Vedi ALFEDENA dell'anno: 1958 - 1994
ALFEDENA (v. vol. I, p. 250)
La revisione dei corredi tombali editi da L. Mariani nel 1901 ha portato a una nuova esplorazione sistematica della necropoli di Campo Consolino. Era infatti necessaria una verifica delle associazioni andate spesso perdute sia per le note vicende del Museo Civico di Α., sia per tutti gli anni passati senza che il materiale, conservato ora nel Museo Archeologico Nazionale di Chieti, venisse restaurato e ordinato. Erano necessari ancora l'osservazione e l'esatto rilievo degli oggetti nell'ambito di una deposizione, nel migliore dei casi troppo genericamente annotati dal Mariani. Dal 1974 al 1979 scavi condotti nell'area SO della necropoli hanno portato alla luce centotrentadue tombe articolate in tre gruppi probabilmente delineati da circoli di pietra, come altri già pubblicati dal Mariani. Il terreno in cui sono state scavate le singole tombe è costituito da uno spesso strato alluvionale formato da grossi ciottoli e ghiaia, il quale presenta profondità diverse a seconda dello strato, a esso alternato, di una breccia di colore giallastro che viene a coincidere con il piano di deposizione delle sepolture. Queste ultime presentano profondità che variano da un minimo di m 0,22 a un massimo di m 2,32 dal piano di campagna. Le tombe erano a fossa rettangolare di misure pressoché costanti, di dimensioni assai strette e restringentisi verso il basso. Nella maggior parte dei casi le pareti inferiori erano rivestite da spessi lastroni di calcare sormontati da una lastra di copertura. Il primo gruppo di tombe è composto da cinquantacinque sepolture che costituiscono un nucleo molto compatto compreso in un'area piuttosto ristretta, isolato su tutti e tre i lati da terreno sterile. Le tombe, disposte ai margini su più file parallele, si chiudono in una sorta di circolo irregolare intorno alle sepolture con i corredi più rappresentativi e a tre più centrali, caratterizzate dalla presenza del ripostiglio. L'esame dei corredi e l'analisi antropologica hanno portato a individuare come tipiche delle deposizioni femminili le collane d'ambra e, tra gli oggetti di ornamento personale, le fibule con arco a nastro, mentre caratteristici delle deposizioni maschili sono i cinturoni di bronzo e le fibule con arco di verga. Quanto alla ceramica, in buona parte d'importazione, non si è notata ima differenza di rilievo nei tipi di vasi fra le tombe di adulto dei due sessi. Tra le suppellettili rinvenute solo due bacinelle sono in bronzo.
A una distanza di una ventina di metri dal primo sono stati individuati un secondo e un terzo gruppo di tombe composti rispettivamente di trentadue e di diciasette sepolture. Carattere rilevante e distintivo del secondo gruppo rispetto al primo è la presenza di armi, anche se concentrate in tre sole sepolture con ripostiglio, situate in posizione centrale. La preponderanza di deposizioni maschili rispetto a quelle femminili, che invece nel primo gruppo risultavano pressoché dello stesso numero, può essere indice di condizioni e funzioni sociali diverse. E non sembra essere senza significato il fatto che la sola tomba femminile ricca di ornamenti e provvista di ripostiglio appartenga a una donna anziana. Va notato come elemento nuovo, rispetto all'altro gruppo, il rinvenimento, sempre in tombe maschili, di placche e ganci di cintura e di bracciali in bronzo. La ceramica prevalente in questo gruppo è quella d'impasto locale. Anche nel terzo gruppo predominano le deposizioni maschili; e le sepolture più rappresentative con ripostiglio e armi o solo con ripostiglio, tra le quali una femminile, occupano una posizione centrale. Secondo e terzo gruppo (al centro dei quali è stato rinvenuto uno spazio lasciato intenzionalmente libero a mo' di piazzuola), rivelano legami così numerosi da poter essere considerati come un'unica struttura costituita da due cerchi incompleti compenetrantisi l'uno nell'altro.
Lo studio delle associazioni dei materiali evidenzia un'articolazione dei corredi in tre fasi, il cui arco cronologico si colloca tra la fine del VI e la fine del V sec. a.C. Non si riscontrano cesure nette tra una fase e l'altra; e tuttavia è possibile indicare i limiti della fine del VI e del primo decennio del V per la prima fase, della metà del V per la seconda e della fine del secolo per la terza. I corredi sono riconducibili a un limitatissimo numero di tipi. È preponderante la ceramica indigena di uso comune. Il sepolcreto sembra avere una direzione unitaria di sviluppo cronologico e topografico: dal centro di ciascun gruppo verso l'esterno intorno alle tombe più antiche e con corredi più consistenti.
Sopra le lastre di copertura delle tombe è stata rilevata la presenza di un tumulo di protezione. La piazzuola riscontrata al centro del secondo e del terzo gruppo era con ogni probabilità lasciata appositamente vuota per poter svolgere, in uno spazio non scelto a caso, le operazioni connesse con il seppellimento e con il rito funerario: fra un gruppo e l'altro è stata riconosciuta una distanza che, per il suo modulo pressoché costante (di 20 m c.a), si rivela come un dato significativo per la topografia della necropoli.
L'esigenza di comprendere meglio i rapporti tra abitato e necropoli ha portato a esplorare anche l'insediamento che sorgeva nella vicina valletta del Curino, in posizione più elevata rispetto alla necropoli, delimitata da due alture chiuse da un'unica cinta di mura. Esso ebbe però particolare sviluppo edilizio (mura, edifici pubblici) in corrispondenza con l'ultima e più povera fase della necropoli.
Gli edifici di interesse pubblico e religioso sono situati nel settore centrale dell'abitato e sono stati scavati dal Mariani all'inizio del secolo.
Costruito con tecnica edilizia di antica tradizione è un ampio edificio rettangolare di m 27 X 9. La parte inferiore è infatti di pietra lavorata, l'elevato presentava nervature lignee e pareti di argilla, il tetto tegole di terracotta; le colonne lignee poggiavano su basi appena sbozzate e incassate nel suolo. Due grosse cisterne a thòlos, il podio frontale semicircolare che si affaccia su un'area libera e la presenza di un sacello indicano una funzione pubblica dell'edificio, denominato dal Mariani «basilica». L'edificio è, come tutto il Curino, interessato da uno strato di distruzione da porsi alla fine del III sec. a.C., in relazione con la guerra annibalica. Di fase successiva è il tempietto a esso adiacente posto entro un tèmenos quadrato, costruito con pianta semplicissima.
La cella era chiusa su tre lati da muri di pietra di m 3 di larghezza e 2,50 di profondità, mentre poco chiara è la situazione del pronao. Il pavimento della cella era sigillato da un battuto di calce sotto il quale si rinvennero numerose monete che, per la presenza di denari d'argento, non consentono di porre la costruzione dell'edificio più in alto dell'ultimo decennio del III sec. a.C. La tecnica costruttiva è ora più evoluta, le colonne lignee vengono sostituite da colonne in pietra, ma si conservano elementi tradizionali come lo stesso tipo di basi sbozzate e interrate. Lo stilobate è formato con blocchi di pietra perfettamente regolari e combacianti.
I recenti scavi (1985-1989) con cui sono state riprese le indagini sul Curino hanno interessato in particolare le aree presso la porta Ν ed E. Presso la porta Ν è stato messo in luce un settore dell'abitato: in una zona centrale, addossato a un muro che delimita il lato Ν dello scavo, è stato rinvenuto il crollo di un forno, originariamente a cupola di mattoni. Anche questo settore è interessato dalla fase di distruzione della fine del III sec. a.C. Infatti sia il forno, sia il settore dell'abitato messo in luce si trovano sotto uno strato di bruciato ricco di pietrisco e di ceramica a vernice nera nel quale sono stati rinvenuti due semiassi anonimi del tipo Saturno-Prora (M. Crawford, Roman Republican Coinage, I, Cambridge 1974, p. 158, n. 56,3) che confermano come lo strato di distruzione sia da porre alla fine del III sec. in relazione con la guerra annibalica.
La seconda fase dell'abitato del Curino dura ininterrotta fino a epoca imperiale, senza ulteriori interventi edilizî. Il luogo dovette poi immiserire sempre di più dopo la creazione del municipio di A. nel sito dell'odierna Castel di Sangro.
Quanto alla dibattuta questione del nome di A. restano aperte due possibilità: 1) che il toponimo Aufidena fosse connesso già in epoca preromana con Castel di Sangro e l'odierna A. avesse altro nome; 2) che l'Aufidena sannitica fosse A. e che quindi Castel di Sangro facesse parte del territorio occupato dagli Aufidenates; pertanto il nome sarebbe passato a indicare Castel di Sangro in epoca romana, per tornare a denominare il sito originario nel Medioevo.
Bibl. : F. Parise Badoni, M. Ruggeri Giove, Alfedena. La necropoli di Campo Consolino. Scavi 1974-1979, Chieti 1980; F. Parise Badoni e altri, Necropoli di Alfedena (Scavi 1974-1979). Proposta di una cronologia relativa, in AnnOrNap, IV, 1982, pp. 1-41; ead., Pratiche funerarie e strutture sociali nel Sannio tra il VI e il V secolo a.C., in Rivista di antropologia, LXVI, 1988, pp. 411-420; A. La Regina, I Sanniti, in AA.VV., Italia omnium terrarum parens, Milano 1989, pp. 362-363, 395-396 (con bibl.).