CAMBI, Alfonso
Nacque a Napoliil 3 marzo 1535 dal fiorentino Tommaso, che risiedeva per ragioni commerciali a Napoli.
Il C. apprese i primi rudimenti letterari dal padre, distinguendosi ben presto per l'inclinazione verso la poesia in volgare, che si preciserà in lui nel culto del Petrarca. Meritò così una precoce, favorevole accoglienza presso gli ambienti letterari più noti della Napoli cinquecentesca e la protezione di uomini come Bartolomeo Quaranta, Girolamo Colonna, Scipione Ammirato e monsignor Galeazzo Florimonte, vescovo di Sessa, che gli dedicò i Ragionamenti sopra l'Etica di Aristotile (Venezia 1567).
Le larghe lacune che costellano la biografia del C. non permettono di precisarne la carriera letteraria a Napoli, ne di seguirlo allorché, lasciata la città natale, tentò altrove di contemperare l'attività commerciale ereditata dal padre con gli interessi letterari che si erano nel frattempo determinati nel solco dell'esegesi cinquecentesca del Canzoniere petrarchesco. Recatosi in Francia, collaborò con Lucantonio Ridolfi all'edizione del Canzoniere del Petrarca che uscirà a Lione nel 1558. Seguendo l'itinerario che gli consigliava l'attività commerciale, in data imprecisabile lasciò la Francia e si recò in Spagna, ove gli giunse la notizia della morte del padre. Ritornò quindi a Napoli ove mantenne saldi rapporti con i maggiori ambienti letterari e ottenne riconoscimenti onorifici. La sua familiarità con personaggi come Marcantonio Colonna farebbe supporre un'autorità nel campo politico e militare ben superiore a quella che il C. avrebbe potuto attingere dall'esercizio, del resto assai limitato, della letteratura. Dal Colonna fu invitato nel 1570 a imbarcarsi per difendere l'isola di Cipro dai Turchi. Non fece in tempo ad assistere alla vittoria delle armi cristiane a Lepanto, poiché morì, poco tempo dopo la sua partenza da Napoli, nel 1570.
La sua personalità letteraria è affidata più a testimonianze esterne che alla esigua entità della produzione poetica. Infatti, oltre che destinatario dei menzionati Ragionamenti del Florimonte, egli appare come personaggio di un'opera tra le più apprezzate dell'epoca: Il Rota, ovvero Dialogo delle Imprese di Scipione Ammirato (Napoli 1562). A certi "Dialoghi" del C., che si davano ancora per manoscritti (e sembra che siano rimasti tali), alludeva il Ridolfi in una lettera di risposta a quelle che il C. gli aveva inviato con le istruzioni per l'edizione del Petrarca. Sia le lettere del C. che la replica del Ridolfi furono stampate nel III tomo delle Lettere a cura di Bernardino Pino (Venezia 1574). Un'epistola al marchese di Vico Colantonio Caracciolo fu pubblicata nella Raccolta di lettere a cura di Bartolomeo Zucchi (Venezia 1581), ma la corrispondenza più attiva e più duratura sembra essere costituita dalle lettere scambiate con Annibal Caro.
La corrispondenza col Caro comincia nel 1553. Il 20 maggio di quell'anno il Caro indirizzava una lettera al C. dichiarandosi suo amico e fornendogli indicazioni su letture (i tre maggiori toscani del Trecento), "le quali sono necessarie per non errare ne' termini. Nel resto vi supplirà il corso ordinario de la lingua, e spezialmente su lo scriver famigliare, il quale ha da esser quasi tutt'uno col parlare". In un'altra lettera spedita da Parma il 1º marzo 1559 il Caro chiarisce al C. il senso burlesco di uno scambio di rime che aveva avuto col Della Casa; non mancava poi di tessere gli elogi dell'amico negli ambienti altolocati che frequentava a Roma: in cambio il C. favoriva il Caro nelle piccole incombenze che gli venivano dai benefici goduti a Napoli, per risolvere alcuni impegni economici, o per tenersi informato delle più importanti novità letterarie. Una lettera datata 20 genn. 1565 è interessante perché ci fa conoscere l'esistenza di una canzone del C. andata perduta. L'ultima lettera indirizzata dal Caro allo scrittore napoletano risale al 3 marzo 1565, poi il rapporto epistolare si interrompe bruscamente forse per una mancata riscossione di 500 scudi che il Caro attribuiva alla noncuranza dell'amico.
L'unica testirnonianza poetica del C. consiste in un sonetto d'occasione dettato per la morte di Ippolita Gonzaga e stampato nella Raccolta di poesie volgari e latine in morte di Ippolita Gonzaga, Napoli 1569, troppo poco per individuare uno scrittore autentico nel C., che pure dovette assolvere una funzione di qualche rilievo nella Napoli del Tansillo e dell'Ammirato, in un ambiente, cioè, che volge verso schemi controriformistici l'eredità letteraria del primo Cinquecento.
Fonti e Bibl.: A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, II-III, Firenze 1959-1961, adIndicem;G. B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, III, 2, Napoli 1752, pp. 322 ss.; A. Borzelli, Un letterato minore del Cinquecento in Napoli, Napoli 1939.