Alfabeto
di A. Petrucci
Ogni a. è un sistema di segni dotato, in quanto tale, di una forte valenza simbolico-figurativa, e quindi estetica; essa viene consapevolmente esplicitata dagli scriventi ogni volta che ciò risulti funzionale a determinati fini di comunicazione, oltre che verbali, anche sintetico-figurali, sia autonomi, sia sussidiari a quelli del testo.
Tale processo di esplicitazione e di rappresentazione si svolge di volta in volta attraverso la realizzazione di tipi di a. diversamente solenni ed eleganti, in ciascuno dei quali la presenza di elementi non strutturali, ma sovrabbondanti, perché meramente ornamentali, è molto forte; essa può arrivare a stravolgere il disegno stesso delle singole lettere, in quanto assolve a una sua autonoma ed essenziale funzione comunicativa e designativa. La realizzazione di tali tipi di scrittura, propri a ciascun sistema alfabetico e diversi da epoca a epoca, da situazione a situazione, avviene di solito sulla base di modelli grafici preesistenti che i singoli elaboratori di volta in volta possono ripetere pedissequamente o modificare più o meno profondamente; l'individuazione di tali modelli e il riconoscimento delle tecniche esecutive adottate costituiscono elementi fondamentali e indispensabili dello studio degli aspetti estetici degli a. come sistemi di segni con valenza simbolico-figurativa.
Col termine di 'scritture d'apparato' si designano i tipi di a. particolarmente eleganti e solenni nei quali appare consapevole ed evidente la ricerca di un equilibrio graficoestetico, funzionale a finalità indicative, designative, separative, di esaltazione dei contenuti del testo o di guida al lettore. Si tratta in genere di a. di modulo grande o di forme elaborate e artificiose, adoperabili, e adoperate, in qualsiasi situazione scrittoria, epigrafica, libraria, documentaria, monumentale o pittorica.
Nel caso in cui le scritture d'apparato siano disposte in spazi aperti, o anche in spazi chiusi sufficientemente ampi per permettere una lettura plurima e a distanza, si può parlare di scritture d'apparato esposte. In ogni caso le particolari funzioni cui le scritture d'apparato, esposte o no, sono adibite, ne condizionano il rapporto con lo spazio di scrittura, la disposizione stessa dello scritto, che può variare grandemente, la maggiore o minore fittezza delle righe fra loro e dei singoli segni sulle righe, il gioco fra spazi vuoti (bianco) e spazi scritti (nero), l'uso del colore; cosicché nello studio delle scritture d'apparato, e perciò stesso della funzione estetica delle scritture alfabetiche, non si può mai ignorare il contesto spaziale in cui esse si collocano, il modo in cui occupano lo spazio grafico loro riservato (sia che si tratti di un muro, di una tavola dipinta o della pagina di un codice) e il rapporto che le lega all'eventuale manufatto artistico di cui costituiscono la parte iscritta.
di A. Petrucci
Nel mondo tardoantico una sicura gerarchia dei tipi scrittorî non rendeva necessaria la creazione di a. particolari d'apparato, poiché questa funzione poteva essere assolta (e spesso lo era) dalla scrittura ritenuta di volta in volta più solenne: capitale epigrafica o rustica, ovvero onciale nel mondo latino; maiuscola epigrafica o biblica nel mondo greco. Ciò non toglie che, proprio tra la fine del sec. 5° e gli inizi del 6°, in Italia, in un contesto difficile da definire, vengano per la prima volta adoperate in un codice di lusso (il Virgilio c.d. Augusteo: Roma, BAV, lat. 3256; Berlino, Staatsbibl., 2°, 416) delle iniziali di grande formato, ornate con motivi figurativi, colorate e poste fuori della giustezza del testo. Ma in realtà, almeno nell'Europa occidentale di lingua scritta latina, è l'Alto Medioevo il periodo in cui si vengono definendo a. d'apparato particolari sia in funzione di lettere iniziali, sia per la designazione di titoli, incipit ed explicit, nonché, in ambito epigrafico, per la esposizione di testi solenni incisi su materie dure. Si tratta di prodotti scrittorî assai diversi fra loro, che assolvono a finalità diverse, e che sono eseguiti da operatori molto spesso fra loro diversi, in ambienti differenti e per pubblici differenti.
In particolare, le lettere iniziali, abbandonato il primo modello fondato su schemi decorativi tardoantichi (pesci affrontati, motivi a treccia, ecc.), assumono aspetto fitomorfo e zoomorfo, mescolando arditamente la struttura del singolo segno con la figura, secondo un processo recentemente ben ricostruito e sintetizzato da Pächt (1984). Al di là di tale fenomeno - che sarà indagato in altri contributi - occorre segnalare la grande varietà di maiuscole designative che accompagnano fra i secc. 8° e 9° i codici di maggior lusso prodotti soprattutto nelle Isole Britanniche, in Spagna e in Francia. La creazione in Irlanda di più a. d'apparato di grande complessità e di altissima potenzialità ornamentale influì anche sulla distribuzione degli spazi nella pagina e fece prevalere nettamente la valenza decorativa su quella verbale in prodotti di estrema raffinatezza formale, ma spesso di difficile comprensibilità. Nella Spagna mozarabica e in quella cristiana si svilupparono, del tutto indipendentemente dai modelli antichi e da quelli insulari, a. d'apparato geometrizzati di grande suggestione, adoperati fino almeno al sec. 11°, mentre altrove, nella Francia e nell'Italia precarolina, gli stilemi insulari influirono più direttamente sulle tipologie grafiche solenni, almeno nei prodotti di maggiore lusso. In campo epigrafico mancò una chiara individuazione di modelli e di tipologie e, a parte prodotti di particolare raffinatezza quali quelli della Pavia longobarda (da sottoporre comunque ad attento controllo), ci si limitò a rielaborazioni più o meno ordinate e felici della capitale tardoantica, come a Roma.
La rinascenza grafica carolingia adoperò largamente le scritture d'apparato, per ovvie ragioni di prestigio e di restaurazione del valore simbolico e culturale dello scritto e del libro; e lo fece restituendo la gerarchia dei tipi grafici corrente nella cultura tardoantica e riesumando la capitale monumentale (per opera, come pare, di un certo Bertocando), quella rustica, l'onciale di stile italiano (romano o settentrionale), la semionciale e così via. All'impressione di solennità fornita dalle tipologie grafiche contribuivano, nei libri di lusso prodotti nei centri scrittorî di maggiore importanza e collegati direttamente col potere regio e imperiale, anche l'uso della pergamena colorata e della scrittura in oro e in argento. Nell'epigrafia solenne (basti l'esempio dell'epigrafe su marmo nero fatta incidere da Carlo Magno per Adriano I su testo di Alcuino e oggi a Roma nel portico di S. Pietro) si riprese la tecnica antica del taglio triangolare delle aste e una più diretta imitazione delle tipologie di età classica. Comunque in età carolingia i livelli più alti e complessi di elaborazione ornamentale ed espressiva degli a. d'apparato furono raggiunti più tardi nel corso del sec. 9° e precisamente nei grandi codici commissionati da Carlo il Calvo, quali la Bibbia di S. Paolo f.l.m. a Roma, opera di Ingoberto, e il c.d. Codex Aureus di Monaco (Bayer. Staatsbibl., Clm 14000). In questi esempi la scrittura d'apparato si risolve in un fatto puramente figurativo, in cui colore e ornamentazione finiscono per prevalere, all'interno del discorso grafico, sul valore verbale dei segni.Il libro e l'epigrafia di età ottoniana seguirono e, in qualche misura, perfezionarono - ma anche irrigidirono - i grandi modelli del tardo sec. 9°, che continuarono a essere adoperati e riprodotti - sia pure in forme via via sempre più artificiose e sempre più diversificate - sino ai codici di lusso commissionati all'inizio del sec. 11° da Enrico II. Notevole fu nell'Europa unificata dalla scrittura carolina l'influenza delle soluzioni grafico-ornamentali adottate nella produzione libraria di lusso dei grandi centri tedeschi di età ottoniana, come quella della scrittura d'apparato di tipo capitale inserita su strisce dorate, che giunse nella seconda metà del sec. 11° sino nella Montecassino di Desiderio.Intanto nel mondo bizantino l'affermazione, dal sec. 9° in avanti, della minuscola in campo librario, faceva sì che nel corso del sec. 10° si formasse, probabilmente a Costantinopoli, un particolare a. d'apparato, definito epigrafico (Hunger, 1977), ma che si diffuse ampiamente anche in campo librario e che divenne una caratteristica evidente dei codici di maggiore lusso. Si tratta di una capitale greca alta e stretta, fornita di bottoni e di riccioli ornamentali e caratterizzata da inclusioni di lettere più piccole in altre più grandi e da frequenti nessi; se ne ha un evidente esempio nella splendida Bibbia di Niceta (Firenze, Laur., Plut. 5. 9; e anche Torino, Bibl. Naz., B.I. 2; Copenaghen, Kongelige Bibl., Haun. GKS 6) prodotta appunto a Costantinopoli alla metà del sec. 10°, il che fa supporre che la maiuscola epigrafica sia un prodotto diretto della rinascenza macedone. Ma nel libro e nell'epigrafia bizantina essa rimase in uso assai a lungo e con poche modificazioni, sino al sec. 15° e alla produzione degli umanisti greci rifugiatisi in Italia.
È con il sec. 12° che gli a. d'apparato dell'Occidente latino si modificarono fortemente sia in ambito librario, sia in ambito epigrafico, dando vita a una stilizzazione originale fatta di lettere maiuscole tondeggianti, dal forte e contrastato tratteggio e dotate di bottoni ornamentali e di forti allargamenti a spatola al termine delle aste. Le scritture epigrafiche si infittiscono sia riducendo lo spazio fra rigo e rigo, sia affastellando le lettere le une addosso alle altre, abbondando in nessi e insinuando lettere più piccole in altre di formato maggiore; lo spazio di scrittura, inoltre, tende sempre più spesso a disporsi lungo il lato più lungo - e cioè in senso orizzontale - anziché verticalmente lungo il lato più corto. Nella scrittura restano in uso numerose varianti tra forme tondeggianti e forme capitali.
Nel corso del sec. 13° e soprattutto del 14°, per evidente influenza libraria, si venne affermando sia nei codici, sia nelle iscrizioni (incise o dipinte), un originale a. maiuscolo denominato 'gotico' e caratterizzato dalle forme originalmente rotondeggianti e dalla ricchezza degli elementi ornamentali e dei tratti raddoppiati. In particolare, mentre vengono eliminate le varianti capitali, le forme rotonde aperte (come la E e la C) vengono chiuse da filetti e ulteriori filetti ornamentali arricchiscono altre lettere (L, T), finendo col modificarne profondamente il disegno e col renderne difficile, anche per la generale fittezza della disposizione, l'individuazione e il riconoscimento. Nel medesimo periodo le lettere iniziali dei codici (di solito eseguite alternativamente in rosso e in turchino) si arricchiscono di sempre più complessi, pesanti e fitti apparati ornamentali, costituiti di intrecci e di filigrane, a volte allungati a occupare il margine della pagina.
In forme più o meno fitte e rotondeggianti (come in Italia) o aguzze e spezzate (come in Germania e in Inghilterra), l'a. maiuscolo gotico diventò, nel corso del Duecento e del Trecento, l'unica e comune scrittura d'apparato di tutta l'Europa occidentale e fu adoperato sia da solo, sia insieme con il corrispondente a. minuscolo, in ogni possibile occasione di scritturazione solenne ed esposta. Esso, con la sua totale e rivoluzionaria originalità ornamentale e designativa, rappresentò l'abbandono totale delle antiche forme capitali, ancora in parte sopravvissute nell'uso sino ai secc. 11° e 12° e destinate a essere riscoperte dalla rinascenza umanistica italiana del secondo Quattrocento. La grafica gotica segnò anche, contemporaneamente, il momento di maggiore indipendenza e distacco fra scrittura d'apparato latina e scrittura d'apparato greca, nel Tardo Medioevo rimasta legata - come s'è visto - a forme alte, strette e artificiosamente deformate da autonome e tradizionali esigenze ornamentali.
Bibliografia
Opere e saggi di carattere generale:
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O. Pächt, Buchmalerei des Mittelalters. Eine Einführung, München 1984 (trad. it. La miniatura medievale. Una introduzione, Torino 1987).
Medioevo bizantino:
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H. Belting, G. Cavallo, Die Bibel des Niketas. Ein Werk der höfischen Buchkunst in Byzanz und sein antikes Vorbild, Wiesbaden 1979.
di G. Tamani
Nel Medioevo l'a. ebraico, seguendo le aree geografiche e culturali della diaspora, si differenziò in una ventina di tipi di scrittura. Nell'area orientale si affermarono i seguenti tipi: palestinese, egiziano, babilonese, persiano, yemenita. In area sefardita i tipi prevalenti furono quelli formatisi nell'Africa settentrionale (Tunisia, Algeria, Marocco), nella penisola iberica, in Provenza e in Linguadoca. Due furono i tipi dell'area ashkenazita: quello della Francia settentrionale, che si diffuse anche in Inghilterra, e quello tedesco. In Italia si sviluppò, con varietà regionali, un solo tipo. Nell'area bizantina si distinsero il tipo greco e quello cretese. Comunità piccole e isolate, come quelle del Kurdistan, dell'India e della Cina, elaborarono propri tipi di scrittura.
Tre sono i principali stili o generi per ciascun tipo: quadrato, corsivo (o semiquadrato) e minuscolo (talora definito anche rabbinico). A ogni testo corrispondeva, in generale, uno stile: il quadrato per la Bibbia, il Talmud e i formulari liturgici; il corsivo per i compendi giuridici e i commenti, il minuscolo per le opere profane. Nei paesi islamici e nella Spagna musulmana lo stile minuscolo è stato assai influenzato dalla scrittura araba. Gli stili del tipo francese e, in particolare, di quello tedesco hanno subìto l'influsso della scrittura gotica. Il materiale scrittorio è costituito da papiri, stele funerarie e, ovviamente, pergamena e carta. È nella decorazione del libro che l'arte ebraica, utilizzando in modo originale le lettere dell'a., ha raggiunto le espressioni migliori e più significative. La scrittura ha cominciato a essere impiegata a fini ornamentali nei manoscritti copiati in Palestina e in Egitto a partire dal 9° secolo. Nei più antichi manoscritti biblici, come il Codex Prophetarum cairensis copiato a Tiberiade nell'894-895 e ora conservato in una sinagoga caraita del Cairo e nel Codex leningradensis copiato nel 1008-1009 (Leningrado, Saltykov-Ščedrin), i contorni dei motivi geometrici che ornano le carte finali sono stati delineati con una grafia piccolissima. L'uso della micrografia decorativa fu ripreso e condotto alla perfezione durante i secc. 13°-15° nei manoscritti copiati nella penisola iberica, nella Francia meridionale e in Germania. Caratteristiche sono le c.d. 'pagine-tappeto' delle bibbie spagnole. Negli ampi margini dei manoscritti eseguiti in Francia e in Germania sono stati disegnati, sempre in micrografia, animali grotteschi, drôleries e oggetti della vita quotidiana. In Germania, inoltre, nelle lettere delle parole iniziali, scritte a caratteri molto grandi, delle bibbie e dei formulari liturgici, furono inserite figure di ogni genere. Lettere zoomorfe e antropomorfe, infine, decorano una decina di formulari (Haggadòt) per la cerimonia pasquale, scritti in Catalogna nella prima metà del 14° secolo.
Bibliografia
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M. Spitzer, The Development of Hebrew Lettering, Ariel 37-39, 1976, pp. 4-28.
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C. Sirat, La lettre hébraïque et sa signification - L. Avrin, Micrography as Art, Paris 1981.
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U. Schubert, K. Schubert, Jüdische Buchkunst, I, Graz 1983.
G. Sed-Rajna, Le mahzor enluminé, Leiden 1983.
di A.M. Piemontese
L'a. arabo assunto a segno islamico in Hijaz (Arabia nordoccidentale), sede della predicazione coranica di Muḥammad (Mecca e Medina, 610-632), è classificato di gruppo settentrionale, opposto al meridionale d'Arabia Felice. Per teoria prevalente, in trafila epigrafica si ritiene un adattamento dell'a. lapidario dei Nabatei d'Arabia Petrea. L'a. nabateo, di 22 lettere, è una varietà dell'a. corsivo aramaico; similmente la scrittura libraria siriaca cristiana, ritenuta più prossima modellatrice dell'arabo-islamica. Questa, al pari di numerose indotte semitiche e asiatiche, può dirsi di matrice aramaica. La prima scrittura coranica fu hijazena. Attestato con iscrizioni e monete dal 652-691, questo a. ha evoluzione storica e tipologie normative complesse, incerte o non ben documentate, almeno fino alla metà del 10° secolo. Nella Baghdad abbaside si concluse allora il processo (altomedievale) delle riforme scrittorie statutarie: coraniche, cancelleresche, calligrafiche. Quasi dalla stessa epoca cominciano ad aversi corani di sicura datazione, e, invece che in ieratica kūfī 'cufica', in equilibrata naskh. Come epigrafica, la kūfī nota testi arabi, salvo alcuni persiani in Iran orientale: Bukhara e Ghazna, 1078-1111, quando la naskh è promossa in epigrafia. Qui figurano anche la longeva corsiva thulth, la spaziata muḥaqqaq iraqena, la cubitale ṭūmār egiziana, e loro varietà. La scrittura libraria, coranica e profana, canonizza alcune scritture (per es. kūfī, naskh, muḥaqqaq) e registra in sezioni rubricali (antiporta, frontespizio-porta, testate, colophon) le epigrafiche, o diplomatiche e cancelleresche trasferite su monumenti e manufatti, e specializzate (così la stessa cufica, dal sec. 12°, per rimbalzo).
L'a. primitivo sembra presentasse una quindicina di segni corsivi irregolari. Essi furono distinti e aumentati a 28, utili a rappresentare i fonemi stabili (25 consonanti e 3 semivocali, o vocali toniche) della lingua araba classica, con il metodo della punctatio (arabo naqṭ: nuqṭa 'punto, goccia d'inchiostro'; i'jām, 'ajam 'volgarizzazione', se non persianismo: 'Ajam, Persia): apposizione di uno, due, tre punti sopra o sotto una lettera primaria per distinguerne altre, foneticamente contigue o meno. La procedura diacritica, di possibile modello siriaco, e confronto al sistema ebraico niqqud, sarebbe stata sanzionata entro la metà dell'8° secolo. Così anche l'ortografia (dapprima segnata parimenti con punti) degli accenti per le tre vocali instabili o atone, l'attacco e stacco vocalico hamza, i neumi consonantici. Ne conseguono: la scriptio defectiva, normale e ordinaria, di base consonantica (stenografica) e latenza ideografica; una scriptio plena, integralmente ortografica, speciale e cogente per i corani, opzionale per eventi scrittorî didascalici, solenni e sontuosi. Il frequente nesso lām-alif, che nota /lā/, può figurare in tavola tradizionale d'a. o anche contare come ventinovesima lettera; hamza: ventinovesimo fonema (29 lettere aveva già l'a. sudarabico).
Il metodo diacritico ha vaste conseguenze. Il punto divenne romboidale, l'elemento atomico di strutturazione proporzionale e geometrica delle lettere nella riforma calligrafica ascritta al cancelliere e visir Ibn Muqla (Baghdad, 885-940), sanzionatore di 6 scritture; scala, l'asta dell'alif: 10 punti. Con l'espansione politica e religiosa islamica, in tempi e modi differenti, l'a. s'irradiò verso E: Asia vicina e media, fino in India; e verso O: Africa mediterranea e orientale, Sicilia e Italia meridionale, Andalusia o Spagna musulmana; dall'oceano Indiano, per il Nilo, all'Atlantico. Nel Medioevo, esso segnò la massima estensione territoriale di una scrittura alfabetica, spesso convivente con altre, poi soppiantate del tutto o meno, e in rapporto di scambio di ritrovati: arti librarie greca, siriaca, ebraica, copta, etiopica, manichea, uigura, anche iraniche e latine varie. La puntuazione fu applicata analogicamente nelle adozioni mature di questo a. per lingue esotiche, dotate di fonemi consonantici propri, quindi notati da lettere supplementari. Così per la persiana, decisiva in espansione e veste orientale dell'a. (quindi arabopersiano), poi varie lingue iraniche e turche (ciaghatai, osmanli, uzbeco), più tardi indiane e indonesiane; africane (somalo, hausa, berbero ecc.).
Sono quattro le grandi aree scrittorie, caratterizzate da scuole regionali e sorvegliate da centri dinastici (egemonia generale:araba e iranica, quindi turca a E, berbera a O): Egitto, in osmosi con Siria e Mesopotamia settentrionale; Anatolia dal tempo turco-selgiuqide; Iraq meridionale (Baghdad), in osmosi con Persia occidentale ('Irāqayn: i due Iraq); Iran orientale, e successivamente Turchistan e India; Maghreb in osmosi con l'Andalusia. Cronologia più comoda di riferimento, e pertinente, è la politica; per es. la naskh epigrafica compare in Andalusia con la conquista dei berberi almohadi, nel 1150 circa.
La diramazione continentale è riflessa da una duplice forma di a.: 'arabo', orientale o asiatico, cui aderisce a spartiacque l'Egitto; 'maghrebino, ifriqeno', occidentale o africano, di Berberia (Tripolitania, Tunisia, Algeria, Marocco), che coinvolge l'Andalusia, e dal sec. 13° il Sudan. Il maghrebino diverge per un'alternativa puntuazione di due lettere: ⟨f⟩ e, appartenente pure al rango delle fatali ed emblematiche, ⟨q⟩; come le isoglosse in linguistica, si tratta di 'isogrammi', marche di confine. Il maghrebino fa sistema autonomo, con proprie tecniche (per es., il taglio del calamo) e norme scrittorie (per es., occorrenza di certe puntuazioni, trattamento a semicirconferenza di appendici caudali). Tra le norme, costitutiva è la sequenza gerarchica tradizionale delle lettere correlata al rispettivo valore numerico in base al principio mnemotecnico detto abjad, 'abbicciddì': A = 1, B = 2, J = 3, D = 4 ecc., e ripartita in 6 gruppi (più 2 arabi). Il canone abjad, con le sue 22 lettere più 6 arabe d'aumento numerico e diacritico, forma l'ordine storico-genetico dell'a. in quanto affine al fenicio, ebraico, greco e imparentati; e, per un diverso calcolo di 6 lettere, si mostra eccentrico nel sistema maghrebino. La tavola abjad vale nella specie di magia bianca (sīmiyā') che è 'ilm al-ḥurūf, 'la scienza delle lettere', divisa in: esatta (per es. l'astrolabio, la matematica, i cronogrammi), discreta (per es. la divinazione coranica), e occulta (per es. i talismani, i sufismi).
La tavola alfabetica comune, di genere orientale, che sembra risalga a grammatici iraqeni, reca un altro ordine delle lettere, definibile filologico-lessicografico. In schema modernistico vi si dà una scansione meccanica delle lettere per quattro forme distinte secondo la loro occorrenza segmentale standard: iniziale, mediana, finale, isolata. Alfabetari calligrafici recano la stemmatica (autonoma in abjad): il carattere a sua figura, comprendente o meno un'estensione caudale. Sono da distinguere: 1) il carattere, marca rappresentativa (corrispondente alla 'forma iniziale') costituita di uno o più tratti lineari (e/o punti), e in esecuzione del tracciato sinistrorso provvista o meno di trattino di collegamento a sinistra e di appendice di coda; 2) la legatura, ammessa o meno dal tipo di carattere: a) estesa a nesso coordinativo di alcuni tipi contrastanti l'andamento del tracciato; b) inibita per altri, tronchi, che ne comportano la cesura, anche ripetutamente, in una stessa parola: come se ḥurūf 'lettere, parole' fosse da scrivere ⟨ḥr u f⟩; la terminazione, in compenso ammessa a compimento di segno-senso segmentale: ridondanza caudale di cui sono a fortiori privi i tronchi, e per lo più stirata a tratto rigale con certi caratteri, per altri arcuata a falce crescente o calante, subrigale; tratto maiuscolo, come se ḥurūf fosse scritto ḥurūF. Harf, plur. ḥurūf: terminus. Stemmatica, la lettera fafigura, parola e numero a sé: così in a. abjad e calligrafico, e come 'isolata' in a. lessicografico; quindi, se caudale, caudata, se troncale, tronca. Esecutiva, attivata per ductus, la lettera diviene collegabile o scollegata: è associativa (a sinistra; la destra fa da fulcro e spinta) o dissociata, allora di nuovo autonoma, di forma stemmatica.
La scrittura standard, ben rappresentata dalla naskh, mediana in tutto, è tendenzialmente semicorsiva. Il tracciato, di modulo uniforme, si presenta contrastivo: denso di tratti minuscoli e maiuscoli, momenti dinamici e statici, spazi pieni e vuoti, opzioni omogenee e alternative. Tante discrezionalità, insite nel sistema, fanno gioco congeniale, vitalità ideale per l'inventiva calligrafica, di fatto, senza pari. Ciascuna scrittura può caratterizzarsi, specializzarsi, nella dialettica di trattamento diversificato per un gruppo o ciascuno degli elementi costitutivi, con omologazioni e infiorettature, amplificazioni e diminuzioni, angolature e deroghe, che rendono di difficile computo e classifica le varietà esperite; per es., la kūfī coranica mal sopporta i punti, quella epigrafica li respinge. Con gli incentivi di carta e inchiostri, motore attivante il sistema, globalmente inteso (Corano LXVIII, 1; XCVI, 4), è la canna del calamo, specialità botanica dei due Iraq. Il tipo a vario taglio di becco del calamo delinea il segreto dell'arte; qalam, quale modulo-stile grafico, sta per khaṭṭ 'scrittura'. Altra componente estetica basilare è data da una triplice specie di corpi lineari dei caratteri: bassi, che decidono la concatenazione; tronchi, che determinano la spaziatura orizzontale; alti, aste verticali che misurano la graduazione del modulo; barra di timone, l'asta prima alif, ad altissima frequenza e, troncale, di specie mista. Ne viene diagrammaticamente un assetto rettangolare aderente a un principio di cartiglio, araldico e talismanico, teso a foggiare una fascia o cintura: connessa all'arte dell'intreccio tessile-nodo geometrico 'arabesco' e, in metallistica, affine a quella dell'incastro, meglio 'agemina' 'ajamī 'persiano'. Una matrice o conferma monumentale sta nella 'cintura' (ḥizām) iscritta ornante il velo di broccato (ṭirāz), prima di fattura yemenita, poi egiziana, di cui si riveste il santuario della Ka'ba alla Mecca. Tessuto serico di alto prestigio e costo, ṭirāz vale anche, propriamente, 'lista' grafica, 'leggenda' d'insegna, scandita quindi su monete, armi, metalli, vesti, stendardi. La sacralità dei versetti coranici rivelati da Allāh al profeta Muḥammad, fortifica ed espande il tutto.
Se l'ago è qalam 'calamo', il filo è riassumibile da raqam 'ricamo' e 'cifra: carattere, marca, segno, figura, scrittura, calligrafia; aritmetica'. La fascia, modulabile a volontà, combinabile con gli elementi decorativi classici (vegetale e geometrico) su campo astratto o tra scena figurata, può listare ogni manufatto e monumento, con funzioni emblematico-carismatica, rappresentativo-dissimulativa, didascalico-mimetica, per testi: coranici, religiosi, esoterici, protocollari, araldici, storici, commemorativi, augurali, talismanici, poetici (specialità persiana), colofonari, e decifrabili-indecifrabili, inoltre (per es. ceramica, metallistica): pseudoiscrizioni. La lista è dispiegabile in ogni senso: orizzontale, verticale, diagonale, a losanga, circolare, speculare: muthanná scrittura 'raddoppiata', a coppia enigmatica; e con ogni foggia: sciarpa, targa, reticolo, medaglione, pannello, poligono stellare; anche a squadra labirintica: cufica rettangolare architettonica, improntata alla scrittura sigillare cinese e affine alla quadrata ebraica. Fondamentale è la specializzazione delle scritture per ductus conveniente a ciascuna particolarità di funzione, per es. atto d'emancipazione di schiavi o messaggio via piccione viaggiatore, di genere letterario, di uso oggettuale, con molteplicità di modelli gerarchici e varietà di trasposizioni artistiche. In queste, si presenta essenziale l'integrazione del carattere al tipo di evento-e-oggetto scrittorio: con variabilità di resa in rapporto dialettico inscindibile tra genere e materiale di supporto, l'uno più esaltante dell'altro, e fattore tecnico d'esecuzione, quindi con intercambiabilità di esiti stilistici. Per questi, esemplare è la prodigiosa malleabilità della c.d. cufica, di cui si sarebbero contate 134 varietà provinciali.Il tema cifrato anima l'interazione, unificante e discriminante, di tutta l'arte di ambito islamico, che è epigrafica, altrimenti anepigrafa. Se la si rapporta a iconica/aniconica - come figura oggettuale del verbo, sovente viva (cefalomorfa, antropomorfa, se possibile: botanomorfa, zoomorfa) particolarmente nella metallistica persiana, e già ornitomorfa per via di ceramica iranico-orientale samanide (secc. 9°-10°) - la cifratura risponde a sostanza iconica. "Litterae enim monogrammae scriptae nonnullis in locis invenientur, ubi pictura cum museo in pariete imaginis aut in velis, vel alicubi aliter facta fuerit, ibi corum nomina cum congerie litterarum, unum characterem pictores facere soliti sunt, quod monogramma dicitur: quorum significatio subtus per pauca adnotata monstratur" (Rabano Mauro, De Inventione Linguarum). L'a. è fondante, strutturativo e figurale a suo modo. Dal sec. 10° l'a. calligrafico, con i suoi manufatti originali poi imitati, si trova trasferito in ambito europeo cristiano: Francia, Germania, Inghilterra, Italia, oltre la Spagna. Veicolo primo della moda, ancora l'arte tessile (per es. palermitana, quindi lucchese), per vaste ripercussioni che si estendono fino all'arte rinascimentale, e di cui mancano catalogazioni adeguate. Si possono dare indicativamente, almeno, una triplice gamma di riverberi: 1) adattamento di manufatto originale, spesso con integrazione in situ: per es. il monogramma Allāh in cufica mosaicale bianca su pavimento d'abside (Bari, basilica di S. Nicola, 1105-1123); 2) riproduzione, segnatamente pittorica, di manufatto originale, di fattura sia islamica, sia europea; per es. kūfī pseudoepigrafica tessile bianca in campo blu per lista di coperta da letto (scena di Dormitio Virginis, eseguita da miniatore padovano o veneziano, 1259; Padova, Bibl. Capitolare, Epistolario di Giovanni da Gaibana, c. 66v); 3) committenza in loco: per es. l'iscrizione bilingue, latina e araba (thulth) a fronte, per il camice di Guglielmo II, Palermo, 1181 (ora a Vienna, Schatzkammer); iscrizione bilingue, francese e araba (ṭūmār), su bacino d'ottone siro-egiziano per Ugo IV da Lusignano, re di Gerusalemme e Cipro (1324-1359; ora al Louvre). Si davano dunque eventi scrittori-oggettuali anche a confronto e rispecchio di monogrammi rispettivi. Le chiavi ne erano note a pochi ma certi, cancellieri e calligrafi, incisori e dipintori che fossero; per trasparenze o iridescenze di icone letterate: vere immagini o loro veli.
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di H. Gustavson
La parola futhark si riferisce all'a. delle rune, il più antico sistema di scrittura usato dai popoli germanici. L'a. viene chiamato futhark secondo le sue prime sei lettere (f,u,th,a,r,k). Le rune vennero usate fino alla fine del Medioevo, ma esse furono impiegate anche all'inizio dell'era moderna in zone rurali della Scandinavia per demarcare le proprietà, oppure come formule pie e segni nei calendari runici.
L'origine delle rune è molto dibattuta: la teoria latina fa derivare le rune dalle maiuscole latine mentre la teoria greca ritiene che il corsivo greco ne abbia costituito la base (ma ciò non sembra probabile); la teoria del Nord Italia infine ne cerca l'origine tra gli a. delle Alpi italiane. Attualmente la maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che le basi delle rune siano da attribuire alla penisola italica.
Le rune venivano usate in iscrizioni di vario genere su oggetti in legno, osso, metallo e pietra. Nei tempi più antichi, bastoncini e tavolette di legno furono probabilmente il supporto principale, cosicché si è supposto che la forma delle singole lettere runiche, caratterizzate dalla tendenza a evitare linee curve e orizzontali, dipendesse dalla forma del legno.
Iscrizioni runiche del primo periodo furono trovate su gioielli (bratteati, spille, fermagli e anelli), armi (lance, spade) e utensili (coltelli, pettini). L'uso delle rune in iscrizioni funerarie o commemorative su pietre (pietre runiche) sembra essere iniziato nel sec. 4°, ma fiorì con maggior vigore durante l'inizio del Medioevo (la c.d. epoca dei Vichinghi, 8001100), specialmente in Svezia dove sono documentate ca. 2500 pietre runiche di quel periodo.
Le iscrizioni del primo periodo sono spesso piuttosto brevi e consistono in una o due parole per indicare il possessore dell'oggetto, il nome o la designazione dell'oggetto stesso oppure un augurio o invocazione di buona fortuna.Per il periodo vichingo sono superstiti delle iscrizioni commemorative di considerevole lunghezza incise su pietre runiche, come la famosa pietra di Rök (prov. di Östergötland, in Svezia) che consiste in 750 rune e simboli runici.
Iscrizioni di notevole lunghezza e complessità su bastoncini di legno risalgono anche al Tardo Medioevo (specialmente a Bergen, in Norvegia, con ca. 750 iscrizioni, la maggior parte del periodo 1200-1400) e indicano che le rune venivano usate in comunicazioni epistolari, commerciali e private.
Bibliografia
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