la firma (o la croce) delle parti o dei testimoni. Proprio la relativa abbondanza di questo genere di documenti per l’Età moderna ha fatto sì che la storia dell’alfabetizzazione sia stata, dopo la storia dei prezzi e la demografia storica, uno dei primi campi a cui gli studiosi hanno applicato metodologie di analisi quantitativa.
Il problema fondamentale è però capire che cosa si intende per alfabetizzazione. Il rapporto con la parola scritta non è una cosa che possa essere espressa in semplici termini binari – alfabeta vs. analfabeta – e la capacità di apporre una firma può essere considerata solo come un’indicazione approssimativa, anche se preziosa, del rapporto che un individuo intrattiene con la scrittura. Non sempre infatti la capacità di leggere e scrivere vanno di pari passo. Se la capacità di leggere dipende in larga parte dalla cultura religiosa, quella di scrivere (e far di conto, poiché l’apprendimento di nozioni aritmetiche di base è un aspetto importante dell’alfabetizzazione) dipende maggiormente da esigenze sociali ed economiche. E anche la capacità di leggere non ci dice molto sugli effettivi consumi culturali delle persone, di quanto, di cosa e di come leggono. Inoltre le competenze in fatto di scrittura non sono progredite in modo lineare e uniforme nel tempo, secondo un modello evoluzionistico in voga fino a qualche decennio fa.
Pur con tutte le cautele, è innegabile che nel corso dell’età moderna il numero degli alfabetizzati sia generalmente cresciuto. Questa crescita è stata però ineguale nello spazio e discontinua nel tempo. Inoltre le diseguaglianze che si registrano in fatto di distribuzione del capitale culturale degli individui sono almeno altrettanto grandi di quelle esistenti nella distribuzione delle risorse economiche o dei diritti sociali e politici. Le differenze fra ricchi e poveri, Europa cattolica ed Europa protestante, Nord e Sud, città e campagna, e, soprattutto, uomini e donne, disegnano un quadro molto vario.
La religione e la scrittura
Tradizionalmente si ritiene che la Riforma protestante abbia favorito l’alfabetizzazione popolare. Il protestantesimo richiede infatti un accesso diretto del fedele alla Scrittura, senza la duplice mediazione del sacerdote e dell’immagine. La Riforma avrebbe quindi segnato il passaggio da una cultura dell’immagine e dell’oralità, qual era quella medievale, a una cultura della parola scritta che ha appunto al centro il Libro per eccellenza. Che un’influenza della Riforma ci sia stata e che a essa sia riconducibile, almeno in parte, il vantaggio che i Paesi dell’Europa protestante godono su quelli cattolici in fatto di alfabetizzazione, è indubbio.
La capacità di leggere e scrivere rimane comunque appannaggio di una minoranza. Verso il 1640 in Inghilterra solo il 30 percento degli uomini è in grado di firmare. La cosiddetta “rivoluzione nell’educazione” che si sarebbe verificata, secondo lo storico Lawrence Stone, tra il 1560 e il 1640, non sembrerebbe aver lasciato tracce troppo profonde: anche se la metà dei condannati a morte negli anni 1612-1614 sa firmare, evidentemente si tratta di un campione selezionato. Decisamente migliore la situazione in Olanda – il dato però si riferisce solo ad Amsterdam – dove nel 1630 il 57 percento degli uomini e il 32 percento delle donne è in grado di firmare la propria promessa di matrimonio. In Svezia, grazie a un deciso intervento congiunto dello Stato e della Chiesa luterana, le percentuali sono molto più elevate, anche se probabilmente l’obbligo per tutti di saper leggere e scrivere, fissato per legge, nel XVII secolo non viene osservato integralmente. In Francia l’alfabetizzazione sembra in ritardo. A fine secolo solo il 29 percento degli uomini e il 14 percento delle donne ha qualche dimestichezza con la scrittura e le regioni settentrionali risultano molto più permeabili alla parola scritta. In Italia – il dato si riferisce a Torino e provincia – all’inizio del Settecento è in grado di firmare il 71 percento dei maschi che risiedono in città, ma solo il 21 percento degli abitanti della campagna.
In tutta Europa i progressi durante il Seicento sono sensibili ma il divario fra le diverse nazioni si mantiene sostanzialmente costante. Si disegnano così i contorni di un’Europa a due velocità, in cui una contrapposizione Nord-Sud viene parzialmente a coincidere con quella fra protestanti e cattolici. Da una parte tassi di alfabetizzazione, a fine secolo, pari o superiori al 50 percento per gli uomini (molto inferiori per le donne), dall’altra una percentuale di uomini che sanno scrivere che raramente supera il 30.
Città e campagna, ricchi e poveri
La confessione religiosa non è certo l’unica variabile che influenza la diffusione e gli usi della cultura scritta. Il caso francese, con le forti differenze all’interno di una nazione a grande maggioranza cattolica, dimostra in modo particolarmente evidente come i parametri che influenzano l’alfabetizzazione siano molteplici. D’altronde, anche nei paesi cattolici, la chiesa della Controriforma si impegna a fondo nel promuovere l’istruzione popolare come strumento di acculturazione religiosa e morale della popolazione. A Milano, ad esempio, la Confraternita della Dottrina Cristiana che si prefigge “per amor del Sr. Iddio di insegnare il vivere christiano et boni costumi christani e leggere e scrivere gratis”, può contare su 700 insegnanti e coinvolge 20 mila allievi, vale a dire poco meno della totalità della popolazione sotto i quattordici anni.
La residenza urbana o rurale e la collocazione sociale e professionale sono due fattori di primaria importanza nel determinare il livello di alfabetizzazione. A Torino, ad esempio, la percentuale degli alfabetizzati maschi è quattro volte superiore rispetto alla campagna, e quella delle donne addirittura sette volte. Ancora superiore il divario a Londra. Mentre in alcune parrocchie urbane gli analfabeti sono solo il 10 percento degli adulti, nelle campagne circostanti questa percentuale sale a 70. Il declino di molte città italiane e spagnole durante il Seicento può aver influenzato negativamente il livello di istruzione complessivo di questi Paesi.
La condizione sociale è anch’essa determinante. Guardiamo ancora al caso inglese. L’alfabetizzazione è quasi universale fra gli appartenenti all’élite: aristocratici, clero, gentry e squires, professionisti e grandi mercanti. La percentuale scende considerevolmente fra gli yeomen (agricoltori agiati), 65 percento, e fra i piccoli e medi commercianti e gli artigiani: 44 percento. I contadini meno abbienti, i braccianti e i poveri sono per oltre l’80 percento analfabeti, e la differenza diventa molto più profonda se si tiene conto della capacità di scrivere e di far di conto, oltre alla semplice capacità di lettura.
L’alfabetizzazione è comunque legata più a esigenze funzionali che al livello sociale o al reddito. Bisogna considerare che la scolarizzazione richiede un investimento di tempo e denaro non irrilevante da parte delle famiglie, un investimento che deve essere giustificato da precise esigenze. Si spiegano così gli elevati livelli di alfabetizzazione di molte regioni montane europee interessate da fenomeni migratori. Per gli emigranti, che spesso si assentano per mesi e anni, la capacità di scrivere è essenziale, sia per tenere i contatti con il Paese d’origine, sia per inserirsi vantaggiosamente nelle località, spesso urbane, di immigrazione. La geografia dello sviluppo economico tende a corrispondere a quella dell’alfabetizzazione e i due elementi si rafforzano reciprocamente.
Infine, ovunque in Europa, le donne sono molto meno alfabetizzate degli uomini. Il curriculum scolastico riservato alle donne è decisamente più breve e solo eccezionalmente esse accedono all’istruzione secondaria.
Istituzioni scolastiche
La distinzione fra i diversi livelli dell’alfabetizzazione – lettura, scrittura, capacità di far di conto – è importante anche nell’analisi dei modi in cui ha progredito e degli agenti che l’hanno favorita. Per quanto riguarda l’apprendimento della lettura, la scuola ha probabilmente un ruolo limitato. Per quanto concerne la scrittura e l’aritmetica, i vari tipi di istituzione scolastica sono invece fondamentali.
L’insegnamento delle nozioni elementari avviene in forme diverse. Alcune scuole vengono istituite per decisione delle comunità locali e delle parrocchie, come nel caso citato, altre sono finanziate da lasciti testamentari, altre ancora sono frutto dell’iniziativa di maestri che vengono pagati direttamente dalle famiglie degli allievi. L’origine e la preparazione di questi maestri è anch’essa molto eterogenea. Troviamo ecclesiastici, artigiani, ex soldati e altri ancora. La scuola, nelle sue diverse forme, non è del resto l’unica strada per imparare a leggere e scrivere. L’educazione elementare dei bambini dell’aristocrazia e di parte del ceto borghese avviene spesso all’interno delle mura domestiche a opera di precettori, per lo più religiosi. Negli ambienti artigianali è sovente il maestro artigiano stesso a impartire agli apprendisti i primi rudimenti del leggere, dello scrivere e del far di conto, e questo compito è spesso esplicitamente menzionato nei contratti di apprendistato. Per quanto riguarda l’educazione delle fanciulle, un ruolo importante hanno gli ordini religiosi – ad esempio le orsoline – e i conventi femminili.
Il ruolo dello stato è limitatissimo. Decisamente più attive sono le autorità ecclesiastiche. La direttiva della Chiesa cattolica secondo la quale ogni parrocchia dovrebbe essere dotata di un maestro che insegni catechismo e a leggere e scrivere, non è stata certo applicata ovunque, ma forse più di quanto non si creda. Nella Maremma grossetana, ad esempio, nel 1676, 46 parrocchie su 54 hanno assoldato un maestro. Nel valutare i risultati di queste iniziative occorre comunque tenere presente che il loro scopo primario non è tanto l’istruzione, quanto il controllo sociale e religioso. Dalla scuola ci si aspetta soprattutto che contrasti “per quanto possibile, l’otio de poveri, con doverli fare applicare a qualche honesto e santo esercitio”.
L’istruzione superiore e l’università
L’insegnamento del latino segna il passaggio all’istruzione secondaria. Naturalmente il numero degli utenti si restringe enormemente. Salvo rari casi, l’istruzione secondaria è infatti riservata agli appartenenti alle classi superiori. Nella Grammar School di Bury St. Edmunds, ad esempio, i cui statuti prevedono un accesso preferenziale per i poveri, di poveri non c’è traccia. Nel 1658 il 52 percento degli alunni sono di origine nobiliare – cavalieri, esquires, gentry – il 17 percento sono figli di chierici o professionisti – medici, avvocati – il 16 percento di ricchi mercanti e il rimanente di yeomen, agricoltori agiati.
Anche in questo caso le forme dell’insegnamento variano, ma nell’Europa cattolica i collegi dei gesuiti (a partire dalla seconda metà del Cinquecento) acquistano un primato e un prestigio indiscusso. In Spagna i collegi della Compagnia di Gesù sono frequentati da più di 10 mila giovani ogni anno. Nel 1600 i gesuiti hanno in Italia più di cento istituti. Questi collegi costituiscono uno degli strumenti più efficaci della controffensiva culturale cattolica, ma altri ordini religiosi sono impegnati nell’educazione, come gli Oratoriani, i Barnabiti, i Domenicani, i Francescani. Il contenuto dei curricula svolti nelle scuole dei Paesi protestanti e di quelli cattolici non è sostanzialmente diverso. Nei collegi e nelle accademie si insegnano “grammatica” (latino), retorica, storia, filosofia e teologia. Comunque l’insegnamento in questi istituti, anche quelli con una caratterizzazione specifica come le accademie militari, non ha finalità di preparazione professionale. La sua funzione fondamentale è quella di socializzazione e di formazione di gentiluomini. A partire dalla seconda metà del secolo, l’insegnamento impartito dalla scuola secondaria, soprattutto nei Paesi dell’Europa settentrionale, dà uno spazio maggiore agli insegnamenti pratici e profani a scapito dello studio dei classici o dell’insegnamento religioso. Contemporaneamente il latino lascia gradatamente il posto alle lingue nazionali.
Il livello ulteriore è rappresentato dalle università. Durante il Seicento le università come istituzioni di educazione superiore perdono però terreno di fronte alla concorrenza dei collegi e delle accademie, anche se si contano varie nuove fondazioni, come Turku in Finlandia e Halle in Germania. Naturalmente il numero di coloro che accedono a questa forma di educazione superiore è estremamente ristretto. Le università tedesche prima della guerra dei Trent’anni contano tra i cento e i mille allievi. Il totale degli iscritti alle università scozzesi alla fine del secolo non supera le mille unità. Una caratteristica delle università più prestigiose è l’aspetto cosmopolita della loro popolazione studentesca. La maggior parte delle altre ha però un reclutamento regionale o nazionale.